di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
“Se pensiamo a quello che è stato il nostro Risorgimento non possiamo rimanere indifferenti a una sistematica repressione dei diritti umani in qualsiasi Paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte e calpestate le speranze accese di un risorgimento nel mondo arabo”: così si espresse il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, figura di primo piano del Pci -Pds-Ds-Pd, mentre si chiedeva e si otteneva l’intervento armato della Nato in Libia a fianco dei cosiddetti rivoluzionari di Bengasi.
I valori di libertà della tradizione risorgimentale italiana, che furono anche alla base della Resistenza a fascismo e nazismo, scadono a copertura ideologica di una guerra di aggressione imperialista che vede impegnata in prima linea l’Italia, legata da alleanza con il Paese aggredito. A sorprenderci non è tanto l’adesione di Napolitano e di gran parte della sinistra sedicente riformista alla propaganda della guerra umanitaria e democratica – le ultime critiche da questa sponda sono scomparse con l’uscita di Bush jr dalla Casa Bianca – quanto la volgare strumentalizzazione nel 150° dell’Unità d’Italia del patrimonio risorgimentale ad uso di una aggressione militare.
Per la prima volta – almeno a memoria di chi scrive – ideali di liberazione nazionale scadono a vuota propaganda a sostegno di una operazione militare che li calpesta nei fatti. E per la prima volta accade a sinistra per bocca di un importante esponente di quel che fu il più grande partito comunista nell’Europa occidentale. Ad essere sconfessata è proprio la tradizione antimperialista e di lotta per la pace che vide il partito di Gramsci e Togliatti attivamente impegnato, facendo propria la tradizione risorgimentale italiana. Si pensi a quanto dichiarava con forza Ruggero Grieco nel 1935: “Noi comunisti italiani, figli dell’eroica classe operaia del nostro Paese affermiamo davanti ai fascisti che l’eredità rivoluzionaria dei Garibaldi, dei Pisacane, dei Bandiera, appartiene al popolo italiano. Poiché siamo gli eredi di grandi patrioti come Garibaldi noi siamo contro ogni guerra imperialistica, contro ogni oppressione di altri popoli. Il popolo di Garibaldi non può opprimere altri popoli”1. Allora il pericolo di guerra si faceva sempre più consistente. Di lì a qualche mese l’Italia fascista avrebbe invaso l’Abissinia, facendo uso anche di armi chimiche per mettere in ginocchio la resistenza della popolazione. Allora il Partito comunista italiano, come tutto il movimento comunista internazionale, si trovò di fronte ad una guerra di aggressione condotta dall’Italia contro l’ultimo Paese sopravvissuto al colonialismo occidentale ed espresse nettamente la sua posizione, senza se e senza ma come si ama dire oggi. Queste le chiare dichiarazioni di Togliatti nella sua relazione al VII congresso della Terza Internazionale: “Il Pcd’I ha completamente ragione di prendere un atteggiamento disfattista verso la guerra imperialista del fascismo italiano, lanciando la parola d’ordine Giù le mani dall’Abissinia e io vi assicuro che se il Negus d’Abissinia spezzando i piani del fascismo, aiuterà il proletariato italiano ad assestare un colpo tra capo e collo al regime delle camicie nere, nessuno gli rimprovererà di essere “arretrato”. Il popolo abissino è alleato del popolo italiano contro il fascismo e noi gli esprimiamo la nostra simpatia. Le tradizioni rivoluzionarie del popolo italiano (…) spingono i lavoratori a schierarsi a fianco dei popoli di Abissinia contro i borghesi fascisti“2.
Allora, come ai nostri tempi per la Libia e in previsione per la Siria, la guerra fu preceduta da una continua campagna di demonizzazione dell’Abissinia del Negus (fino a poco tempo prima celebrato come amico e alleato dell’occidente, tanto quanto Gheddafi): in fondo si aggrediva un Paese barbaro, incivile, governato da un tiranno che imponeva la schiavitù, preda di bande che infastidivano le colonie confinanti, tanto che il Corriere della Sera con sdegno dichiarava di non capire come nella Società delle Nazioni l’Abissinia potesse sedere con uguali diritti accanto alle potenze civili3. I dirigenti comunisti avevano ben presente che il pericolo principale per la pace era rappresentato dal fascismo e dal nazismo e, in base a questo, decisero di sostenere un popolo aggredito indipendentemente dal carattere reazionario o meno del suo governo. Nessuno poteva permettersi di attendere che ad Addis Abeba si formassero dei soviet prima di portare la propria solidarietà!
Due anni dopo, quando l’impero – di carta – mussoliniano era già apparso sui colli fatali di Roma e Addis Abeba caduta, Ruggero Grieco, durante il Comitato centrale del marzo 1937, riconfermò la linea del partito: “Il Partito comunista italiano dà tutta la sua solidarietà ai valorosi figli di Abissinia che lottano per la libertà e l’indipendenza del proprio paese“. Qualche nostrano intellettuale4 potrebbe vedere in questa posizione del Partito comunista – allora legato con un patto d’azione ai socialisti di Nenni – la riconferma di una genetica predilezione dei compagni di Gramsci per i dittatori avversi all’Occidente. Ma così non fu. Giova ricordare che l’appoggio alla resistenza abissina si inquadra nella svolta intrapresa con il VII congresso dell’Internazionale comunista (luglio-agosto 1935) e la partecipazione di comunisti e socialisti alla difesa della repubblica spagnola contro il golpe franchista sostenuto dalle armi naziste e fasciste. A tradire la Spagna repubblicana e popolare furono potenze democratiche quali Francia e Gran Bretagna, fautrici di una colpevole neutralità. La posizione comunista, superata la parentesi della lotta al socialfascismo, si faceva sempre più chiara: fronte unito con i socialisti, alleanza con i partiti antifascisti in nome della lotta al regime fascista e alla guerra, per la libertà e una democrazia che superasse i limiti sociali di quella liberale.
Certo l’aperta solidarietà ai popoli abissini espressa da Togliatti potrebbe essere letta – con una buona dose di arbitrarietà – come espressione generica e dissociata dal governo non certo democratico del Negus Hailè Selassiè. A smentire, però, questa interpretazione c’è la testardaggine dei fatti e delle azioni intraprese dai comunisti italiani. Fin dal 1938 i comunisti Berti e Di Vittorio, il futuro segretario della Cgil, attivarono contatti diretti con il Negus, attraverso il suo segretario personale, per inviare in Abissinia quadri esperti dal punto di vista militare per organizzare la resistenza. Ad essere inviati furono Ilio Barontini, già commissario in Spagna della Brigata Garibaldi, Anton Ukmar e Bruno Rolla. Forti di personali lettere di accreditamento del Negus, organizzarono una efficiente guerriglia come primo nucleo di un esercito popolare, costituirono un governo provvisorio e fondarono un giornale della resistenza. Un impegno che terminò allo scoppio della guerra mondiale. Nessuno con questo articolo vuole in alcun modo paragonare i paesi della Nato all’Italia fascista o alla Germania nazista. Non avrebbe alcun senso. Il problema sul quale riflettere è però lo stesso che portò il Partito comunista a prendere le difese del popolo e del governo abissino: chi rappresenta oggi il pericolo maggiore per la pace? Chi, da ormai troppi lustri, con la mascheratura ideologica dell’esportazione della democrazia prima e dell’obbligo di difendere i civili ora, aggredisce impunemente paesi sovrani con la tracotanza di una tecnologia bellica impareggiabile? La risposta è semplice: gli Stati Uniti e il loro braccio militare, la Nato. Il no deciso ai piani di guerra e il sostegno al governo siriano, al quale partecipa in autonomia anche il Partito comunista siriano, non equivalgono ad un acritico sostegno al governo di Assad, anzi rappresentano la volontà di avviare un processo interno, quindi sovrano, di riforma e riconciliazione nazionale di contro ad una soluzione libica i cui pessimi risultati sono ormai sotto gli occhi di tutti5. Una posizione debole e fuori dalla storia? Tutt’altro se pensiamo che a proporla sono paesi a guida progressista come Venezuela, Ecuador, Bolivia, paesi a guida comunista come la Cina e Cuba e una ritrovata potenza come la Russia. Paesi che solo una propaganda bellica espunge con estrema puntualità dalla cosiddetta comunità internazionale6.
NOTE
1 – P. Spriano, “Storia del Partito comunista italiano. Gli anni della clandestinità”, Einaudi, Torino, 1969, pag. 419.
2 – C. Pillon, “Contro il pericolo della guerra fascista il VII congresso del Comintern lancia la politica dei Fronti popolari” in “I comunisti nella storia d’Italia”, Vol. 1, Teti editore, Milano, 1973.
3 – Sulla preparazione alla guerra all’Abissinia si rimanda A. Del Boca. “Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell’impero”, Mondadori, Milano, 1992 e, sulle violenze commesse dall’Italia fascista, al più recente “Italiani brava gente?”, Neri Pozza, Vicenza, 2005 pagg. 185-201.
4 – Il riferimento è all’articolo di Roberto Saviano “Elogio del riformismo” apparso su la Repubblica del 28 febbraio 2012 nel quale Gramsci era collegato ad un acritico atteggiamento di odio antiamericano e appoggio dei suoi discendenti politici alle peggiori dittature e a movimenti come Hamas ed Hezbollah.
5 – A titolo esemplificativo, ci riferiamo alla notizia “Libia, Onu: Crimini di guerra dai ribelli”, www.lettera43.it, 2 marzo 2012
6 – Per quanto riguarda la posizione della Repubblica popolare cinese si veda l’articolo D. A. Bertozzi “Siria, le ragioni del veto cinese”, Marx21, 22 febbraio 2012 http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/1092-siria-le-ragioni-del-veto-cinese.html