Giancarlo Pajetta, il ragazzo rosso

di G. Carlo Bandinelli | da il Manifesto del 12 settembre 2012

pajettaIl 13 settembre del ’90, dopo aver passato le sue ultime ore nel clima che gli è sempre stato più consono: tra i compagni di base della “Festa dell’Unità” di una periferia romana, il compagno partigiano capo di stato maggiore delle Brigate Garibaldi e fondatore della Repubblica moriva d’infarto.

Una vita la sua tutta spesa nel PCI. Quasi tutta la giovinezza, 16 anni, passata in carcere.

La prima volta a sedici anni nel 1927, dopo essere stato espulso da tutte le scuole del Regno per la sua attività antifascista, viene incarcerato per due anni. E’ la prima volta, forse anche l’unica nella storia d’Italia, che un minorenne subisce il carcere per ragioni politiche. A vent’anni, diventato segretario della Federazione Giovanile Comunista, espatria clandestinamente in Francia. Successivamente a 22 anni, rientrato clandestinamente in Italia dopo due anni trascorsi in Francia, un tribunale fascista lo condanna a 21 anni di reclusione; verrà scarcerato poi nell’agosto del 1943 con la caduta del fascismo.

Nella guerra partigiana assume il nome di Nullo, il patriota garibaldino che aveva sacrificato la sua gioventù per la libertà della Polonia. Quale Capo di Stato Maggiore delle Brigate Garibaldi trattò con gli alleati l’accordo politico-militare che porterà al riconoscimento delle forze regolari Partigiane. Dopo la guerra di liberazione è direttore dell’Unità e membro della direzione del PCI, dove poi dal 1946 al 1986 farà parte della segreteria nazionale. Eletto nel 1945 nella Consulta e poi nel ’46 all’Assemblea Costituente, eletto alla Camera dei Deputati nel 1948 sarà confermato per dodici volte. Una vita spesa al servizio disinteressato per i cittadini senza alcun calcolo e tornaconto personale, un comportamento nella vita privata anche per alcuni versi francescano che fa a pugni con il passato e odierno modo vuoto di essere e apparire di molti.

Pur essendo sempre stato riformista (come Amendola e Napolitano) agli inizi del ’90 si oppose con Alessandro Natta, Armando Cossutta, Aldo Tortorella e Pietro Ingrao allo scioglimento del PCI.

Rispetto al travagliato momento che si stava aprendo verso lo scioglimento del PCI in alcune interviste giornalistiche ebbe a dire: “Neppure in carcere ho mai sofferto così, questo è il momento peggiore della mia vita politica. Ce lo vedo male un robot al posto della falce e martello. E spero che sia rossa la bandiera che mi accompagnerà nell’ultimo viaggio.”

Insomma, una vita tutta Comunista, non solo da ricordare. Una storia esemplare che si può anche meglio apprendere dal suo libro autobiografico: “Il Ragazzo Rosso” edito da Mondadori.