Non solo J. Edgar Hoover: la caccia ai rossi negli Stati Uniti

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

 

usa fumetto_anticomunistaDa inizio gennaio nelle sale cinematografiche italiane è in programmazione il film “J. Edgar” di Clint Eastwood, opera a metà strada tra biografia e autobiografia di J. Edgar Hoover, ininterrottamente a capo del Federal Bureau of Investigations (FBI) per circa mezzo secolo, dalla presidenza di Coolidge (1923-29) a quella di Nixon (1969-1974).

 

Questo articolo, anche a causa della scarsa dimestichezza del sottoscritto, non vuole essere una recensione cinematografica, ma più prosaicamente si limiterà a svolgere alcune considerazioni sulla storia degli Stati Uniti. Questo perché la scelta narrativa del regista rischia di confinare Hoover nella categoria impolitica e astorica del persecutore “paranoico” che tradisce i valori americani in nome della lotta alla minaccia comunista. Ci troviamo di fronte ad una visione unidimensionale che non fa il minimo accenno alla lunga storia della repressione dei movimenti operai e radicali avvenuta negli Usa, lasciando, quindi, lo spettatore alla mercé di una voluta ricostruzione di “parte”. Affidando il racconto alle memorie del protagonista, il regista non si pone certo su di un crinale apologetico, ma evita ogni accenno alla continuità in Hoover di un disegno repressivo già in atto da tempo e che vede in stretta alleanza autorità politiche, baroni dell’industria e grande stampa. Insomma in una narrazione impolitica e astorica, Hoover appare il malvagio che inquina un corpo sociale e politico altrimenti sano e caratterizzato da una normale dialettica democratica.

 

Da un regista passiamo ad un celebre drammaturgo statunitense. Arthur Miller ne “Il crogiuolo”, dramma storico sulla famosa caccia alle streghe avvenuta a Salem nel 1692 e scritto in pieno maccartismo, così descrive una particolare fobia americana: “Negli Stati Uniti un cittadino che non si dimostri reazionario è esposto all’accusa di complicità con l’Inferno Rosso. Così si dà all’opposizione un aspetto disumano che poi serve a giustificare l’abrogazione di ogni costume normale nei rapporti civili. Si pretende che un atteggiamento politico equivalga al diritto morale, e ogni critica è una malignità diabolica. Quando si traduce in atto una simile equazione, la società diventa una congerie di complotti e controcomplotti [.]”. Emerge il persistere di un complesso da assediati che accompagna la storia americana fin dalle sue origini, quando i primi coloni si vedevano circondati da una foresta vergine considerata come baluardo del diavolo. Non a caso alle popolazioni native veniva negata l’appartenenza al genere umano in quanto composte da bestie, diavoli e adoratori del demonio.

Il film di Eastwood come le parole di Miller delineano i temi – verrebbe da dire i topoi a stelle e strisce – del complotto ordito dall’estero e sostenuto da traditori interni, e quello, conseguente, della fedeltà ai valori americani. Temi che, in diverse fasi della storia statunitense, hanno fatto da mascheratura ideologica a violente spirali repressive e autoritarie.

 

L’ingresso degli Stati Uniti nel 1917 nella prima guerra mondiale a fianco dell’Intesa contro la Germania Guglielmina è battezzato come una crociata per la libertà e la democrazia. Principi che contrastano la torsione autoritaria che si verifica all’interno del paese: inizia, per dirla con le parole dello storico John L. Thomas, “una piramide repressiva” nella quale “la tradizionale distinzione americana fra pubblico e privato si dissolse in una confusione di organismi patriottici in competizione fra loro“. Inizia una caccia alle streghe patriottica coordinata dal federale Commitee on Public Information, diretto dal giornalista George Creel, e messa in pratica anche da gruppi di vigilantes, fautori di vere e proprie azioni squadriste contro pacifisti e dissidenti. Il Comitato finanzia ben settantacinquemila oratori che svolgono centocinquantamila discorsi in diverse città degli Stati Uniti. Nel Minnesota la Commissione di sicurezza pubblica procede alla chiusura di bar e sale cinematografiche, promuove la circolazione di prodotti favorevoli alla guerra e invita i “patrioti ad unirsi allo sradicamento delle attività e delle opinioni sediziose“. Interviene attivamente anche il New York Times con un editoriale nel quale si ricorda che è “dovere di ogni buon cittadino comunicare alle autorità preposte ogni manifestazione di slealtà di cui potrebbe venire a conoscenza“. All’impressionante campagna propagandistica e all’invito all’autocensura, si accompagnano drastiche misure legislative come l’Espionage Act (1917) e il Sedition Act (1918).

 

Il primo prevede salate multe e vent’anni di prigione per chi causa ammutinamento, tradimento o insubordinazione propagando false notizie o affermazioni; il secondo, più severo e completo, colpisce chiunque pronuncia, scrive e diffonde “qualsiasi forma di linguaggio infedele, profano, scurrile od offensivo circa la forma di governo degli Stati Uniti“.

Ma chi sono le nuove streghe? Sono sindacalisti e militanti della sinistra pacifista che subiscono l’arresto e la chiusura dei loro giornali: la caccia al traditore e al disfattista permette alle autorità di ridurre al silenzio, grazie anche a irruzioni armate in tutto il paese e processi di massa, l’IWW (Industrial Workers of the World), il combattivo sindacato di ispirazione marxista e internazionalista, e di colpire il partito socialista con il suo segretario Eugene Debs condannato a dieci anni di carcere per la sua attività pacifista. Non mancano anche le violenze nei confronti dei lavoratori impegnati in scioperi e nell’organizzazione sindacale e quindi passibili di essere tacciati di disfattismo. Nell’aprile del 1917 a Tulsa (Oklahoma) diciassette operai sono rapiti, legati agli alberi e frustati, mentre a luglio in Arizona duemila scioperanti sono presi in ostaggio da cittadini armati e deportati con carri bestiame nel deserto. Ma soprattutto, le nuove “streghe” sono gli immigrati di origine tedesca, i “german americans”, indicati come la quinta colonna del nemico. Giornali come l’Atlantic Monthly invitano caldamente la censura sulla stampa in lingua tedesca perché “è il pensiero tedesco il principale aggressore“, mentre sul “Chicago Tribune” si spera che il governo “la smetta di cincischiare con questi cosiddetti german-americani e che li metta in campi di concentramento fino alla fine della guerra“. Una speranza che trova riscontro nella realtà dei fatti perché molti sono, infatti, i tedeschi che, in quanto “enemy aliens”, finiscono in campi di concentramento; sono musicisti, banchieri, esponenti di famiglie economicamente influenti ai quali vengono sequestrate le proprietà1.

 

Alla fine della Prima guerra mondiale gli Stati Uniti d’America si rivelano al mondo come una grande potenza politico-militare ed economica. Negli anni del conflitto, grazie alle continue ordinazioni militari, vengono raddoppiati gli investimenti nell’industria manifatturiera, mentre triplica il valore della produzione industriale (dai 23,9 miliardi di dollari ai 62 miliardi). I progressi sono enormi anche dal punto di vista commerciale. Gli Usa, da paese principalmente debitore, si trasformano in paese creditore (ben 10 miliardi di dollari di prestito agli alleati), mentre si impennano anche le esportazioni estere.

All’interno lo sviluppo economico è accompagnato dalla ulteriore concentrazione monopolistica nei settori strategici dell’industria manifatturiera e mineraria. L’immediato dopoguerra negli Usa è caratterizzato da una forte ripresa del movimento rivendicativo operaio. Alla base ci sono il peggioramento delle condizioni di vita, l’aumento della disoccupazione in seguito alla smobilitazione dell’esercito e l’attacco degli imprenditori ai diritti conquistati nell’industria durante lo sforzo bellico (controllo dei prezzi, riconoscimento dei sindacati, giornata lavorativa di otto ore, ecc.). Nel 1919 si contano circa 3600 scioperi con la partecipazione di più di 4 milioni di lavoratori che chiedono la giornata lavorativa di otto ore, aumenti salariali in linea con il forte aumento del costo della vita, il riconoscimento dei sindacati e la contrattazione collettiva.

 

È in questo Paese, simbolo del capitalismo giovane, vincente e senza frontiere, che giunge l’eco della presa del potere bolscevico nel 1917. E vi arriva sia come nuova minaccia internazionale al modello americano che deve essere isolata, se non schiacciata, sia come pericolo di sovversione interna nei confronti della quale governo e industriali non fanno sconti.

Ad apparire sul palcoscenico è lo spettro rosso, la strega del comunismo. La paura, ingigantita dalle autorità, è quella di un contagio della rivoluzione bolscevica. A questo proposito bisogna ricordare che gli Stati Uniti partecipano con l’invio di truppe – 18.000 uomini – alla campagna internazionale per “strangolare alla nascita“, secondo le parole di Winston Churchill, la Russia rivoluzionaria (1918-1922). In azione accanto a quelle francesi, inglesi e giapponesi, le truppe statunitensi sbarcano a Murmansk (Russia settentrionale) e a Vladivostock (Estremo Oriente), con la motivazione ufficiale della protezione delle basi delle armate antisovietiche. Notevoli sono gli aiuti che giungono alle forze “bianche”: denaro, armi, munizioni e attrezzature varie. Nelle zone controllate dall’Intesa si segnalano depredazioni di merci preziose, requisite come compensazione per le spese di occupazioni, ed episodi di violenza e dura repressione. Si calcola che nei soli territori del nord russo le merci sottratte abbiano raggiunto il valore di un miliardo di rubli-oro. E il comportamento delle forze Usa non si discosta da quello degli alleati, come testimonia il generale Graves: “le crudeltà erano tali che esse indubbiamente saranno ricordate e verranno raccontate tra il popolo russo anche a cinquant’anni di distanza dal loro compimento. Gli Stati Uniti d’America si sono attirati l’odio del 90 per cento della popolazione in Siberia“.

Poco prima della fine del conflitto il Congresso aveva votato una legge che prevedeva la deportazione degli stranieri che si opponevano alle decisioni del governo e che, più genericamente, predicavano contro la proprietà privata. La paura, presunta o effettiva che fosse, è quella del contagio interno. Il New York Times, quasi a dare il via alla caccia al rosso, titolava “I rossi bolscevichi si danno molto da fare in questo paese”. Così nel dicembre del 1919, sotto la direzione del ministro della giustizia Mitchell Palmer e del suo collaboratore J. Edgar Hoover alla guida della “Divisione estremisti”, sono arrestati 249 stranieri di origine russa per essere poi imbarcati ed espulsi verso la Russia sovietica. Negli stessi giorni a Boston 400 operai incatenati ed ammanettati sono fatti sfilare per strada, con la stessa logica di disprezzo con la quale nel 1871 i comunardi furono esposti in gabbia nei giardini parigini del Luxembourg. Ma oggetto delle incursioni della polizia, i cosiddetti “Palmer raids”, sono anche le abitazioni dei militanti e le sedi delle organizzazioni di sinistra. Il ministro, accreditando una versione psicopatologica del dissenso, era profondamente convinto che lo stato dovesse impiegare risorse per “liberare il paese dagli agitatori rossi” colpevoli di diffondere “la malattia dei cattivi pensieri”.

Un mese dopo sono circa quattromila le persone che vengono arrestate su tutto il territorio americano, imprigionate a lungo e, infine, deportate. Un giudice federale spiega così le reali motivazioni di questo agire: le pene “furono applicate per dare una visibilità spettacolare all’operazione e per fare pensare che realmente esisteva un pericolo grave e imminente“. Il sospetto si dirige oltre che sugli attivisti sindacali, comunisti, anarchici e socialisti, anche sugli stranieri. Sono questi gli “agitatori esterni”, gli agenti dell’Idra bolscevica, che vogliono minare la base della struttura sociale del Paese.

Accanto alle autorità agiscono anche associazioni di cittadini privati che si reclutano in funzione di spie all’interno dei movimenti sindacali oppure di manovalanza della repressione come nel caso dell’American Legion che, in accordo con la National Association of Manufactures, costituisce corpi di vigilanza civica in funzione antisocialista e per la salvaguardia dal comunismo. Nette sono le simpatie fasciste del suo comandante nazionale Alvin Owsley: “Se fosse necessario, la Legione sarebbe pronta a proteggere le istituzioni e gli ideali del nostro paese nella stessa maniera usata dai fascisti per sbarazzarsi degli sterminatori che minacciavano l’Italia”.

L’arresto e la condanna a morte degli Italiani Sacco e Vanzetti, anarchici impegnati nell’attività sindacale, con la falsa accusa di partecipazione ad una rapina, rientra in questa logica repressiva. E lo dice chiaramente, riferendosi al secondo, il giudice Webster Thayer: “Quest’uomo, anche se non ha davvero commesso il crimine a lui attribuito, è non di meno colpevole moralmente, perché nemico delle nostre attuali istituzioni”.

Ma è nel secondo dopoguerra che la paura del comunismo genera una vera e propria caccia alle streghe all’interno del Paese. Gli Stati Uniti si trovano di fronte un’Unione Sovietica forte del prestigio della vittoria sul nazismo, del sostegno del movimento comunista internazionale e di parte del movimento sindacale statunitense. Alla politica estera del containment – sotto la forma della “Dottrina Truman” – per impedire ai sovietici di estendere la loro influenza, messa in pratica in occasione del sostegno alla guerra anticomunista in Grecia, prima, e poi dell’intervento militare in Corea nel 1950, si accompagna all’interno una massiccia campagna politica e culturale per convincere il paese della necessità di un’assoluta sicurezza interna e della preservazione dell’ordine esistente.

Il pericolo è quello della cospirazione comunista ordita da Mosca per minare il morale e l’unità della nazione, e ad alimentarla è la possibile presenza di cospiratori all’interno delle istituzioni federali. I grandi scioperi del 1945-46 che videro coinvolti quasi 8 milioni di lavoratori, con le richieste di aumento di salario, spaventano i grandi monopoli statunitensi e diventano la dimostrazione che la minaccia comunista è forte. La Camera di Commercio degli Stati Uniti si attiva dal 1946 al 1952 con la pubblicazione di una serie di opuscoli – “L’infiltrazione comunista negli Stati Uniti. Sua natura e come combatterla”, “I comunisti nel governo. I fatti e un programma”, “I comunisti nei sindacati. Fatti e contromisure” e, infine “Comunismo: a che punto siamo?” – per dimostrare che radio, cinema, teatro e televisione, mondo politico e sindacale sono sotto il controllo di Mosca. Tutta la politica di alleanza con l’Urss è messa in discussione, tanto che alcuni deputati repubblicani fanno stampare in tre milioni di copie un volantino nel quale la stessa amministrazione Roosevelt è accusata di essere parte di un gigantesco complotto mirante a far cadere Washington nelle mani dei comunisti. Per loro è chiaro: “lo spettro rosso del comunismo è in agguato sul paese, da est a ovest, da nord a sud”.

Democratici e repubblicani sono accomunati dalla stessa politica che lega l’amministrazione Truman a quella di Eisenhower. Mettere sul banco degli imputati il solo senatore repubblicano McCarthy è una eccessiva semplificazione storica. La sua colpa fu quella di alzare troppo il tiro delle accuse.

Che la minaccia sia ovunque è il democratico Truman in persona a ricordarlo: “Ci sono oggi in America molti comunisti. Sono dappertutto. Nelle fabbriche, negli uffici, nelle macellerie, negli incroci, nel mondo degli affari. E ognuno di essi porta in sé, in germe, la morte della nostra società“.

Nel marzo del 1947 il presidente succeduto a F.D. Roosevelt emana con l’Ordine esecutivo n. 9835 il “Programma per la lealtà dei dipendenti federali” con lo scopo di epurare dal pubblico impiego i dipendenti sleali, cioè sospetti di essere comunisti o simpatizzanti del comunismo. Il Dipartimento della Giustizia è invitato a compilare una lista delle organizzazioni giudicate totalitarie, fasciste, comuniste o generalmente sovversive. Si trovano così accomunate dalla stessa accusa associazioni e movimenti come il Partito comunista americano, il Ku Klux Klan, il Comitato per la difesa della Dichiarazione dei diritti, la Lega degli scrittori americani, gli Amici americani della natura e l’Associazione dei librai di Washington. Viene, inoltre, approntato un “Security index”, un elenco contenente ben 26.000 nomi di individui ritenuti politicamente pericolosi da rinchiudere in campi di concentramento in caso di emergenza.

Alla luce di questo, tutt’altro che eccezionali appaiono le pubbliche denunce dei primi anni ’50 del repubblicano McCarthy, presidente della Sottocommissione del Senato per le investigazioni, impegnato a scovare i traditori annidati nella stanza dei bottoni: “Ho con me la lista di duecento cinquanta persone, una lista di nomi che sono stati segnalati al segretario di Stato in quanto membri del partito comunista e continuano tuttavia a lavorare e a decidere la politica del Dipartimento di Stato“. Le attività della Commissione della Camera per le attività antiamericane (HUAC) e di altre commissioni portano, dal marzo 1947 al dicembre del 1952, all’apertura di 135 investigazioni sul comunismo, coinvolgendo tredici milioni di cittadini, al controllo di oltre sette milioni di dipendenti pubblici o impiegati in industrie operanti per il Governo, e all’allontanamento dal lavoro di cinquecento persone con l’accusa di “incerta lealtà”. Nel settembre del 1950 è approvata la legge McCarran sulla sicurezza interna che consente l’arresto, in caso di guerra o emergenza nazionale, di centinaia di migliaia di cittadini presenti in elenchi della Fbi e prevede pesanti condanne per i dirigenti di organizzazioni che, pur non essendo comuniste, perseguissero non ben specificati obiettivi paralleli a quelli del partito comunista. E l’anno successivo Hoover, il direttore proprio dell’FBI, con tutta tranquillità crede possibile la deportazione in campi di concentramento di mezzo milione di cittadini americani di dubbia lealtà in caso di guerra.

Gli Stati federali e le città costituiscono propri organismi di sicurezza e arrivano ad imporre il giuramento di fedeltà ai propri dipendenti. Nel 1951 nell’Ohio è attivo un Comitato per le attività antiamericane composto da rappresentanti statali e senatori incaricati di determinare l’influenza del comunismo in Ohio. Tra il 1951 e il 1954, sotto la guida di Samuel Devine, mette sotto accusa quaranta persone, la maggior parte delle quali sono studenti universitari o persone che nel corso degli anni ’30 hanno sostenuto i programmi socialisti o comunisti per porre fine alla Grande Depressione. Per il comitato sono ben 1300 i cittadini dell’Ohio membri del Partito Comunista e quindi agenti al soldo dello straniero.

Accanto alla famigerata American Legion alla caccia alle streghe partecipano anche organizzazioni ed associazioni private come i Reduci di guerra cattolici, le Figlie della rivoluzione americana, che, incoraggiate dalle pubbliche autorità, gettano sospetti sul cinema, la radio, la televisione e il mondo scolastico e universitario. I sospetti di comunismo toccano anche i libri: lavori come “Le opere scelte di Thomas Jefferson” vengono messe all’indice e bandite da una serie di direttive emanate dal Dipartimento di Stato. Contemporaneamente Hollywood produce più di quaranta film ispirati all’anticomunismo. Una battaglia a 360° che mira alla stabilimento del consenso.

Fino alla metà degli anni ’50, quando la guerra fredda lascia il posto alla coesistenza pacifica, la scena politica americana, come ricorda lo storico Bruno Cartosio, è dominata da un conformismo “imposto dal pervasivo clima di sospetto, dalla estrema rischiosità di ogni manifestazione di dissenso politico e dalla necessità di adattarsi“.

 

Diego Angelo Bertozzi

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

 

Storia del movimento operaio negli Stati Uniti (1861-1955), R. O. Boyer e H. M. Morais, De Donato, Bari 1974;

Not Without Honor: A History of American AntiCommunism, Powers, Richard Gid, Free Press, 1997;

Storia del popolo americano, Howard Zinn, Il Saggiatore, 2005

Storia degli Stati Uniti, Maldwyn A. Jones, Bompiani, Milano 1997;

La nascita di una potenza mondiale, John L. Thomas, il Mulino, Bologna 1999;

Il maiale e il grattacielo, di Marco D’Eramo, Feltrinelli, Milano 1999;

– Gli Stati Uniti contemporanei, Bruno Cartosio, Giunti, Firenze 2002;

Le XX siècle americain, Howard Zinn, Agone, Marsiglia 2003;

– Il crogiuolo, Arthur Miller, Einaudi, Torino 2004;

La creazione dell’America, Francis Jennings, Einaudi, Torino 2003.

Storia universale, Accademia delle Scienze dell’Urss, vol. 9 – Teti Editore, Milano, 1975

 

In rete: interessante archivio di immagini relative alla “Red scare” all’indirizzo web http://newman.baruch.cuny.edu/digital/redscare/

 

1 Nel 1963 l’amministrazione democratica di Kennedy cercherà vanamente di far passare un decreto per applicare l’Espionage Act alle dichiarazione fatte da americani all’estero.