La memoria è un ingranaggio collettivo

valerio verbanoriceviamo e pubblichiamo

di Alba Vastano

da http://www.blog-lavoroesalute.org

Sono passati 40 anni da quel maledetto 22 febbraio 1980 e il nome di Valerio, la sua vita, la sua storia tremenda vivono nella memoria di migliaia di persone. Abbiamo la ‘prova provata’ che una vita troncata dalla violenza feroce, dalla viltà e dalla immonda mano fascista, com’è stata quella di Valerio Verbano e di tante vittime per mano fascista, non finirà mai nell’oblio. Nessuno, fra coloro che credono e lottano contro ogni violenza e che scelgono di schierarsi dalla parte delle vittime dell’odio politico e del razzismo, può dimenticare quell’omicidio che ha segnato un’epoca tragica, fatta di una spirale di violenze e di vendette fra gruppi politicamente rivali.

Non conoscendo bene la storia può apparire un fatto superato, un capitolo chiuso. E invece no, non è così. Sono passati 40 anni da quel maledetto 22 febbraio 1980 e il nome di Valerio, la sua vita, la sua storia tremenda vivono nella memoria di migliaia di persone. Abbiamo la prova provata che una vita troncata dalla violenza feroce, dalla viltà e dalla immonda mano fascista, com’è stata quella di Valerio Verbano e di tante vittime per mano fascista, non finirà mai nell’oblio. Nessuno, fra coloro che credono e lottano contro ogni violenza e che scelgono di schierarsi dalla parte delle vittime dell’odio politico e del razzismo, può dimenticare quell’omicidio che ha segnato un’epoca tragica, fatta di una spirale di violenze e di vendette fra gruppi politicamente rivali

“Valerio è vivo e lotta insieme a noi”, gridato da migliaia di giovani e meno, non è un mantra o un nonsense, ma racchiude il profondo senso della rabbia sociale contro un sistema che non fa sconti a nessuno e che non favorisce la giustizia, ma la reprime. Ed è anche un implicito riconoscimento verso un giovane, tanti giovani, tante vittime a cui è stato impedito di lottare per la libertà delle idee, per la qualità della vita e contro ogni disuguaglianza. La loro vita, la militanza e l’estremo sacrificio non sono stati inutili, perché hanno rappresentato negli anni il simbolo delle lotte contro chi, avvalendosi del potere, reprime i diritti sociali, e si avvale degli invisibili della società per scatenare la guerra fra poveri. E, come nel caso di Valerio, quando migliaia di persone si incontrano e gridano lo stesso nome e lo fanno ritualmente per 40 anni allora si attiva un ingranaggio potentissimo che è quello della memoria collettiva che si fa carne viva.

E nel far parte di quell’ingranaggio non si può non ricordare le barbarie di un’epoca di violenze e di vendette e ribellarsi sempre. Allora può accadere un miracolo. Può accadere che non sia più concesso spazio ai soprusi, alle violenze, alle disuguaglianze sociali. Quel miracolo non è ancora accaduto, perché la gran parte delle persone oggi si sono privatizzate, hanno blindato la loro vita. Si è ammalata di indifferenza e di cecità sociale, scegliendo la subalternità ai poteri forti, lasciando, ignari delle conseguenze,, che lorsignori gestiscano le nostre vite, mistificando la realtà e usurpando i diritti. Se la carne viva della memoria collettiva contagiasse, quale virus benefico, la visione comune, oggi distorta dalla malapolitica, si metterebbe davvero in atto un radicale cambiamento. Ci si libererebbe dalle ingiustizie sociali e da tutte le forme di populismi che hanno condotto al radicamento del neo liberismo e degli emergenti sovranismi.

Per questo la storia di Valerio, come quella di tanti giovani vittime della violenza fascista e di torture come Giorgiana, Carlo, Renato,Federico, Stefano, Giulio, Lorenzo, storie a cui non è seguita giustizia e riscatto, è ancora oggi uno strumento potentissimo di lotta che non possiamo, né vogliamo far cadere nell’indifferenza. Per questo anche quest’anno, il 22 febbraio del 2020, eravamo lì, in via Monte Bianco, in migliaia con le nostre bandiere rosse, con i nostri striscioni antifascisti a gridare insieme “Basta violenze, basta torture. Via il fascismo dalle nostre vite, dalle nostre città. Giustizia per le vittime”.

La storia di Valerio in cronaca

Il 22 febbraio 1980 per Valerio e la sua famiglia inizia, come tutte le altre giornate, con la colazione consumata insieme nella cucina della loro abitazione di via Monte Bianco, nel quartiere Montesacro della Capitale. Una normale giornata di lavoro e di studio, come tante. C’era il sole quel giorno, quasi a contraltare la tragicità degli eventi, di lì a poco. Valerio indossa i soliti jeans e mette i libri nella borsa di tolfa di Carla, sua madre. Gliel’aveva regalata lui, ma gli piaceva troppo e in quegli anni andava di moda. I giovani dell’epoca la usavano molto. Così come il poncho erano entrambi simboli di una definita appartenenza . “Ciao ma, ciao pà, io vado”. “Fai il bravo e torna puntuale”. A mezzogiorno in quella casa avrà inizio un percorso drammatico che porrà fine alla giovanissima vita di Valerio e segnerà la vita di Carla e Sardo, privandoli del bene più grande, il loro unico e amatissimo figlio. Carla, intenta a preparare il pranzo sente suonare alla porta. “Chi è?’´. ‘Siamo amici di Valerio”. “Valerio è a scuola”. “Possiamo aspettarlo in casa?”. Carla apre. Sono in tre, hanno il volto coperto dal passamontagna. La spintonano contro un muro e le tappano la bocca. Sardo è in camera da letto, sente dei rumori strani: “Carla chi è?”.

Carla non può rispondere. In due raggiungono Sardo, c’è un colluttazione. Sardo ha la peggio. Lo immobilizzano e lo legano con un nastro adesivo per pacchi. Estraggono una pistola. A Carla, che nel frattempo viene trascinata in camera e immobilizzata, sembra un manganello, tanto è lunga per via di uno strano silenziatore artigianale. Legano anche lei con il nastro adesivo con il quale tappano la bocca ad entrambi . “Non vi muovete sennò finisce male”, li minaccia uno dei tre, quello che resta in camera con loro. Gli altri due si posizionano dietro la porta. Sta per arrivare Valerio. La chiave gira nella toppa . Viene subito aggredito. Risponde aggredendo. Ѐ cintura nera di karate e judo, ma non ce la fa a bloccarli tutti e tre. Sardo e Carla chiusi in camera e legati non possono far altro che sentire. Ed è uno strazio. Urla soffocate, lamenti, rumore di cose sbattute. Uno specchio va in frantumi. Un ultimo urlo e poi il silenzio. Carla salta dal letto e striscia fino alla porta. Uno dei tre che l’aveva chiusa, l’ha aperta. I tre fuggono. Valerio è steso sul divano. “Aiuto mamma, mamma aiuto” con voce flebile.

Arrivano i soccorsi, chiamati dai vicini. “Valerio è bianco, veramente bianco, assolutamente bianco. Gli parlo, ma non risponde” ricorda Carla. Fine di una giovane vita, troppo giovane. Il caos ai funerali con la polizia che interviene a sproposito a mostrare ancora una volta il suo volto impietoso. Sardo tenta di calmare i manifestanti. Quel giorno, era il 25 febbraio, Valerio avrebbe compiuto 19 anni. “Buon compleanno, amore mio” sussurra Carla alla bara che contiene le spoglie di suo figlio. In quel caos quell’augurio è la nota più dolce, ma straziante. Inizia poi il tam tam delle rivendicazioni dell’assassinio. La mano omicida, verosimilmente, è quella dei Nar ( Nuclei armati rivoluzionari). Sapevano che Valerio stava raccogliendo in un book tanti nominativi dei fascisti di zona e non solo. Sapevano che Valerio era un comunista. Sapevano che non avrebbe abbandonato le ricerche per scovarli tutti e documentare le azioni eversive con foto e documenti. Per gli assassini fascisti andava eliminato. A mezzogiorno del 23 febbraio arriva una telefonata al quotidiano ‘Paese sera’, che all’epoca aveva una grande tiratura. Sono i Nar,dicono di aver lasciato un volantino in un cestino dei rifiuti in piazza Maresciallo Giardini.

Va un giornalista e lo trova “Nuclei armati rivoluzionari-comandi Thor, Balder, Tir: dalla fine della guerra ad oggi, mai un periodo di più fulgente splendore si è aperto per il movimento fascista….avvicinando la prospettiva sempre più attuale della rivoluzione nazionalsociale e antimarxista. Se il martello di Thor ha colpito a Montesacro e ha già roteato a Cinecittà è chiaro che altri mille martelli sono pronti a fare altrettanto” Firmato: Nar. Nei giorni a venire smentiscono la rivendicazione con altri comunicati. Dopo di allora la spirale di violenze e assassinii motivati da ideologie contrapposte, già innescata da tempo, non si fermò per lungo tempo. Erano gli anni di piombo, quelli della strategia della tensione. I peggiori della nostra vita.

Carla, madre coraggio, e il suo sogno

“Quasi ogni notte sogno di essere in strada con Valerio, in un viale alberato: mezzogiorno, estate, una giornata caldissima. C’è una fontanella e lui s’avvicina. Alcune volte è più alto della fontanella, altre più basso. Ma sempre, per arrivare all’acqua si sporge e poco dopo si scioglie. Valerio diventa liquido e scompare giù, nella bocca della fontanella. Quando mi sveglio, ogni mattina voglio solo una cosa: scendere nella bocca della fontanella. E solo una cosa mi ripeto, ogni mattina: sia folgorante la fine di questa storia” (Carla Verbano)

Carla è scomparsa il 5 giugno del 2012, a 88 anni. Era una donna forte e diretta. Ti diceva apertamente ciò che pensava di te e con poche parole ti sistemava. La seguivano e le volevano bene tantissimi giovani. Gli anziani non tutti l’amavano. In quel condominio le famiglie erano molto borghesi, di comunisti forse solo loro, i Verbano. In molti non hanno capito la sua voglia di riscatto, di giustizia e di verità, la sua intraprendenza. In moltissimi però l’hanno davvero sempre sostenuta in questa ricerca. Molti compagni e compagne non l’hanno mai lasciata sola Ha vissuto tutto il resto della sua vita, dalla morte di Valerio mai sola. Erano in tanti a sostenerla e a volerle bene. Specie dopo la morte di Sardo, grande compagno comunista, un uomo dolce e umile, ha vissuto per un solo progetto che ha sperato fino all’ultimo respiro si realizzasse.

Voleva che gli assassini di suo figlio bussassero alla sua porta e le dicessero il perché di quel delitto, per poi consegnarsi alla giustizia. “Prima di morire vorrei che l’assassino suonasse ancora alla mia porta– diceva Carla- Vorrei che, prima ancora di dirmi buongiorno, mi dicesse: Io sono l’uomo che ha ucciso suo figlio. Lo farei entrare e gli parlerei. Prima di morire vorrei capire. Gli preparerei un caffè, purché mi spiegasse perché l’hanno ucciso”. Era il suo unico grande, irrinunciabile desiderio. Viveva per questo. Voleva che la fine di quella storia fosse segnata dalla verità, l’unico riscatto per Valerio. Desiderava profondamente che la fine fosse folgorante e questo obiettivo era per lei il respiro quotidiano. Così non è stato, le prove sono state sommerse, gli assassini di Valerio sono ancora impuniti. Come vivono, in quale parte del mondo, con chi, se hanno figli ai quali nascondere la loro turpitudine non ci è dato di sapere. Quello di cui abbiamo contezza è che la loro vita, come quella di tutti gli assassini, è macchiata per sempre da una damnatio che non li libererà mai, ovunque siano.

A noi resta la memoria indistruttibile che è una grandissima forza quando si sostanzia in un ingranaggio collettivo che diventa sempre più tenace contro ogni forma di fascismo. Una memoria che prende corpo ogni anno,il 22 febbraio

(Ndr: Valerio l’ho conosciuto bene, fin da bambino. Aveva sette anni quando la sua famiglia e la mia si stabilirono in Via Monte bianco, nel quartiere Montesacro. Valerio bambino giocava spesso con i miei fratelli gemelli, suoi coetanei. Era un bambino viziatello e faceva dispetti, come tutti i figli unici, ma quel sorriso sornione e quello sguardo dolce e gentile lo scusava di tutto. Poi, già da adolescente, imboccò un estremismo pericoloso per la spirale di violenze che creava. Era un attivista militante in Autonomia operaia.

All’epoca non c’erano molte facce politiche, specie fra i giovani dominavano le due ideologie estreme. O si stava da una parte o dall’altra e si entrava in quell’odiosa spirale della violenza che a Valerio, come a tanti altri giovani è costata la vita. Tanti ricordi di quell’epoca. Una vita in via Monte Bianco. La mia storia, la storia della mia famiglia, la storia di Valerio, di Carla e Sardo. La loro una tragica storia Tornavo da scuola (insegnavo in una scuola privata del quartiere) quel maledetto giorno e mi trovai davanti una scena sconvolgente, impossibile da dimenticare. Quel volto esangue su una barella contornato da riccioli neri…il volto di un bambino. Per Valerio, per Carla, Sardo e per tutte le vittime del fascismo dobbiamo lottare sempre, per sempre, affinché queste efferate violenze non accadano più e si ripristini una società migliore, dove tutti siano liberi e uguali, pur nelle loro diversità)

Fonte: ‘Sia folgorante la fine” di Carla verbano e Alessandro Capponi. Ed. Rizzoli