“La giornata di una memoria”. Da un articolo di Eugenio Curiel sul genocidio dei popoli slavi.

di Gianni Fresu | da www.facebook.com

curielUn articolo di Eugenio Curiel del 1944 sul riscatto dei popoli jugoslavi, dopo il genocidio subito per opera degli italiani per ben 25 anni, mi da modo di tornare su un tema di scottante attualità politica, la cosiddetta “giornata della memoria”.

Eugenio Curiel, scienziato e partigiano triestino morto a soli 32 anni nel febbraio 1945, aveva sempre dedicato molta attenzione, sin dall’adolescenza, al genocidio umano e culturale delle popolazioni slave inglobate a forza nel regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale. Se ne occupò nuovamente nell’ottobre del ’44, quando la vittoria contro i nazifascisti da parte dell’Esercito nazionale di liberazione jugoslavo (Belgrado fu liberata il 20 ottobre), determinò una situazione nuova di fondamentale importanza per la guerra a Hitler e soci in tutto il resto d’Europa. Con l’esigenza della lotta di liberazione, in Italia, di riaffermare la propria indipendenza, libertà e unità conculcate dal nazifascismo, la guerra aveva però posto anche il problema di quelle realtà nazionali violentemente menomate dalle mire di grandezza dello sciovinismo italiano, prima e dopo l’avvento del fascismo.


Come sappiamo, in tempi recenti, proprio gli accadimenti di questo periodo (1943-45), hanno suscitato l’attenzione del “nostro” mondo politico e culturale per le sorti degli italiani costretti alla fuga dalle terre occupate e soprattutto per quelli tragicamente finiti nelle “foibe”, un’esigenza ritenuta tanto forte da spingere le autorità governative a dedicargli una giornata commemorativa ufficiale. Senza voler entrare in dettaglio su questo argomento, sul quale del resto esiste una vastissima bibliografia, fa riflettere che nella gran parte dei casi la trattazione di questi fatti finisca per omettere o trascurare del tutto la durezza dell’occupazione italiana: i crimini compiuti negli anni del regime fascista a danno delle popolazioni slave, fino ai massacri compiuti con i rastrellamenti, le deportazioni, l’uso sistematico dei campi di concentramento prima e durante la guerra.

Su tutto ciò tornò invece Eugenio Curiel in un articolo, La nuova Jugoslavia, (pubblicato su «La Nostra Lotta», a. II, n.17, ottobre 1944), scritto proprio nella fase più calda di questa storia. Secondo il suo giudizio, con la fine della prima guerra mondiale, il regno jugoslavo fu il risultato di un compromesso deteriore tra le potenze occidentali interessate a spartirsi quanto più possibile i vecchi domini asburgici nei Balcani. Il piccolo regno, costruito attorno a Serbia e Montenegro, si vide privato di parte significativa del suo territorio a favore degli Stati confinanti, all’Italia venne assegnata la fetta più consistente di territorio. Per croati e sloveni iniziò da subito un periodo drammatico, ben più duro e disumano del già pesante dominio austriaco, segnato da violenze e prevaricazioni finalizzate a sradicare le tradizioni culturali slave dei territori appena assimilati.

L’italianizzazione forzata con l’avvento del fascismo si fece ancora più brutale, insieme alla proibizione dei partiti e la soppressione della loro vivacissima stampa, a croati e sloveni venne impedito l’utilizzo della loro lingua, nelle scuole come nei luoghi di culto. Alla massiccia occupazione militare e burocratica fascista si accompagnò la consapevole distruzione della struttura economico-sociale locale: annientato il «ricco patrimonio cooperativo», le casse artigianali e l’articolazione sociale e cultrale del mondo contadino, sulle regioni dell’Istria e della Carsia il capitale bancario italiano finì per stritolare ogni residuo di vivacità autonoma fino a fare di queste le regioni con il più alto debito ipotecario in Italia, queste le parole di Curiel in proposito:

“Chi non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la loro indomita volontà di liberazione che il regime di terrore non riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola del 1929, i martiri di Basovizza del 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste del 1941”. 

Distrutta l’economia contadina, basata sull’allevamento zootecnico, strangolato il suo sistema di credito tradizionale a queste regioni fu imposta una condizione di miseria e abbandono resa ancora più intollerabile dalle vessazioni di un’occupazione militare e culturale conforme alle pagine più buie della peggiore tradizione coloniale. Con lo scoppio della guerra e la fine del debole regno jugoslavo la brutalità dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi si fece assoluta, ciò nonostante dal basso si formò da subito, con le divisioni partigiane guidate da Tito, una fortissima resistenza armata popolare capace di sconfiggere truppe di occupazione e fiancheggiatori, ancora Curiel:

“A decine di migliaia gli arditi combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo jugoslavo venivano massacrati e seppelliti nei campi di concentramento. Le truppe d’occupazione, ma anche le truppe dell’esercito fascista, italiani vesti dell’uniforme disonorante dell’aggressione e dell’infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono intere regioni: ma per l’eroico popolo jugoslavo la brutalità, la barbarie scatenata furono la gran diana per la lotta di riscossa popolare”. 

In un contesto di guerra i torti si sommano ai torti e, per quanto possa essere più o meno condivisibile, prima o poi arriva il momento del “redde rationem”. E’ assolutamente corretto studiare storicamente e far conoscere politicamente quanto accaduto nelle Foibe, ma lo è altrettanto ricordare che prima quelle stesse Foibe furono utilizzate per le popolazioni slave: sottoposte (dal 1918 al 1943) a deportazioni di massa, cancellazione della propria specificità culturale, linguistica ed economica; soggette a operazioni di pulizia etnica di massa e su larga scala. Portare in rilievo solo il tragico epilogo di una brutta pagina storica, omettendo tutto quel che l’ha preceduta e, soprattutto, cancellando la responsabilità del nazionalismo italiano (affermatosi in quelle terre ben prima dell’avvento fascista), significa fare opera di mistificazione dei fatti. Si è sentito spesso dire negli ultimi anni che l’Italia ha necessità di una “memoria condivisa”, tralasciando l’assurdità di una tale aspirazione (si può auspicare la condivisione del futuro e del presente ma la storia riguarda fatti già accaduti e vissuti, con relative scelte di parte, e condividerla significa riscriverla tendenziosamente), in realtà, anche in questo caso ciò che si vuole imporre non è una “memoria condivisa”, bensì un punto di vista, parziale e unilaterale, quello italiano. Si sorvola con troppa disinvoltura sull’esistenza, ancora oggi, in quelle stesse regioni, di popolazioni slave oramai italianizzate ma che portano nel loro codice genetico le sofferenze, le violenze e le umiliazioni patite con l’accorpamento all’Italia. Sarebbe questa la “memoria condivisa” che si vuole offrire? Quale “giornata della memoria” sarebbe quella che mette sotto i riflettori della storia solo i “torti subiti dagli italiani” e cancella totalmente il “nostro” violento dominio sui popoli slavi?

Gianni Fresu

http://www.cnj.it/documentazione/nostralotta.htm#nuova

La nuova Jugoslavia

Il crollo del fronte nazista nei Balcani, l’entrata dell’Armata Rossa in Jugoslavia e le vittorie comuni delle armi sovietiche e jugoslave hanno mostrato ancora una volta — ed oggi con evidenza inconfutabile — il contributo grandioso che il movimento di liberazione jugoslavo ha portato — sotto la guida dell’eroe leggendario dei popoli slavi, il Maresciallo Tito — alla causa comune dell’umanità progressiva in lotta contro la barbarie e l’infamia naziste.

Ciò che era speranza ed augurio di un’avanguardia, il diretto contributo del popolo sovietico e del popolo jugoslavo alla nostra liberazione, diviene realtà e oggi ogni italiano vede nell’avanzata sovietica-jugoslava un valido, decisivo, aiuto allo sforzo degli Eserciti alleati e del popolo italiano in lotta per la cacciata dei tedeschi e lo sterminio dei fascisti.

Avanguardia degli eserciti sovietico-jugoslavi, il IX Corpo d’Armata del NOVJ (Esercito Nazionale della liberazione della Jugoslavia) ha già liberato quasi tutta la Slovenia, costringendo l’occupante a trincerarsi in qualche capoluogo di provincia e isolandolo colla distruzione sistematica delle linee di occupazione.

Nel Primorsko (Litorale giuliano) e in tutte le regioni che furono testimoni dei delitti dell’imperialismo fascista ferve oggi una nuova democrazia. Nel fuoco della guerra di liberazione, il popolo sloveno ricostruisce ciò che il fascismo ha distrutto, conquista, alfine, la sua libera vita nazionale.

Costituita alla fine della prima guerra mondiale, la Jugoslavia era il risultato di un compromesso tra le grandi potenze imperialistiche, decise ad asservirsi attraverso il ricatto dei territori incontestabilmente jugoslavi, il nuovo Stato, sulle rovine dell’Impero asburgico, sorgeva attorno alla vecchia Serbia e al Montenegro. Appena i due terzi del popolo sloveno venivano aggiudicati al nuovo Stato: fra gli Stati confinanti veniva diviso il resto; la fetta più grossa veniva assegnata all’imperialismo italiano, cui toccava anche tutto il popolo croato dell’Istria.

Privati della loro libertà nazionale, agli sloveni ed ai croati compresi nello stato italiano rimaneva ancora una precaria autonomia culturale, di gran lunga inferiore a quella che essi avevano goduto sotto la vecchia Austria.

Il misero straccio di libertà elargito dalla democrazia prefascista, veniva strappato al popolo sloveno dal fascismo. Proibiti i partiti sloveni e croati, soppressa la fiorente stampa libera così diffusa tra i contadini sloveni che vantavano una percentuale di analfabeti inferiore a quella di ogni altro paese europeo, chiuse le scuole nazionali e reso obbligatorio l’insegnamento nella sola lingua italiana, contestato ai sacerdoti il diritto di predicare nella lingua nazionale, sul popolo sloveno e croato si abbattè lo stuolo fascista dei funzionari statali, dei podestà, dei segretari comunali, dei ferrovieri, dei maestri e, come in un paese di occupazione militare, una quantità di carabinieri e di militi.

Il ricco patrimonio cooperativo, le banche popolari, le casse artigianali e le numerose iniziative sociali, caratteristiche dell’economia piccolo-contadina degli sloveni, venivano saccheggiate e distrutte, mentre si estendeva sulle campagne istriane e carsiche il predominio del capitale finanziario che, attraverso le grandi banche italiane, si sostituiva al piccolo capitale commerciale sloveno e croato. L’Istria e la Carsia divennero così le regioni sulle quali – proporzionalmente al reddito – gravava un debito ipotecario più forte che in ogni altra regione italiana. I beni comunali così necessari ad un’economia in buona parte zootecnica venivano distribuiti secondo i soliti criteri dell’amministrazione fascista, arricchendo i beni che i “signori” italiani avevano da lungo tempo usurpato al contadino istriano.

Chi di noi triestini non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la loro indomita volontà di liberazione che il regime di terrore non riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola nel 1929, i martiri di Basovizza nel 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste nel 1941? Ricordo un villaggio sloveno sulle pendici del Monte Nanos, poche case in mezzo alla rada boscaglia carsica, sulla cima di una collina; per arrivarci soltanto una mulattiera e cinque ore di cammino dalla stazione dell’autocorriera. Miseria nera, nessun commercio, tasse enormi schiacciano una miserrima economia essenzialmente naturale, fondata su qualche capo di bestiame e sui magri prodotti di un suolo sterile, sassoso, dove qui e li sul grigio rosseggia il magro campicello costruito faticosamente trasportando a spalla un pò di terriccio. Ogni tanto un pattuglione di carabinieri o di militi, armato, col moschetto carico, passava per il paese, davanti alle porte chiuse, nel silenzio dell’odio generale.

Il governo italiano, il fascismo non ha fatto niente per questo paese, lo ha soltanto derubato, oppresso, offeso nei più elementari sentimenti di dignità umana e nazionale. L’unico edificio civile è la scuola, una scuola che il fascismo non ha costruito, ma ha rubato al patrimonio nazionale del popolo sloveno per metterci dentro un maestro fascista che obbliga i figli del popolo sloveno a compitare in una lingua che non sarebbe loro mai servita. Municipio non c’è, perchè il municipio fascista è chissà dove in fondo alla vallata. E in uno di questi paesi la giustizia popolare raggiungeva un giorno un maestro fascista, un sadico criminale tubercolotico che seviziava i fanciulli e, con bestialità orrenda, sputava loro nella bocca la sua saliva infetta.

Dopo la scuola il servizio militare, con destinazioni speciali, in formazioni speciali, separati dai commilitoni italiani dalla diffidenza che l’imperialismo fascista aveva deliberatamente creato tra gli sloveni e noi. A migliaia i giovani croati e i giovani sloveni pur di sottrarsi all’ingiuria di un servizio militare odioso, abbandonavano, tutti gli anni, casa e famiglia, per rifugiarsi in Jugoslavia.

Questa è stata per vent’anni la vita del popolo sloveno e del popolo croato oppressi dall’imperialismo fascista.

* * *

Nel 1941, Hitler e Mussolini aggredivano brutalmente il popolo jugoslavo che già cercava nella lotta contro il nazi-fascismo e nell’alleanza con l’URSS la garanzia della propria indipendenza.

Le colonne corazzate dell’esercito nazista infransero la resistenza del regio esercito jugoslavo, minato, nei suoi stessi ranghi, dal tradimento e dalla collaborazione col nemico. Allo sfacelo dell’esercito regio rispose l’eroica sollevazione di tutti i popoli della Jugoslavia contro l’occupante. A decine di migliaia gli arditi combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo jugoslavo venivano massacrati o seppelliti nei campi di concentramento.

Le truppe d’occupazione, ma anche truppe dell’esercito fascista, italiani vestiti dall’uniforme disonorante dell’aggressione e dell’infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono intere regioni: ma per l’eroico popolo jugoslavo la brutalità, la barbarie scatenata dai nazi-fascisti furono la gran diana per la lotta di riscossa popolare. Sui resti sconfitti dell’esercito regio si formarono i primi nuclei dell’esercito partigiano, che prendendo ben presto il carattere di un vero e proprio Esercito Nazionale Jugoslavo di Liberazione (NOVJ) gettò le fondamenta incrollabili per la nuova Jugoslavia, la Jugoslavia del popolo.

Alla base di questo vastissimo anelito di libertà e di vittoria era il movimento dell’O.F. (Fronte di Liberazione). Sorto per iniziativa del Partito comunista, nove giorni dopo l’invasione, esso raggruppò all’infuori di ogni distinzione politica o religiosa tutte le forze sane dei popoli della Jugoslavia. Fu questo vastissimo movimento popolare a garantire l’incessante sviluppo dell’Esercito di Liberazione, furono le migliaia di Comitati dell’O.F. che permisero all’Esercito di Liberazione di superare la prima grande crisi dovuta alla vasta offensiva nazi-fascista nella primavera del ’42.

In ogni villaggio, in ogni borgata della Jugoslavia si costituì il Comitato dell’O.F. e, in forme il più possibile democratiche, i migliori figli del popolo furono chiamati a partecipare a questi organi di potere popolare. Questa colossale organizzazione capillare garantì i rifornimenti al NOVJ, fornì i contingenti sempre crescenti che permisero di superare le sei offensive del nemico e di forgiare un esercito di 300.000 uomini.

Capo geniale, creatore di un esercito che i Comandi alleati annoverarono tra i fattori principali nella strategia generale della guerra, è stato il Maresciallo Tito. Tito, militante comunista, figlio di un contadino croato e di madre slovena, simbolo di quell’unione che sorge dalla comunanza delle libere volontà di tutti i popoli della Jugoslavia. E oggi al maresciallo Tito guardano tutti i popoli dell’Europa balcanica come alla loro guida sulla via dell’indipendenza e della democrazia popolare.

Nel fuoco della guerra di liberazione i popoli della Jugoslavia gettano, così, le basi della nuova democrazia.

Premessa del movimento dell’O.F. era stata – tre anni fa – la cacciata dell’occupante, il non riconoscimento del vecchio stato reazionario, dimostratosi incapace di organizzare la difesa del paese, la lotta per la democrazia popolare che assicurasse, nell’eguaglianza di tutti i popoli della Jugoslavia, l’unità e l’indipendenza nazionale.

Sotto lo stimolo delle esigenze belliche, dopo la vittoriosa resistenza contro la grande prima offensiva nazi-fascista, si riuniva nell’ottobre del 1942 il primo congresso dell’O.F., l’AVNOJ, il quale riconosceva nei Comitati dell’O.F. gli organi fondamentali per la lotta di liberazione e per il nuovo potere popolare e investiva Tito del Comando e della guida di tutto il movimento di liberazione. Al consiglio dell’O.F., all’AVNOJ, spettava la direzione e la rappresentanza politica dei popoli della Jugoslavia, senza che fosse ancora sconfessato il governo fuggiasco.

Lo sviluppo della lotta di liberazione e l’acutizzarsi delle condizioni generali portavano intanto i circoli reazionari raggruppati attorno a Mihajlovic e attorno ai collaboratori tipo Macek, a posizioni sempre più apertamente collaborazioniste e quindi all’aperto tradimento.

Durante tutto il 1943 obiettivo essenziale della lotta politica per la chiarificazione della situazione interna, condotta dall’AVNOJ, fu la definitiva liquidazione di qualsiasi equivoco che intorbidasse la profonda linea che separava ed opponeva all’occupante nazista i popoli jugoslavi, liquidazione quindi di ogni forma di autorità che rappresentasse un compromesso col vecchio ordine reazionario.

Fu in quell’anno che la guardia bianco-blu dei reazionari sloveni venne liquidata e finì collo sparire dopo il crollo dell’alleato e padrone fascista; fu in quell’anno che divenne chiara a tutto il mondo la funzione provocatoria che Mihajlovic esercitava per conto dell’occupante. Aperta venne dichiarata la lotta contro Mihajlovic e i manutengoli del governo fuoriuscito e le vittoriose affermazioni del NOVJ, sottolineando il contributo portato alla causa comune delle Nazioni Unite, portarono al riconoscimento internazionale dell’AVNOJ come guida politica dell’insurrezione nazionale dei popoli della Jugoslavia.

Gli organi del movimento dell’O.F. conquistarono quindi sempre nuovi riconoscimenti in campo internazionale, appoggiati in questa loro azione dal valido aiuto dell’URSS, protettrice di tutti i popoli in lotta per la loro libertà e, in special modo, dei popoli slavi verso la costruzione di un nuovo mondo nei Balcani tormentati. Fu l’Unione Sovietica che per prima riconobbe nell’AVNOJ il legittimo governo jugoslavo e strinse con esso normali rapporti diplomatici.

Sulla base di questi successi, l’AVNOJ, nel suo secondo congresso della fine del 1943, decise quindi la trasformazione del Comitato jugoslavo dell’O.F. in Governo, riconoscendo nel popolo organizzato nei comitati dell’O.F. l’unica fonte di potere per la nuova Jugoslavia.

Espressione della concorde volontà dei popoli jugoslavi, l’AVNOJ, per sua formazione federativa, costituisce una prefigurazione del Governo di domani, Governo popolare di una Jugoslavia, federativa e democratica. Nella democrazia e nella vita federativa si garantisce così libera espressione alle caratteristiche sociali e storiche di ogni popolo della Jugoslavia.

Guida alla costruzione della nuova Jugoslavia è stato il Partito Comunista. E’ stato possibile, grazie alla sua instancabile attività unitaria e alla sua vasta influenza, di trasformare i primi nuclei nel NOVJ, di creare in ogni villaggio il Comitato dell’O.F. Vero Partito bolscevico, esso sa unire, alla decisione ed all’audacia, la comprensione delle esigenze dei più larghi strati popolari e ne è prova l’iniziativa presa da esso, per la costituzione di larghe organizzazioni di masse femminili e giovanili che vengono ad interessare alla suprema lotta nazionale tutti gli strati popolari. La crescente influenza del P.C. nell’O.F., la profonda crisi degli altri Partiti i cui dirigenti si sono in massima parte posti al servizio dell’occupante, ha determinato i residui gruppi politici non compromessi a riconoscere in Tito la loro guida nella lotta per la nuova Jugoslavia popolare. Alla testa di tutti i popoli della Jugoslavia, il popolo sloveno che ha realizzato una giusta politica unitaria, combatte per una Slovenia libera, unita e democratica e getta già oggi le fondamenta della libera vita democratica.

Il movimento dell’O.F. consolidato in efficente organismo di governo ha promosso vaste consultazioni popolari in tutti i paesi della Jugoslavia. Anche nel Litorale (Primorsko) si sono svolte, e molto recentemente, le elezioni generali: tale era l’interesse della popolazione che i contadini dei paesi ancora occupati facevano chilometri e chilometri per deporre la loro scheda, per partecipare al loro comizio elettorale.

Così rivivono a nuova coscienza nazionale e democratica le popolazioni che il fascismo ha avvilito per vent’anni.

Libera vita democratica, autogoverno delle masse popolari, pieno riconoscimento degli sforzi che i popoli hanno compiuto per la loro liberazione: queste sono le direttive che informano l’azione politica del NOVJ nei territori liberati. E per questo non sono soltanto le popolazioni slave, ma tutti i popoli a guardare a Tito come a un eroe leggendario, campione di libertà. Non soltanto i popoli balcanici vedono nel NOVJ una grande forza liberatrice, ma tutti i popoli confinanti e particolarmente le nostre popolazioni del Veneto.

L’Armata Rossa ha raggiunto Budapest, l’Esercito di Tito sta ripulendo la Jugoslavia dalle truppe di Hitler: grandioso è l’aiuto che l’esercito di Tito potrà dare alla nostra lotta di liberazione.

Tendere tutte le forze per aiutare il popolo jugoslavo nella sua epica impresa; questo è il dovere di ogni italiano, questa è la via per avvicinare il giorno della liberazione, per dimostrare che non sul popolo italiano, ma solo sul fascismo ricadono le responsabilità e l’onta per i delitti commessi contro il libero popolo jugoslavo.

Ed è su questa chiara coscienza che già si fonda l’azione del popolo jugoslavo e delle sua avanguardia liberatrice. Gli italiani schiavi hanno ridotto in schiavitù il popolo sloveno e il popolo croato, ma gli sloveni e i croati liberi aprono oggi, con ampie libertà democratiche, nuovi orizzonti alla vita delle popolazioni che entrano nel raggio delle operazioni del NOVJ.

Lo spirito che informa le relazioni tra popoli liberi agli interessi progressivi di tutta l’umanità, è oggi, deve sempre più essere alla base delle nostre relazioni, della nostra amicizia per il popolo jugoslavo, araldo di libertà e costruttore nei Balcani della nuova Europa.

Dalla marcia sempre più rapida degli eserciti sovietici ed jugoslavi, facile è trarre l’augurio di prossime grandi operazioni per la liberazione della Venezia Giulia e dell’Italia nord-orientale dal nazi-fascismo.

Confidando nell’aiuto sovietico ed jugoslavo alla sua lotta, il popolo italiano, impegnato nella battaglia insurrezionale, rivolge – oggi, 7 novembre – il suo saluto augurale al popolo jugoslavo che l’U.R.S.S., guida dei popoli slavi, così validamente sostiene nella sua lotta per la riscossa e la libertà.

[Eugenio Curiel. Tratto da “La nostra lotta”, organo del Partito Comunista Italiano, a. II, n.17, ottobre 1944 ]