Il seguente scritto, realizzato a scopi didattici, è stato pubblicato sul sito “Resistenze.org” il 10 febbraio 2018, disponibile su resistenze.org; da allora ha avuto decine di migliaia di visualizzazioni ed è stabilmente il primo risultato sul sito Academia.edu con la chiave di ricerca “giorno del ricordo”.
Dato che il revisionismo storico non si è fermato nell’ultimo anno, anzi si intensifica di forza, lo ripropongo (sistemato graficamente e in formato scientifico) per il pubblico di Marx21.it. Aggiungerei qui qualche piccola battuta.
Il M5S è consapevole dell’ondata di revisionismo storico in corso? Cosa pensa di fare riguardo alla vergogna con cui si è manovrato il sistema scolastico a proprio piacimento, come nel peggior sistema totalitario? Sappiamo già come la pensa Salvini a riguardo, ma la posizione del M5S non è chiara, e non sarebbe male che anche le sinistre (non considero tale il PD) battessero un colpo provando a portare la questione nel dibattito pubblico.
In attesa che la Politica affronti il tema mi appello alla società civile a difendere la verità storica e la dignità di un popolo che rifiuta la logica del nazionalismo e dell’imperialismo. Invito tutti i docenti delle scuole superiori e delle università a dare lettura pubblica in classe di questo scritto per le lezioni sul 10 febbraio.
La Resistenza passa anche dai piccoli gesti quotidiani.
Ce l’hanno insegnato i partigiani che hanno fondato questa Repubblica antifascista.
Alessandro Pascale, 29 gennaio 2019
INDICE
INTRODUZIONE: UNA PULIZIA ETNICA? p. 4
1) 1918-1940. LE PREMESSEp. 4
2) 1941-1943. L’AGGRESSIONE MILITARE ITALIANA p. 5
3) 1943-1945. LE FOIBE p. 7
4) 1945-1950s. L’ESODO p. 8
5) IL REVISIONISMO STORICO p. 8
6) UNA LOTTA STORIOGRAFICO-POLITICA ANCORA IN CORSO p. 10
FONTI & BIBLIOGRAFIA p. 11
APPENDICE:
IL PARTIGIANO MARIO TOFFANIN (IL “GIACCA”) e
LA VERITÀ STORICA SULL’ECCIDIO DI PORZUS p. 12
INTRODUZIONE: UNA PULIZIA ETNICA?
Nel 2004 con la Legge n° 92/2004, la Repubblica Italiana ha istituito il “Giorno del Ricordo”, per omaggiare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Da diversi anni tale ricorrenza è utilizzata per commemorare il fantomatico «eccidio di Italiani» che sarebbe avvenuto durante la Resistenza ad opera dei partigiani «slavo-comunisti» nella Venezia Giulia. Gente che sarebbe stata gettata ancora viva in cavità carsiche (le foibe appunto) dove sarebbe stata lasciata morire tra enormi atrocità per il solo fatto di essere italiana. In queste foibe sarebbero state gettate migliaia, decine (e qualcuno arriva pure a dire centinaia) di migliaia di persone. Nel 2002 l’allora Presidente della Repubblica Ciampi disse che le foibe furono una «pulizia etnica». Galliano Fogar, storico dell’Istituto Regionale friulano per la Storia del Movimento di liberazione, ha affermato che nessuno storico serio «osa sostenere tale tesi». Vediamo di ricostruire in maniera completa i fatti storici che si intrecciano alle vicende di un’area, quella dei Balcani, che per secoli è stata un crogiuolo di etnie, popoli, lingue e religioni assai diversificati, ma viventi in relativa tolleranza e tranquillità.
1) 1918-1940. LE PREMESSE
Nel 1918 la vittoria dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale rinfocola in alcune frange del Paese idee e velleità imperialiste e irredentiste, sempre ampiamente finanziate e sostenute da settori della Confindustria e dell’Alta Finanza. Ricordiamo a tal riguardo i finanziamenti provati all’Associazione Nazionalista Italiana fondata nel 1910, responsabile culturale primaria dell’interventismo italiano prima in Libia poi contro l’Austria-Ungheria, e il parallelo finanziamento dei progetti politici di Mussolini. In questo clima si assiste anche all’episodio di Fiume, con cui D’Annunzio ha occupato la città con mille uomini per un anno godendo di protezioni politiche ed economiche. Nel 1920 viene siglato il Trattato di Rapallo, con cui l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabiliscono consensualmente i confini dei due Regni e le rispettive sovranità: l’Italia non otteneva la Dalmazia (come da accordi del Patto di Londra, 1915), bensì solo Zara e alcune isole, oltre chiaramente all’Istria, Trieste, Gorizia e Gradisca. In tutto si trattava di 356 mila sudditi “italiani” nuovi. Ne erano esclusi 15 mila, ancora interni alle frontiere slave, ma compensati da 500 mila sloveno-croati ora cittadini italiani.
È immediato il tentativo di violenta assimilazione culturale: nel 1919 vengono chiuse 45 scuole croate su 49. Il razzismo del fascismo si manifesta la prima volta, quasi vent’anni prima delle leggi contro gli ebrei, nel ’20 a Pola con le parole di Mussolini: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone». Con la Legge Gentile del 1923 vengono chiuse in generale tutte le scuole non italiane presenti nel Paese. 500 scuole elementari slovene-croate sono strasformate in scuole dove si parla solo nella lingua di Dante e Manzoni. Poi iniziano le violenze squadriste, che partono nel 1919 con intensità crescente fino al 1922: nel 1920 viene incendiato il Narodni Dom, la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo. Capitano episodi come questo: 21 fascisti sparano a bambini da un treno, facendo 2 morti e 5 feriti. In un susseguirsi di violenze oltre 1000 circoli culturali, sportivi e assistenziali sloveno-croati sono chiusi, i loro beni e le sedi confiscate e date ad organizzazioni fasciste.
Con il rafforzamento istituzionale al potere del fascismo si intensifica l’italianizzazione forzata della regione, in ossequio ai principi nazionalisti propagandati da Mussolini: si assiste all’allontanamento o al trasferimento di dipendenti pubblici non italiani, all’italianizzazione di toponimi, nomi e cognomi stranieri. Inizia a questo punto la Resistenza della minoranza oppressa anche culturalmente e umanamente oltre che socialmente e politicamente. Nascono organizzazioni come TIGR e BORBA che adottano forme di lotta armata come risposta alla violenza subita. La repressione è spietata: tra il 1927 e il 1943 vengono svolti 544 processi a sloveno-croati, dando luogo a 476 condanne, 33 delle quale alla pena di morte.
2) 1941-1943. L’AGGRESSIONE MILITARE ITALIANA
Durante la guerra la repressione aumenta di intensità: a Trieste e nei territori italiani viene accentuata la repressione antislava e anticomunista con l’istituzione di diversi organismi, tra cui l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, la Polizia Economica, la Guardia Civica, la Milizia di Difesa Territoriale, la Guardia di Finanza e la Decima Mas. Un esempio di repressione è la Strage di Lipa, sulla strada tra Fiume e Trieste, avvenuta il 30 aprile 1944: in rappresaglia ad un attacco partigiano che ha ucciso 4 soldati tedeschi le truppe nazifasciste radunano gli abitanti sparsi nelle vicinanze, li stipano in un casolare e li bruciano vivi. Gettano poi bombe a mano per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti sono 269, fra cui donne e bambini (tre bambine non avevano neanche un anno).
Nell’aprile 1941 forze italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia che viene sottomesso in un paio di settimane. Tra le ragioni della partecipazione italiana è da segnalare che nel periodo dal 1925 al 1934 si è sviluppata un’ampia propaganda a sostegno del mito della «vittoria mutilata», in riferimento al mancato rispetto del Patto di Londra nell’ambito dei trattati di Pace della Prima Guerra Mondiale. Il tema è ampiamento ripreso dal fascismo che amplifica la politica nazionalistica e imperialista del regime. Ne segue da parte dei Servizi Segreti italiani in questo periodo il finanziamento a gruppi terroristici nazionalistici macedoni, kosovari e gli Ustascia croati. L’obiettivo è esasperare e rendere impossibile la convivenza etnica così da favorire in seguito all’annessione militare lo smembramento del Paese: in questi anni si diffonde anche culturalmente sulle riviste italiane l’idea di una «grande Croazia» e di una parallela «grande Albania», strutturati su sistemi fascisti simili a quello italiano. In tale ottica all’Italia sarebbero andati l’egemonia sulla Serbia e sulla Slovenia.
Con la sconfitta jugoslava del 1941, il ruolo militare giocato dai Tedeschi fa si che siano loro a decidere nei fatti la spartizione territoriale. All’Italia si accorda il controllo diretto del Montenegro, della Dalmazia, della Slovenia meridionale e del Kosovo. In Croazia viene favorita la nascita dello Stato collaborazionista degli Ustascia fascisti di Ante Pavelic. Tale regime ottiene l’appoggio politico del Vaticano e del clero locale, nonostante su una popolazione di 6 milioni di persone solo il 50% sia cattolica. Seguono anni di violenze, stragi e persecuzioni da parte dei croati contro le etnie rom, i serbi e gli ebrei. Si può parlare di un vero e proprio sterminio etnico. Nel solo lager di Jasenovac muoiono 100 mila persone. Una parte di questi lager sono situati nelle zone di occupazione italiane, a Pag e Jadovno, nella connivenza totale delle autorità politiche e militari italiani. L’arcivescovo di Zagabria, Stepinac, legittimò questa pulizia etnica sostenendo il regime reazionario clerico-fascista di Pavelic, e dichiarando che tutto ciò fosse in nome di Dio. La chiesa cattolica ebbe così un ruolo di primo piano nell’Olocausto balcanico giustificandolo come una conversione di massa degli infedeli (serbo-ortodossi). Il frutto di questo regime criminale sostenuto dal Governo Italiano è di 240 mila persone obbligate a convertirsi al cattolicesimo, di 300 mila esuli in fuga dal Paese e di oltre 500 mila serbi uccisi, da aggiungersi ai 25 mila ebrei e a 20 mila rom. Di questi fatti è data perfino notizia sulla stampa italiana, sulla quale però compare anche il sostegno esplicito e consapevole dei fascisti italiani. Molte sono le testimonianze degli stessi soldati italiani presenti alle esecuzioni degli Ustascia. Citiamo quella del generale Ponticelli, in una intervista rilasciata al giornale Il Tempo: «…quattro lustri di odio sono esplosi in un massacro che in un breve lasso di tempo ha avuto quale risultato lo sterminio di 350 mila serbi e decine di migliaia di altri… Tutti furono uccisi con torture inimmaginabili… Tutto può essere facilmente accertato e apparire in tutte le sue atrocità… Gli orrori che gli ustascia hanno commesso sulle ragazze serbe superano ogni idea… Centinaia di fotografie confermano i misfatti subiti dai pochi sopravvissuti: colpi di baionetta, lingue e denti strappati, occhi estirpati, seni tagliati, tutto ciò accadeva dopo che esse erano state violentate…».
In questo contesto nasce e si sviluppa la Resistenza Partigiana guidata dal Partito Comunista, il cui leader è Josip Broz, detto Tito. Questi propone a chi lo segue di ricostruire il Paese jugoslavo con l’unità delle varie etnie presenti ma rinnovando profondamente la società, con l’abbattimento dei rapporti di produzione capitalistici e l’instaurazione di un regime socialista. È contro i partigiani titini che si svolgono a questo punto le manovre militari italiane. Viene intensificata l’occupazione e la militarizzazione del territorio e si risponde alla rivolta slavo-comunista con la repressione selvaggia. Si prendono perfino accordi con un altro gruppo partigiano, quello di “destra” dei cetnici, nazionalisti monarchici guidati da Mihailovic (la cui organizzazione prenderà il nome di MVAC dal ’42, arrivando a contare circa 100 mila unità). Questi preferiscono rivolgere le armi contro i partigiani comunisti piuttosto che contro gli occupanti stranieri. Gli italiani giocano così con successo la tattica del «Divide et Impera». Il generale italiano Roatta a tal riguardo ha detto chiaramente: «si sgozzino tra di loro». Nella repressione del movimento partigiano si distinguono per ferocia anche gli Ustascia croati: per ogni caduto dell’Asse vengono giustiziati 10 prigionieri comunisti.
Dall’altra parte i titini ricevono direttive ben precise: non bisogna scatenare punizioni collettive contro i prigionieri di guerra ottenuti: i soldati semplici catturati vanno cooptati nelle proprie fila, vanno tenuti ostaggi o se la situazione non lo consente vanno rilasciati. Diversa sorte invece per gli ufficiali militari e i riconosciuti fascisti, ustascia e nazisti, che vengono giustiziati. Facile capire il perché: le maggiori violenze italiane sono messe in atto da squadre e truppe speciali fedeli direttamente al Partito Nazionale Fascista. Sono insomma le truppe più fanatiche ed esaltate di odio razzista e anticomunista. Al comando dei generali Robotti e Roatta sono in tutto più di 300 mila i soldati italiani nella regione. A loro viene ordinato di mettere in atto quello che è un vero e proprio regime di “terrore” contro le popolazioni civili. Le pratiche usate sono rappresaglie, deportazioni, confische, cattura di ostaggi, fucilazioni. In un discorso rivolto ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, nel 1943, un generale italiano afferma, in un discorso molto apprezzato da Mussolini: «So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori». Si segue la tattica della terra bruciata, tanto che gli italiani vengono chiamati dalla popolazione locale con epiteti che significano «bruciacase» e «mangiagalline». I partigiani catturati sono sempre fucilati. Spesso basta il semplice sospetto di essere legati ai partigiani per perdere la vita. Il tutto vale anche per le donne. In almeno un caso è attestato che sia stata fucilata anche una donna incinta. La guerra viene condotta dall’Italia con uno stile che in passato era stato riservato solo alle popolazioni coloniali africane. Gli alleati Tedeschi fanno lo stesso e applicano la regola per cui ogni morto tedesco meriti la fucilazione di 100 slavi. L’Italia, per ordine del generale Biroli, ritiene che un soldato semplice valga 10 slavi, ma se si tratta di un ufficiale allora si debba rispondere con 50 esecuzioni. Mussolini propone di procedere alla nuova equazione per cui ad ogni semplice ferito seguano 2 fucilati, alzando la quota a 20 slavi per ogni soldato italiano morto. 100 mila slavi sono deportati in 50 campi di concentramento presenti nell’Italia centro-meridionale, in 10 campi dell’Italia settentrionale, e nei campi costruiti sul luogo, come Gonars e Arbe. In quest’ultimo su 10 mila internati sono 2 mila i morti.
Durante questi anni di repressione e di occupazione il partito comunista serbo si organizza e già nel 1941 arriva a contare su 80 mila partigiani. La parola d’ordine lanciata dai partigiani jugoslavi è «Smrt fazismu – Slaboda narodu» («Morte al fascismo – Libertà al popolo»). Al termine della guerra l’esercito partigiano guidato da Tito è il più grande in tutta l’Europa occupata, arrivando a contare circa 800 mila uomini, trasformandosi nella fase finale della guerra in un vero e proprio esercito regolare capace di liberare autonomamente il Paese dal nazifascismo senza alcun contributo militare esterno, con il solo aiuto di due formazioni partigiane formate dagli ex militari italiani: la Divisione Garibaldi e la Divisione Italia. La prima opera in Montenegro e raduna circa 16 mila combattenti. In tutto saranno 7000 gli italiani morti combattendo tra le fila partigiane di Tito, andando a riscattare almeno in parte il nostro popolo che aveva portato il flagello del fascismo e della guerra.
3) 1943-45. LE FOIBE
Occorre certamente avere presente tutta questa storia pregressa per capire il fenomeno delle “foibe”, il quale comunque va spiegato nel dettaglio. I momenti messi in discussione sono due:
a) il primo riguarda il periodo successivo all’8 settembre 1943, data in cui il generale Badoglio, che ha preso il potere d’accordo con la monarchia e i fascisti destituendo Mussolini, annuncia l’armistizio e l’uscita dell’Italia dalla guerra. Nell’anarchia che colpisce l’esercito privo di direttive chiare, la nostra penisola viene invasa dai tedeschi e nella zona dell’Istria si crea un vuoto di potere di cui approfittano i partigiani, che riescono a liberare temporaneamente le principali città esercitando un mese di potere popolare. La rabbia popolare e la denuncia dei crimini di guerra dei nazifascisti porta a realizzare centinaia di processi popolari che portano a 500 condanne a morte eseguite. Di questi solo un centinaio sono “civili”, incriminati per la loro attività di collaborazionismo con le istituzioni nazifasciste. La stragrande maggioranza sono giustiziati per fucilazione, e solo una piccola parte dei cadaveri viene poi gettata nelle foibe, per ragioni di disorganizzazione, di fretta e di igiene (prevenire epidemie). Queste grotte d’altronde sono state spesso usate come “cimiteri”, specie in tempo di guerra, tant’è che le avevano usate anche nella Prima Guerra Mondiale e gli stessi fascisti italiani negli anni precedenti. Inammissibile che per l’episodio in questione si possa parlare di “pulizia etnica”. Si può segnalare a tal riguardo come l’8 gennaio 1949 un giornale locale di destra come Trieste Sera fosse costretto ad ammettere: «se consideriamo che l’Istria era abitata da circa 500mila persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto anti-italiano ma un atto prettamente anti-fascista. Se i partigiani rimasti padroni della situazione per oltre un mese avessero voluto uccidere chi era semplicemente “italiano”, in quel mese avrebbero potuto massacrare decine di migliaia di persone». Chi commette un vero ed efferato sterminio sono le SS assieme ai repubblichini di Salò quando nell’inverno del ‘43 riprendono il controllo della penisola istriana e massacrano 13mila persone. La maggioranza dei cadaveri (questi sì) viene gettata nelle foibe.
b) il secondo caso riguarda 40 giorni di potere partigiano nel maggio del 1945. In quel periodo scompaiono tra le 2000-3000 persone. Si tratta sempre di uomini e donne processati per la loro conclamata corresponsabilità in crimini di guerra e in atti di collaborazionismo con il nemico oppressore ora sconfitto. I processi politici sono svolti spesso in maniera sommaria e contro le indicazioni venute dal centro politico della direzione partigiana titina. Ad essi seguono fucilazioni, arresti e deportazioni in campi di prigionia. Pochi sono i cadaveri dei giustiziati che sono finiti nelle foibe. Le stime complessive parlano di 500 persone in tutto tra il ’43 e il ’45. È del tutto falso che fosse pratica usuale quella di giustiziare direttamente i condannati sull’orlo della foiba. Storiche locali come Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan parlano di un ordine di grandezza di alcune decine di infoibati collegati per lo più alle forze fasciste e di occupazione. Sulle famigerate foibe in cui si sostiene siano state gettate migliaia di italiani, le loro ricerche evidenziano che: nella foiba di Basovizza (che non è nemmeno una foiba ma il pozzo di una miniera), quando si è scavato alla ricerca di corpi, si sono trovati i resti di alcuni militari tedeschi risalenti alla prima guerra mondiale e qualche carcassa di animale; nella foiba di Opicina (Monrupino) si trovarono solo alcuni corpi di soldati morti in battaglia gettati lì per evitare che le carcasse diffondessero epidemie; nella foiba di Fianona non si è mai trovato nulla e nella zona nessuno ha mai sentito parlare di corpi ivi gettati. Infine, si è pure parlato delle foibe di Fiume…c’è solo un piccolo problema: a Fiume non ci sono foibe! L’unica foiba in cui si rinvennero i cadaveri di 18 fucilati è l’abisso Plutone. Si tratta in questo caso di prigionieri fascisti che vennero fucilati dalla cosiddetta banda Steffè, una banda composta in realtà da militari della X MAS che commettevano crimini facendosi passare per partigiani al fine di screditare questi ultimi agli occhi della popolazione.
Al di là del fenomeno contestato delle foibe occorre ribadire il bilancio bellico finale nella regione jugoslava, che ha visto morire 15 mila italiani a fronte di un milione di slavi.
4) 1945-1950s. L’ESODO
Con il Trattato di Pace di Parigi siglato il 10 febbraio 1947 la gran parte dell’Istria viene assegnata alla Jugoslavia, grazie ad accordi che verranno stabilizzati definitivamente solo con il Trattato di Osimo del 1975. A questo punto entra in gioco il tema dell’esodo, ossia della cosiddetta «cacciata» degli italiani dalle terre entrate a far parte della Jugoslavia. In realtà non c’è mai stata nessuna cacciata né tantomeno una persecuzione degli italiani in quanto tali. La presenza italiana in Istria e Dalmazia è rimasta viva ed attiva da allora fino ad oggi: sotto la Jugoslavia ha goduto sempre di tutele (scuole, istituzioni culturali, bilinguismo ecc) ed ancora oggi, nonostante il nazionalismo croato abbia ripreso vigore, è rispettata. A parte chi si macchiò di gravi colpe, nessuno fu costretto a lasciare la propria casa. L’esodo fu un’iniziativa volontaria, spalmatasi nell’arco di un decennio, della maggioranza della popolazione italiana presente in Istria e Dalmazia. Tra le 200 e le 250 mila persone emigrarono dalla regione, la gran parte verso l’Italia ma anche verso altri Paesi (Canada, USA, Australia). Occorre ricordare che agli abitanti delle zone divenute jugoslave venne data la possibilità di decidere quale cittadinanza scegliere, tant’è che in questo flusso migratorio si infilarono anche 30 mila croati e 10 mila sloveni, che non gradivano l’idea di vivere in uno Stato socialista. Questa in effetti è stata la principale motivazione per cui anche migliaia di italiani, in molti casi insediatisi sul territorio in epoca fascista, decisero di rientrare in Italia per il timore di essere identificati come ex fascisti e perdere il posto di lavoro; contano anche le pressioni del Governo italiano e del CLN di Fiume e Pola, controllati dalle forze partigiane più moderate e nazionaliste. L’assenza di una politica esplicitamente discriminatoria nei confronti degli italiani è confermata indirettamente dal fatto che 2500 operai italiani della “Cantieri riuniti” nell’arco del biennio ’46-’48 decidono di trasferirsi a Fiume e Pola per lavorare al servizio del nuovo Stato socialista.
5) IL REVISIONISMO STORICO
Dato che questi sono i fatti accertati storicamente, perché e come si è arrivati ad istituire il 10 febbraio “giornata del Ricordo”? Per 50 anni in effetti la retorica delle decine di migliaia di italiani “infoibati” e di altre centinaia di migliaia “in fuga” ha fatto parte solo della propaganda neofascista, mentre né lo Stato Italiano né le principali forze politiche italiane (ma neanche gli storici seri) hanno mai posto con forza la questione. Ciò è dipeso da svariati fattori, non ultime le ragioni della Guerra Fredda che vedeva la Jugoslavia un Paese sì socialista ma “amico” dell’Occidente, risultando così sconveniente polemizzare su tali fatti, sapendo peraltro quanto sarebbe stato facile agli jugoslavi rinfacciare i disastri compiuti dall’aggressione fascista, mostrando il reale rapporto di causa e conseguenza. Questi temi trovano nuovo spazio all’inizio degli anni ’90, in un nuovo contesto storico che ha visto il crollo dell’URSS e della Jugoslavia socialista, ma anche del forte e radicato PCI. Nel 1994 va al Governo in Italia Silvio Berlusconi, alla guida di un’alleanza politica di centro-destra comprendente per la prima volta nella storia repubblicana forze politiche di origine fascista (Alleanza Nazionale, ex-MSI, il partito nostalgico del fascismo durante la Prima Repubblica). In questo periodo inizia anche in Italia l’accostamento tra fascismo e comunismo nell’ambito degli opposti totalitarismi criminali e in tale ottica risulta utile riprendere anche il tema delle foibe, su spinta della destra italiana, che appoggia e sostiene pubblicamente una serie di storici e di “testimoni” di simpatie e trascorsi fascisti, che pubblicano una serie di lavori su cui è stata espressa una dubbia metodologia scientifica. [1]
Anche le forze di centro-sinistra, in buona misura ex-comuniste, appoggiano e sostengono tali processi di revisionismo, per mostrare di aver tagliato i ponti con le ideologie passate e per legittimarsi pienamente al Governo dopo 50 anni di “fattore K” (ostruzione dei comunisti dal Governo per le ragioni della Guerra Fredda). Hanno poi una grande responsabilità i presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano, che inseriscono il “giorno del ricordo” in un progetto complessivo in cui rientra anche la ripresa delle celebrazioni in pompa del 4 novembre, “festa delle forze armate e dell’unità nazionale” tesa a celebrare la vittoria della Prima Guerra Mondiale, un massacro di contadini e lavoratori definito «inutile strage» perfino da Papa Benedetto XV. È un progetto teso a ricostruire un’identità nazional-patriottica agli italiani che recupera temi irredentisti e militareschi, legittimando al contempo le forze politiche che per anni li avevano portati avanti e che anche per questo erano state considerate una minaccia per la democrazia. È il periodo in cui il Presidente del Consiglio Berlusconi nel 2003 afferma testualmente che «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino», dichiarazioni che andavano a gettare ulteriore discredito sul valore della Resistenza Partigiana Antifascista, base costitutiva della Repubblica Italiana. I discorsi parlamentari del Presidente della Repubblica Napolitano hanno peraltro provocato anche gravi tensioni diplomatiche con i Governi della Croazia e della Slovenia, i quali hanno protestato vigorosamente per la nuova narrazione storica proveniente dall’Italia, improntata al recupero di minacciosi argomenti imperialisti e razzisti. Argomenti diffusi non solo con discorsi e libri ma anche nel senso comune: per diffondere la nuova narrazione delle foibe è stato messo in atto «un progetto integrato piuttosto articolato e complesso» (Tenca-Montini), che ha previsto ampi finanziamenti pubblici alle associazioni dei reduci e un’attenzione particolare alle potenzialità della televisione, principale strumento di informazione. Il risultato più evidente di questo processo di propaganda è stata la fiction televisiva della RAI Il cuore nel pozzo, improntata ad un bieco razzismo anti-slavo e anti-partigiano. Si è giocato poi negli anni sull’equiparazione tra Shoah e Foibe e si è riusciti con ampie pressioni mediatiche e politiche organizzate dalle forze di centro-destra a far intitolare vie, monumenti e parchi ai “martiri delle foibe”, pur non senza ampie resistenze politiche provenienti da alcune forze politiche di sinistra oltre che dai settori dell’ANPI e degli intellettuali.
6) UNA LOTTA STORIOGRAFICO-POLITICA ANCORA IN CORSO
Tutte queste sono le ragioni principali per cui negli ultimi anni è stato istituito il “Giorno del Ricordo” e si è messa in atto una riscrittura della Storia alla quale si sono opposti gli storici italiani di livello internazionale, oltre alle organizzazioni politiche rimaste coerentemente antifasciste. Ad oggi il numero totale dei “martiri italiani” alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti pubblici e finanziari previsti dalla Legge n° 92 del 2004, è di appena 323, di cui “infoibati” in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell’Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle “più complesse vicende del confine orientale” cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell’ANPI ha chiesto di interrompere quantomeno l’attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l’argomento è trattato nelle scuole. Si è arrivati all’assurdo per cui un partito neofascista come Casapound abbia attaccato l’ANPI accusandola di «revisionismo storico» (!) e di «negazionismo», incriminazioni che sono mosse a chiunque intenda mettere in dubbio pubblicamente la versione dominante decisa politicamente, in una riscrittura della Storia di stampo orwelliano. In questo stesso giorno, 10 febbraio 2018, si svolge invece a Torino tra le polemiche un contrastato convegno (organizzato tra gli altri dalla illustre rivista di storia critica Historia Magistra), che si intitola “Giorno del Ricordo, un bilancio”, con l’obiettivo di investigare «le ricadute dell’inserimento del “Giorno del Ricordo” nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato». La lotta insomma, sia a livello storiografico che politico, è su questo tema tuttora in corso e non è detto che tutti gli studenti futuri abbiano professori che decidano di far loro una lezione su questi argomenti con un simile livello di approfondimento. La scuola è uno degli ultimi baluardi per reagire a questa offensiva culturale semi-totalitaria. [2]
Tutto ciò non deve comunque impedire il ricordo di quei pochi italiani innocenti e inconsapevoli che possano essere incappati in persecuzioni per errore, per vendette personali o per l’associazione italiano=fascista fatta da settori minoritari dei popoli slavi, in ogni caso mai legittimati formalmente dal governo jugoslavo. Serve però a ricordare la responsabilità primaria imputabile al nazifascismo degli orrori che hanno colpito in primo luogo i popoli slavi e in in misura quantitativa assai minore anche quegli italiani che si sono fidati malamente delle promesse di Mussolini.
Alessandro Pascale
FONTI & BIBLIOGRAFIA
In generale i materiali presenti sul sito I materiali presenti sul sito http://www.diecifebbraio.info/, curato da Resistenza Storica / Ed. KappaVu, La Nuova Alabarda, Promemoria – Ass. per la difesa dei valori dell’antifascismo e dell’antinazismo / Društvo za zascito vrednot protifasizma in protinacizma, Coord. Naz. per la Jugoslavia – onlus.
Inoltre le seguenti monografie:
C. Cernigoi, Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo, Kappa Vu, Udine 1997
E. Gobetti, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Roma-Bari 2013
F. Tenca Montini, Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi, Kappa Vu, Udine 2014
I seguenti articoli:
L. Filipaz, #Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo, “Wumingfoundation.com”, 8 febbraio 2015, disp. su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/02/foibe-o-esodo-frequently-asked-questions-per-il-giornodelricordo/
P. Purini, Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe, “Wumingfoundation.com”, 11 marzo 2015, disponibile su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/03/come-si-manipola-la-storia-attraverso-le-immagini-il-giornodelricordo-e-i-falsi-fotografici-sulle-foibe/
Le seguenti pagineenciclopediche:
Wikipedia, I massacri delle foibe, disp. su https://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe
Wikipedia, Giorno del Ricordo, disp. su https://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_del_ricordo
Wikipedia, Invasione della Jugoslavia, disp. su https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_Jugoslavia
Wikipedia, Occupazione italiana del Montenegro e del Sangiaccato, disp. su https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_italiana_del_Montenegro_e_del_Sangiaccato
Il seguente video:
Canale youtube “PoesiaDagliSpalti” (una pagina di “ultrà” calcistici), Le foibe. Per non dimenticare, “Youtube.com”, 28 gennaio 2010, disp. su https://www.youtube.com/watch?v=h_n_afXJOkU; come esempio di video di propaganda fazioso e mistificatorio.
APPENDICE
Pubblicato sulla pagina facebook “I Maestri del Socialismo”, da me gestita, il 12 febbraio 2018. È un utile e doverosa integrazione a quanto detto finora. A.P.
IL PARTIGIANO MARIO TOFFANIN (IL “GIACCA”)
C’è chi ricorda le foibe senza conoscere la Verità Storica e chi straparla accusando i crimini dei partigiani, ponendo a massimo esempio l’eccidio fascista di Porzûs. Noi ricordiamo tutto. Nella campagna revisionista tesa a criminalizzare la Resistenza italiana e jugoslava a vantaggio degli aguzzini e dei boia al soldo del nemico, ricordiamo un episodio di guerra nei cui confronti sono state dette troppe falsità e menzogne: Porzûs. Il più grande processo antipartigiano del dopoguerra nell’ambito dell’operazione “Stay behind” e della nascita di Gladio. A Porzûs gli eroici gappisti del Battaglione Ardito e Giotto comandati da Mario Toffanin, detto “Giacca” (Padova, 9 novembre 1912 – Sesana, 22 gennaio 1999) e da Dinamite delle Brigate Garibaldi hanno eliminato in nome del popolo italiano un’accozzaglia di traditori e spie, che anche Radio Londra aveva denunciato in maniera strumentale, essendo sponsor della Brigata Osoppo, un covo di bianchi, filo-inglesi, anticomunisti e conniventi sul confine orientale con i fascisti della Decima MAS.
Dopo la guerra i figli della “meglio gioventù” vennero perseguiti e condannati a pesanti pene detentive. Il compagno “Giacca” riparò in Jugoslavia e poi in Cecoslovacchia dopo il “tradimento” di Belgrado. Ricordare questa gloriosa azione di guerra significa capire la contrapposizione tra il proletariato e la borghesia. Il primo voleva farla finita con Hitler e Mussolini e con la classe sociale che li aveva portati al potere. La seconda aveva camminato a braccetto coi boia e le spie naziste e attendendo l’arrivo degli inglesi se ne era distaccata prima che la barca affondasse, pagando tutte le conseguenze della sua condotta. Onore al compagno “Giacca” esempio di disciplina e determinazione nella lotta contro la reazione. Porzûs azione di guerra giusta!
LA VERITÀ STORICA SULL’ECCIDIO DI PORZUS
Di seguito riportiamo una sintesi dei fatti di Porzûs sulla base degli studi più recenti che mostrano anche in questo come abbiano agito le forze revisioniste per diffondere tra le masse questo mito storico per anni propagandato solo dai fascisti.
L’eccidio di Porzûs viene ricordato come l’uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di 17 partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista, da parte di un gruppo di partigiani – in prevalenza gappisti – appartenenti al Partito Comunista Italiano. Tale evento è il tentativo per alcuni di delegittimare la Resistenza italiana proiettando sull’intero movimento partigiano un episodio ritenuto marginale, per gli altri della natura totalitaria e antidemocratica del Partito Comunista Italiano e del carattere sostanzialmente antinazionale della sua politica.
Su Porzûs si è per la prima volta evidenziata quella convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Nel 1997 venne fatto un film diretto da Martinelli, finanziato dal governo di centro-sinistra; all’epoca era ministro della cultura tale Walter Veltroni… La tesi che passa nel film – la stessa delle forze dominanti in tutti questi sessant’anni, con la differenza che viene fatta propria da ex-PCI – è della piena responsabilità dei comunisti friulani, e del PCI più in generale, presentati come asserviti agli interessi jugoslavi – mentre gli osovani risultarono i patriottici difensori dei confini dalle mire jugoslave.
In realtà:
-si omette che la collaborazione tra la Divisione “Garibaldi-Natisone” con il comando operativo del IX Korpus era stata suggerita dallo stesso CLNAI;
-Osoppo aveva rotto precedentemente il comando unificato Natisone-Osoppo quando il comandante scelto nell’estate ’44 era diventato un comunista;
-si omettono i contatti tra Junio Valerio Borghese e sua X Mas con esponenti della Resistenza non comunista (nello specifico “Verdi” Candido Grassi, capo della Osoppo), per la costituzione di un fronte anticomunista e antislavo. Questi contatti si infittiscono nel gennaio del ’45, poco prima dell’eccidio di Porzûs;
-si omette di dire che la donna giustiziata era considerata una spia di cui era stato accertato il collaborazionismo con i tedeschi durato per oltre un mese;
-si dimentica il ruolo svolto dagli anglo-americani e il loro interesse a mantenere distanti i comunisti slavi (si ragiona già in termini di guerra fredda);
-nel dopoguerra un processo falsato porta a 42 condannati, per lo più comunisti e leader della Resistenza.
In conclusione: in guerra, soprattutto durante una guerra partigiana, non c’é possibilità di fare le anime belle che si attengono ai giusti processi. Se ci sono motivi e prove fondate che ci sia un tradimento occorre agire subito, altrimenti ne va della riuscita stessa del conflitto, oltre che della propria vita personale. Nessuno dice che la guerra sia bella ma ha le sue regole tragiche e pensare di giudicare oggi quei fatti con le regole attuali è semplicemente assurdo e ingenuo.
Per approfondimenti suggeriamo la lettura di questo pezzo di Alessandra Kersevan: http://www.diecifebbraio.info/2012/02/porzus-il-piu-grande-processo-antipartigiano-del-dopoguerra/
NOTE
[1] Per capire la colossale montatura nascosta dietro alla favola delle foibe basta sapere chi sono gli “eminentissimi” storici che sono stati fonte di questa propaganda. Nell’ordine: Luigi Papo, noto fascista sotto il regime e a capo della Milizia Montona, responsabile di eccidi e di rastrellamenti partigiani, considerato dalla Jugoslavia un criminale di guerra di cui chiese l’estradizione (senza ottenerla, il che vale anche per molti altri casi); Padre Flaminio Rocchi, fascista esponente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia; Maria Pasquinelli collaboratrice della X MAS e dei servizi segreti della RSI; Marco Pirina, incriminato per il tentativo di golpe Borghese del 1970; Giorgio Rustia, militante di Forza Nuova; Ugo Fabbri associato al MSI. Il tutto coordinato dalla regia dell’avvocato Augusto Sinagra, legale di Licio Gelli ed asserito iscritto alla loggia P2. E che dire dell’unico sedicente supersite ad una Foiba che si conosca, Graziano Udovisi? Oggi intervistato con tutti gli onori dalla RAI, si tratta di un criminale di guerra già condannato dalla giustizia italiana: la sua pena, ma guarda un pò, venne attenuata in quanto scampato ad una famigerata foiba a Fianona.
[2] H sviluppato il tema nel libro uscito a gennaio 2019: A. Pascale, Il Totalitarismo liberale. Le tecniche imperialiste dell’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli 2019. Per una presentazione: A. Pascale, Presentazione de “il totalitarismo liberale”, “Marx21.it”, 18 novembre 2018, disp. su http://www.marx21.it/index.php/storia-teoria-e-scienza/marxismo/29390-presentazione-de-qil-totalitarismo-liberaleq.