“Romanzo di una strage”

DALLE DUE BOMBE A LOTTA CONTINUA SU PIAZZA FONTANA BUCHI E FORZATURE
di Corrado Stajano | da il Corriere della Sera


romanzodiunastrageI funerali della strage La borghesia e gli operai formarono un corpo unico nella città affratellata. Il possibile golpe fallì quel giorno Nel film di Giordana episodi non verificabili. E manca la passione di quegli anni

Furono anni torbidi, furono anche anni fervidi. La strage di piazza Fontana, per Milano e per l’ intero Paese, fu una ferita profonda. Ma la città seppe resistere rivelando il meglio di se stessa. Basta guardare ancora una volta le immagini dei funerali delle vittime, in piazza del Duomo, tre giorni dopo la bomba nel salone della Banca nazionale dell’ agricoltura che aveva lo scopo di distruggere le fondamenta della Repubblica e della Costituzione. La piazza, quella mattina, era color del piombo fuso, la copriva una cappa di nebbia, rotta soltanto dalla fioca luce dei lampioni che rischiaravano un poco la marea di donne e di uomini sgomenti di dolore. Dalle fabbriche di Sesto San Giovanni arrivarono a migliaia le tute bianche della Pirelli, le tute blu della Breda, della Magneti Marelli, della Falck che fecero da servizio d’ ordine. La borghesia consapevole e la classe operaia formarono allora, con la serietà dei momenti gravi, un corpo unico nella città affratellata.

Il possibile golpe, si può dire, fallì quel giorno. Non deve esser stato facile per Marco Tullio Giordana, il regista dei Cento passi e della Meglio gioventù, rappresentare, quasi mezzo secolo dopo, con il suo Romanzo di una strage, quel che avvenne in quei giorni e in quegli anni, la macelleria dei corpi, il sangue, le trame eversive, le collusioni e i tradimenti di chi aveva il dovere di tutelare la Repubblica e complottò invece per abbatterla e dar vita a uno Stato autoritario. 12 dicembre 1969, la strage. 15 dicembre 1969, l’ arresto di Pietro Valpreda e la morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, la diciottesima vittima. Il commissario Luigi Calabresi è nel film il vero protagonista; un eroe, è stato detto, l’ uomo che aveva capito la verità. Nel 1972 sarà la vittima innocente dello spirito di violenza, ma quella notte in Questura, davanti a cinque giornalisti, il suo comportamento non fu diverso da quello dei suoi superiori. La stanza del questore Guida sembrava più un morbido salotto che un ufficio di polizia. Esordì così, Guida, che nel 1942 era stato direttore del confino politico fascista di Ventotene: «Gravemente indiziato di concorso in strage, Pinelli aveva gli alibi caduti. Un funzionario gli aveva rivolto contestazioni e lui era sbiancato in volto. Il dottor Calabresi aveva allora momentaneamente sospeso l’ interrogatorio per andare a riferire. Nella stanza si stava parlando d’ altro, una pausa, quando il Pinelli ebbe uno scatto improvviso, si gettò verso la finestra socchiusa perché il locale era pieno di fumo e si slanciò nel vuoto. Il suicidio è una evidente autoaccusa». Un giornalista chiese chi era Pinelli. Rispose Calabresi: «Sembrava un uomo incapace di ricorrere alla violenza, un uomo tranquillo, ma i suoi rapporti, le sue implicazioni politiche dovevano rivelare il contrario». Chiese un altro giornalista qual era stata l’ ultima domanda a Pinelli, quali le ultime cose dette e se esistevano i verbali. Nessuno rispose, senza mostrare imbarazzo. Il giornalista ripeté la domanda, Guida disse allora che l’ interrogatorio non comprometteva altre persone. «Era stato convalidato dalla magistratura il fermo che durava da 72 ore?» domandò un altro giornalista. Il questore rispose impudentemente di sì, poi parlò d’ altro. Uno dei cinque giornalisti chiese a Calabresi come mai non era sceso in cortile a vedere Pinelli. Di nuovo silenzio. A colpire, in quella notte difficile da dimenticare, era la percezione che quegli uomini dello Stato non mostrassero neppure un moto di amarezza e di dolore per la morte di un uomo entrato da libero cittadino in Questura e uscito morto. Erano responsabili della sua vita: cinque uomini, in una piccola stanza, non riuscirono a impedirgli di buttarsi dalla finestra lasciata aperta? Calabresi è stato giudicato innocente dalle inchieste della magistratura. Ma esiste soltanto la responsabilità penale? Si avvertiva quella notte una sottile euforia: la pratica Pinelli era chiusa e con quella morte poteva chiudersi anche la pratica più grossa, la strage. La città, la società, nel film di Giordana, sono assenti, come le atmosfere di allora. Non c’ è traccia del conflitto tra innocentisti e colpevolisti, profondo, e neppure dei tentativi appassionati dell’ altra Italia alla ricerca della verità, diversa da quella ufficiale. Ci sono molti buchi nel racconto. Non si sa quasi nulla di Pietro Valpreda, il predestinato capro espiatorio della tragedia. Non sono sufficienti, poi, quei ritagli del giornale e poche scritte sui muri per rendere l’ ossessiva campagna denigratoria di Lotta Continua contro Calabresi accusato di essere l’ assassino di Pinelli. Il film gioca di continuo, pericolosamente, tra realismo e finzione. È «liberamente tratto» dal librone di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, ambiguo, con fonti non verificabili. Moro, il ministro degli Esteri di allora, impeccabilmente interpretato da Fabrizio Gifuni, ha una parte sovrabbondante, un jolly utile per raccontare ciò che serve, ma chi visse il dramma della strategia della tensione non fu mai a conoscenza di quella scelta così progressista di Moro, del suo misterioso dossier che svelava il carattere golpista e neofascista della strage, mostrato a Saragat. Nel film, Federico Umberto D’ Amato, a capo degli Affari riservati, offre a Calabresi di diventare il suo braccio destro al Viminale e fa assurde rivelazioni che ancora una volta stravolgono quel che si sa dagli atti dei processi, dalle inchieste, non poche, di quegli anni. Un altro scoop, poi: furono due i taxi e due le bombe scoppiate in quel tragico buco della banca. Una rossa, gentile, solo per spaventare un po’ , portata da Valpreda; e una nera, per uccidere e dare avvio allo stato di emergenza, portata da Sottosanti, il sosia. La fonte? Cucchiarelli, a pag. 641 del suo libro. Di nuovo i doppi estremismi, le piste rosse e quelle nere. Un gran garbuglio reso ancor più fosco mezzo secolo dopo, tra mister X, legionari e spioni, trafficanti di armi e di esplosivi, la Grecia dei colonnelli, gli infiltrati ovunque, i partiti, tutti, informati e silenti, gli uomini dello Stato dal doppio o triplo gioco. I ragazzi che non sanno cosa sia successo nel pomeriggio di tanti anni fa in quella banca di Milano, vicina all’ Arcivescovado, non avranno da questo film lumi per capire. Giustizia non è stata fatta. Lo Stato non ha avuto la forza e il coraggio di processare se stesso. Dopo 11 processi di condanna, 4 giudizi in Cassazione, apposizioni del segreto politico-militare, la serranda della legge è calata il 3 maggio 2005: tutti assolti, strage senza colpevoli, i parenti delle vittime condannati a pagare le spese di giudizio. La verità storica e politica, a ogni modo, è chiara. Sono ben documentati, con le responsabilità della destra neofascista veneta, le complicità e i depistaggi dei servizi di sicurezza e soprattutto dell’ Ufficio Affari riservati. Peccato, bisogna dirlo con amarezza, che in questo smisurato film un po’ asettico non si ritrovino né la passione né le emozioni di quegli anni infuocati. RIPRODUZIONE RISERVATA


ROMANZO DI UNA STRAGE, IL LIBRO DI CUCCHIARELLI, LE CRITICHE DI SOFRI E GLI ANARCHICI INDIGNATI 
di Aldo Giannulli | da http://www.aldogiannuli.it

romanzodiunastrageIl film di Giordana su Piazza Fontana è stato duramente criticato da Corrado Stajano e malamente stroncato da Goffredo Fofi (che parla di “cine panettone” e di lavoro non decente). C’è da segnalare, poi, una indignata presa di posizione degli anarchici romani, reduci del 22 marzo, che sostengono di non riconoscere sé stessi e le persona a loro vicine nel ritratto fattone da Giordana che ritengono caricaturale.
Non sono un critico cinematografico e non mi permetto di competere con un “mostro sacro” come Fofi, riconosco a Stajano autorità ed intelligenza per cui riesce ad essere illuminante, anche quando è eccessivamente severo e riconosco ai compagni anarchici le ragioni della loro irritazione, però mi sembrano giudizi troppo inclementi verso un fil che io giudico, invece, positivamente. Ho l’impressione che Giordana paghi lo scotto dell’accostamento al libro di Cucchiarelli che, a suo tempo, abbiamo recensito e del quale dicemmo, pure con cortesia, essere un libro brutto e più ricco di illazioni indimostrate che di effettive scoperte investigative.
Non torniamo, quindi, sul libro di Cucchiarelli di cui si occupa Adriano Sofri in un libretto web che consigliamo vivamente di leggere, a tutti quanti siano interessati. Un aureo scritto che leva la pelle a Cucchiarelli dimostrando quanto superficiale sia stato il suo studio delle carte.
Torniamo al Film che, nell’inquadratura finale, si dice “tratto liberamente dal libro di Paolo Cucchiarelli….”. Ma avrebbe dovuto dirsi “molto liberamente tratto” perché del libro nella pellicola resta poco e nulla.
 

Il libro sostiene che:
 

a-le bombe alla Bna erano due, una innocua, messa da Valpreda e l’altra “cattiva” messa da Sottosanti

b-che c’erano due taxi e due sosia

c-che anche in tutti gli altri casi di bombe seminate in giro quel giorno ce ne era una dimostrativa messa dagli anarchici” ed una vera messa dai fascisti

d-che Pinelli, accortosi di quanto era in atto e della trappola in cui erano caduti i suoi compagni, andò in giro per fermare le altre esplosioni e si inventò un alibi che poi non resse alla prova dei fatti

e-che Calabresi era nella stanza e forse partecipò al defenestramento fisico di Pinelli

f- che dietro di tutto c’era una regia unica che dirigeva tanto i fascisti quanto gli anarchici nella posa delle bombe.
 

Nel film: sparisce ogni coinvolgimento degli anarchici e soprattutto di Valpreda (la cosa è chiarita dalla conversazione immaginaria fra Calabresi e D’Amato), sparisce la regia unica, sparisce l’azione di Pinelli per frenare le supposte altre bombe, spariscono il doppio taxi ed il doppio sosia, Calabresi non è nella stanza al momento della caduta di Pinelli. Resta solo l’ipotesi della doppia bomba (ci torniamo fra poco).
Come dire che il film distrugge il libro più di quanto non se ne serva. Ma, allora, direte, perché dichiarare il film ispirato a quel libro? Lo spiega lo stesso Giordana sul Corriere: perché, prima ancora che fosse scelto il regista, la produzione aveva (sconsideratamente) acquistato i diritti del libro e quindi c’era un obbligo contrattuale in questo senso.
 

Alla fine, quella sponsorizzazione si è rivelata un autogoal, però il film ha dei meriti innegabili.
Vorrei ricordare che le due inchieste svolte dall’Isec fra gli studenti delle medie superiori milanesi nel 1999 e nel 2009 avevano accertato che la maggioranza degli intervistati riteneva la strage opera delle Br (quasi il 40%) o della Mafia (circa il 20%) mentre solo l’8% parlava dei fascisti ed il 4% dei servizi segreti. E questo, nella città dove ogni 12 dicembre c’è un corteo studentesco per ricordare la strage. Dunque, partiamo da questo dato.
 

Il film indica chiaramente le responsabilità del gruppo Freda-Ventura (anche se lascia fuori quello che è emerso nell’inchiesta Salvini), indica le coperture che i servizi italiani gli dettero prima e dopo la strage, parla del ruolo dei colonnelli greci e dei servizi americani. Non dice apertamente, ma lascia intendere chiaramente che Pinelli non è caduto giù per disgrazia o suicidio, favole inventate dalla Questura per cavarsi dall’accusa di omicidio.
 

Scusate se è poco: in tempi come questi ci vuole coraggio per sostenere cose così. E se noi delle generazioni over cinquanta queste cose le sappiamo per averle vissute ed aver letto tanto nel quindicennio successivo alla strage, le generazioni più giovani queste cose le ignorano. Da docente a contatto con i ragazzi che arrivano freschi dalle medie superiori e che hanno idee molto approssimative sulla storia recente del nostro paese, devo dire che questo film è uno strumento prezioso da non sottovalutare.
 

Poi ci sono molte omissioni, come lamenta Stajano, siamo d’accordo, ma un film deve far stare dentro tutto in due ore e deve operare tagli anche brutali, soprattutto quando ha per le mani una storia intricata come Piazza Fontana.
 

Ci sono anche passaggi che ci lasciano perplessi (Borghese che si scaglia con veemenza contro i “macellai”, episodio storico di cui non si ha notizia ed assai improbabile peraltro non necessario nell’economia del film; un po’ troppa glassa zuccherosa su Calabresi e Moro; una versione un po’ caricata di Saragat e degli anarchici e di Valpreda, ecc.) ma, a guardare la cosa nel complesso, si tratta al massimo di “peccati veniali” ampiamente compensati dai meriti del film.
 

Bene invece la scelta di tenere la violenza politica di quegli anni in sottofondo e non perché si debba occultare questo aspetto della vicenda, ma perché, in questi ultimi venti anni, c’è stata una overdose di attenzione a questo aspetto che ha finito per fagocitare tutto, mettendo in ombra moltissime altre cose di quella stagione troppo complessa per essere ridotta a questa sola dimensione.
Anche cinematograficamente si possono fare critiche al film, ma parlare di panettone e lavoro non decente sembra fuori luogo: non salviamo neanche l’interpretazione di Pinelli-Favino? A chi scrive è parsa superba.
 

Veniamo ai due punti delicati del film che possono attrarre delle critiche di merito: la doppia bomba (unica cosa che Giordana riprende dal libro) e la presenza di Calabresi nella stanza al momento del volo di Pinelli (cosa che contrappone Cucchiarelli a Giordana). Dichiamo subito che (allo stato dei fatti) sia sull’una che sull’altra cosa non ci sono prove che possano stabilire definitivamente una verità ma che ci si sta muovendo sul terreno infido delle ipotesi.
 

Doppia bomba: l’unica “prova” che Cucchiarelli adduce è il ritrovamento della miccia che, però, nel fascicolo processuale non compare. Anche se fosse, si tratterebbe di un indizio, anche interessante, ma non di una prova definitiva. Nulla peraltro esclude che essa possa esserci stata: se la versione di Cucchiarelli (doppia bomba in attuazione di un unico piano e coinvolgimento di Valpreda) fa acqua da tutte le parti e non merita di essere presa seriamente in considerazione, l’ipotesi che possano esserci state due bombe alla Bna in attuazione di due diversi piani criminosi, non è in sé illogica. Riflettiamo su un dato: quel giorno ci furono diversi attentati a Roma e Milano, quelli romani hanno la caratteristica di essere stati a bassissimo potenziale, di aver fatto ben poco danno e di essere attribuibili agli uomini di Delle Chiaie, quella milanese, al contrario, è stata micidiale ed è attribuibile al gruppo veneto di On. Le bombe sono esplose più o meno alla stessa ora, con una sincronia che non può essere casuale, ma che è rimasta non spiegata, perché tutte le volte che abbiamo cercato (sia in sede giudiziaria che parlamentare o giornalistica) un collegamento fra le bombe romane e quella milanese, non abbiamo trovato assolutamente nulla che lo provasse. Di qui è sorta l’ipotesi che si trattasse dell’azione terroristica di un gruppo nella quale si era infilato un gruppo rivale.
 

A favore di questa ipotesi stanno questi elementi:

a-dallo studio dei documenti emergono due costanti: Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie porta sempre all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno ed Ordine Nuovo porta sempre ai carabinieri ed al servizio segreto militare. Non si verificano mai rovesciamenti di questo schema

b-On ed An erano divise da una acre concorrenza.

c- anche fra Uaaarr e Sid in quegli anni c’era una competizione durissima. Sappiamo che il Sid cercò di scaricare la cosa su An e che, copertamente, fece arrivare documenti al collettivo della “strage di Stato” sempre per alimentare la pista Delle Chiaie

d-sappiamo che Di Luia era il terminale milanese di Delle Chiaie (anche se con qualche polemica ed allontanamento), cha a lui faceva riferimento Sottosanti e che, nel marzo successivo alla strage, cercò ed ottenne un incontro riservato con Silvano Russomanno (braccio destro di D’Amato allo Uaarr) per fare rivelazioni sul ruolo avuto il 12 dicembre.

e-sappiamo documentalmente che l’ “operazione anarchici” fu predisposta dallo Uaarr sin dall’agosto precedente la strage (con il, depistaggio sulle bombe ai treni e poi con l’iscrizione di Valpreda a “modello Z” sin dal 30 settembre), mentre carabinieri e Sid puntavano piuttosto su Feltrinelli
 

In questo quadro, non appare del tutto irrealistica l’ipotesi di una doppia bomba: una di An, nel quadro di una azione dello Uaarr mirante a gestire la tensione dell’autunno caldo, l’altra collocata dal gruppo mestrino-veneziano di On nel quadro di una operazione di appoggio ai colonnelli greci e per porre le premesse per scatenare violenze di piazza il 14 dicembre durante la manifestazione già convocata dall’estrema destra (ipotesi più volte affacciata -e con elementi a sostegno- da Vincenzo Vinciguerra).
 

Prove che questa seconda bomba ci si stata non ce ne sono, se non i labili indizi raccolti da Cucchiarelli (l’odore di mandorle amare ed il mal di testa dei presenti, la difficoltà di far entrare sei chili di esplosivo in quella cassetta jewell ed, infine, quel pezzetto di miccia che poi scompare), quindi siamo solo nel campo delle ipotesi. Però non è una eresia da anatema maggiore dire che possa esserci stata, pur se la spiegazione non può essere quella data da Cucchiarelli, mentre più accettabile logicamente appare quella che D’Amato dà nell’immaginario dialogo che chiude il film.
Anche perché, doppia bomba o non doppia bomba, resta ancora da risolvere il problema del parallelismo fra gli attentati romani e quello milanese di cui si è detto.
 

E veniamo al problema Calabresi. Il Commissario disse subito di non esserci stato, i suoi superiori (soprattutto Allegra) prima lo smentirono, poi confermarono ma sempre in modo assai ambiguo. Ovviamente sia la parola dell’interessato quanto quella dei suoi colleghi e sottoposti non vale granché, perché si tratta di persone direttamente interessate a difendere una tesi. Unico elemento resta la testimonianza di Valitutti che ha sempre sostenuto di non aver visto il Commissario uscire dalla stanza poco prima del trambusto durante il quale Pinelli precipitò. Parola che non abbiamo motivo di mettere in dubbio, ma che non risolve la questione, perché scarsamente probante. L’affermazione di Valitutti avrebbe ben altro valore se egli avesse detto: “Ho visto Calabresi entrare nella stanza subito prima di aver sentito quel rumore…” oppure “Ho visto Calabresi uscire da quella stanza negli attimi successivi a quel rumore”.
Queste sarebbero affermazioni di segno positivo, mentre la sua è una affermazione di segno negativo “Non ho visto Calabresi uscire…” il che non esclude che il commissario si sia allontanato dalla stanza in un momento di disattenzione di Valitutti che potrebbe non averci fatto caso o aver guardato da un’altra parte o aver avuto un colpo di sonno in quel momento.
 

Dunque, niente prove certe neanche in questo caso. Ma alcuni elementi portano a credere che effettivamente Calabresi non stesse lì in quel momento, fra l’altro alcune note confidenziali reperite da chi scrive queste righe molti anni dopo. Più che altro, indirizza in questo senso lo strano gioco dei vertici della polizia: oltre che le ambiguità di Guida e Allegra sule dichiarazioni di Calabresi, ricordiamo che il commissario venne letteralmente “scaricato” in occasione del suo processo con Lotta Continua. E si tenga presente che le norme impongono che un funzionario di polizia debba ottenere il permesso della sua amministrazione per sporgere querela per calunnia: quindi Calabresi venne autorizzato e scaricato. Infine, oggi sappiamo che le notizie alla controinformazione sulla sua presunta partecipazione ai corsi Cia negli Usa venero ispirate dall’agenzia Anipe, molto vicina allo Uaarr (il film ne parla e sono documenti che ho trovato personalmente). Poi Calabresi non venne trasferito -cosa che lo avrebbe in qualche modo tutelato- e non era protetto in alcun modo, al punto che un ignoto killer (e scrivo ignoro intenzionalmente non essendo affatto persuaso del giudicato penale che lo individua in Bompressi) potè avvicinarsi da solo, colpirlo alle spalle ed andar via senza nessuna fretta.
 

Dunque, dobbiamo chiederci perché al Ministero dell’Interno Calabresi parafulmine della campagna della controinformazione faceva comodo. Ed è un altro punto da chiarire ancora oggi. Questo non toglie che Calabresi avesse responsabilità pesanti per il trattamento imposto a Pinelli (assolutamente illegale) e, soprattutto, per la copertura data ai suoi uomini dopo il fatto. Insomma, il Commissario non era quel mostro che la controinformazione ha dipinto per anni, ma non era neanche quella “Alice nel paese delle meraviglie” che il film mette in scena.
 

Detto questo il film ha i suoi punti deboli, come abbiamo detto, ma resta un’opera coraggiosa che ci aiuta a far sapere ai più giovani cosa fu quella stagione di storia repubblicana. Con buona pace di quanti vorrebbero dimenticare che, oltre che i fascisti, in quella storia c’erano bei pezzi di Stato. Le collusioni ed i depistaggi non furono l’opera di qualche mela marcia annidata fra le pieghe della polizia, dell’Arma, dei servizi ecc (e di mele marce, da questo punto di vista ve ne furono davvero molte) ma di elementi che sia a livello basso che alto si muovevano all’interno di una teoria come quella della “Guerra rivoluzionaria” che non era la trovata di qualche giornalista, ma la dottrina ufficialmente adottata dalla Nato dal 1958 al 1974.
Quello che conta è questo, il resto sono solo minuzie.
 

Aldo Giannuli


FUMI E NEBBIE SULLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
di Sergio Cararo | da www.contropiano.org

PIAZZAFONTANALa madre di tutte le stragi di stato arriva nei cinema. Nelle aule di tribunale ha avuto minore fortuna. Serve una battaglia di verità storica e politica, altri tentativi portano solo fuori strada. Una testimonianza sulla morte di Pinelli.
 

Per una volta nella vita ci troviamo a condividere un giudizio di Adriano Sofri relativamente al film “Romanzo di una strage”. Come è noto, dal 30 marzo è in distribuzione nei cinema italiani l’ultimo film di Marco Tullio Giordana dedicato alla madre di tutte le stragi, Piazza Fontana. Il regista nega, ma la tesi del film in molti aspetti ricalca quella del giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli (Il segreto di Piazza Fontana) secondo il quale il 12 dicembre a Milano, nella Banca dell’agricoltura, furono due le bombe che esplosero. “Il film, avendo conservato questa tesi e avendola – grazie al cielo – spogliata dell’attribuzione agli anarchici delle bombe “innocue”, l’ha resa gratuita, dunque ancora più assurda: bombe d’ordine o parafasciste che “raddoppiano” bombe fasciste» scrive Adriano Sofri in un istant book elettronico che sta circolando in queste ore.
 

Parlare della strage di piazza Fontana nel nostro paese significa toccare un nervo scoperto, sensibilissimo e doloroso. Per molti, con quella strage l’Italia perse definitivamente l’innocenza, per altri -e noi tra questi – quell’episodio disvelò pubblicamente la guerra di bassa intensità in funzione anticomunista e antioperaia che era stata scatenata sul fronte interno dal 1966 dagli apparati dello stato statunitensi e italiani e che fece centinaia di morti, di feriti e di detenuti politici.
 

Scuotere l’albero delle manipolazioni e delle menzogne sulla strage di Piazza Fontana, passare al setaccio il tutto e cercare di raccogliere i frammenti di verità, è una operazione tutt’altro che semplice ma tutt’altro che impossibile.
 

Per l’anniversario dei quaranta anni della strage di piazza Fontana, la redazione di Contropiano e la Libreria Quarto Stato di Aversa pubblicarono un quaderno andato esaurito nonostante la ristampa. La libreria Quarto Stato si sta occupando di ripubblicarlo con una versione aggiornata – soprattutto sul versante del ruolo dei fascisti oggi – e contiamo di metterlo a disposizione in breve tempo. In quella pubblicazione abbiamo sostenuto una tesi che ci sembra esca confermata anche dalle polemiche di questi giorni sul film di Giordana: la verità giudiziaria sulla strage di piazza Fontana è una dolorosa illusione, l’unica operazione possibile è quella di stabilire o ristabilire una verità storica e politica sulla madre di tutte le stragi.
 

Il perchè si desume dal fatto che i due processi sulla strage (quello di Catanzaro e quello di Milano) sono arrivati a conclusioni giudiziariamente impossibili. Il primo processo si concluse con l’assoluzione degli imputati (tra cui Freda e Ventura), il secondo, riaperto a seguito della tenacia del giudice Salvini – dopo aver rovesciato le condanne in primo e grado e appello per i fascisti – ha assolto gli imputati dichiarando che i colpevoli erano quelli assolti nel primo processo, ma, essendo stati già giudicati, non potevano essere giudicati una seconda volta per lo stesso reato. Messe così le cose, pensare che in un aula di tribunale possa emergere la verità sulla strage del 12 dicembre 1969 è fuori discussione.
 

Ci sembra questo, invece, il punto debole dell’operazione del giornalista Paolo Cucchiarelli e della sua tesi delle due bombe. Il sogno di ogni giornalista, soprattutto di quelli di inchiesta, è che il loro lavoro possa contribuire a riaprire verità seppellite e far riaprire processi chiusi. Ma questa, come abbiamo visto, è una pura illusione. Ma ci sono altri punti di debolezza nell’impianto del libro di Cucchiarelli: la mezza ammissione di un alto dirigente dei servizi segreti italiani sulla “doppia bomba” – gente che per mestiere è abituata a manipolare la verità – non è un aggancio sufficiente per riscrivere una intera dinamica dei fatti, della storia e delle sue conseguenze.
 

La meticolosità con cui Cucchiarelli si dedica ai timer per dimostrare che le bombe erano due, è un esercizio di pignoleria che nulla aggiunge ai fatti fin qui riscontrati e che escludono la seconda bomba. Una cosa ci sentiamo di dirla: Cucchiarelli non è in malafede, non cerca una nuova verità di comodo che in qualche modo scagioni i fascisti e gli apparati dello stato tirando in ballo la pista di una seconda bomba “dimostrativa” degli anarchici a fare da scia alla bomba stragista vera dei fascisti e dei servizi. Il problema è che invece la manipolazione politica (della destra e degli apparati dello stato coinvolti) punta proprio su questo elemento per annacquare non tanto la verità giudiziaria (ormai definitivamente seppellita e compromessa dalle sentenze di un doppio processo) quanto per ipotecare la verità storica e la verità politica, ovvero l’unico terreno su cui oggi è ancora possibile e doveroso fare chiarezza sulla strage di Piazza Fontana. Tra questa non possiamo che sottolineare come il film cerchi in qualche modo di “santificare” il commissario Calabresi arrivando a dire che non era presente nella stanza della Questura dove era detenuto e interrogato il compagno anarchico Giuseppe Pinelli poi morto “cadendo” da una finestra della Questura stessa. In un dibattito a Roma abbiamo sentito la diretta testimonianza di un altro anarchico – Pasquale Valitutti, l’ultimo a vedere vivo Pinelli in Questura- affermare l’esatto contrario, vedi : http://www.youtube.com/watch?v=B4noUfN_UT4
 

Noi abbiamo provato a fare un lavoro di ricostruzione storica e politica tre anni fa. A dicembre abbiamo ripubblicato a puntate sul nostro giornale il testo del quaderno dedicato alla strage di stato. Qui di seguito le prime conclusioni alle quali eravamo arrivati. La ristampa di “Piazza Fontana: una strage lunga quarant’anni” ci aiuterà a continuare questa battaglia per la verità storica e politica sulla “madre di tutte le stragi di stato”.
 

Strage di Piazza Fontana. Quello tutti sapevano e che nessuno voleva dire
 

La pubblicazione tre anni fa del quaderno di Contropiano “sulla strage lunga quarant’anni” è stato il tentativo – riuscito dal punto di vista politico ed editoriale – di chiarire a livello di massa (l’ultima occasione è stata sabato scorso ad Arezzo) quale siano stati il contesto, gli obiettivi e i protagonisti della strage di piazza Fontana. Il presupposto di partenza che abbiamo sostenuto in questi anni è che la verità giudiziaria sulla strage di stato non la sapremo mai più e che l’unica strada percorribile oggi è quella della verità storica e politica. Accettata questa premessa non è possibile fare sconti a nessuno.
 

Una volta chiusa la stampa del quaderno, avevamo ricevuto da una fonte alcune informazioni “sensibili” delle audizioni del giudice Salvini davanti alla Commissione Parlamentari sulle Stragi nel 1997. Buona parte dei quei 21 minuti di sedute segrete della Commissione di cui il quaderno lamentava l’impossibilità di sapere, hanno avuto così la possibilità di essere riempiti.
 

Il quadro che ne emerge chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA, soprattutto quelli di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri ha il nome di Joseph Luongo (insieme a lui c’era anche Leo Joseph Pagnotta) ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Longo si fa fotografare insieme in un matrimonio). Gli “uomini neri” cioè gli autori delle stragi non erano più di venticinque/trenta persone organizzati su cinque cellule collocate una a Milano e quattro nel Nordest.
 

Insomma l’inchiesta del giudice Salvini ha portato alla luce tutto o gran parte di quello che c’era da sapere dietro e dopo la strage di Piazza Fontana sul piano giudiziario. Ma la sentenza del 2005 per un verso e la complice inerzia della politica (inclusi i partiti della sinistra eredi del PCI) dall’altro, hanno scientemente perseguito l’obiettivo di lasciare impunita la strage di Stato e di depistare l’attenzione su mille piste diverse che hanno confuso quella giusta. La verità sui mandanti era scomoda per il potere democristiano ma anche per l’opposizione che scelse il compromesso storico con la DC e la subalternità agli USA e alla NATO. Quando nel primo governo Prodi (1996-2001) ci fu la possibilità di fare chiarezza, prevalse la decisione di lasciare la verità seppellita negli archivi e in sentenze assolutorie. Di questo occorre essere consapevoli e da questo occorre partire per una battaglia di verità storica e politica sulla strage di Stato che non deve e non può fare sconti a nessuno. C’è da augurarsi che prenda corpo nel nostro paese un percorso attivo e collettivo che cominci a demolire la storia rovesciata in cui hanno cercato di manipolare la conoscenza storica e la verità politica nel nostro paese.
 

la redazione di Contropiano
 

12 dicembre 2011