C’era una volta l’URSS

cccp monumentodi Pietro Missiaggia

Prefazione

Questa recensione nasce dopo la lettura del testo di Dominique Lapierre Il Était une fois lU.R.S.S[1], libro poi pubblicato in lingua italiana dalla casa editrice NET. Perché ho deciso di trattare questo testo, benché non sia un saggio storico, ma un semplice diario di viaggio dell’autore? Perché credo che, nonostante il testo in questione non intenda dare un ritratto storico definitivo sullURSS1, sia interessante poiché mette in luce aspetti della vita quotidiana sovietica poco noti, e soprattutto credo che siano degni di analisi i pregiudizi (in parte presenti nel libro) del mondo occidentale verso quell’esperienza politica che fu l’URSS. Nonostante qualche preconcetto, l’opera di Lapierre rimane ottima e degna d’essere letta.


Chi è Dominique Lapierre? Cosa racconta il suo libro?

Dominique Lapierre è un giornalista, scrittore e filantropo francese[2], autore dinumerosi testi. Nel 2005 viene pubblicato in francese il suo diario di viaggio in URSS che racconta la sua esperienza nel paese dei Soviet nel 1956, anno particolare nella storia dell’URSS, poiché nel febbraio di quell’anno il segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Nikita Chruščëv, denunciava i “crimini” di Stalin, mossa strategica per prendere il potere all’interno del gruppo dirigente sovietico, cercando di sminuire il ruolo del predecessore ormai defunto da tre anni. I risultati del XX congresso provocarono un terremoto ideologico all’interno del mondo comunista, che avrebbe portato poi alla fine di molte esperienze del socialismo reale nel biennio 1989-1991. Lapierre, giornalista di giovane età all’epoca, decise di intraprendere un viaggio in libertà in URSS insieme al collega Jean Pierre Pedrazzini e alle loro consorti. Essi inizialmente si recarono da soli in Unione Sovietica per un incontro fra i vari dirigenti sovietici – NikitaChruščëv, segretario generale del PCUS; Vjaceslav Molotovministro degli esteriNikolaj Bulganin, primo ministro – e l’expresidente della Repubblica Francese, Vincent Auriol. Successivamente, grazie allInturist, ovvero il ministero del turismo sovietico, poterono visitare l’URSS con estrema facilità nella parte europea, vale a dire le attuali Bielorussia, Ucraina, Russia e Georgia. Durante il viaggio, poterono intervistare e convivere con cittadini sovietici (occasione rara all’epoca), grazie alla loro guida ed interprete Slava Petuchov, giornalista della Komsomol’skaja Pravda[3], accompagnato dalla consorte Vera. Lapierre decise di visitare lURSS per curiosità e per portare ai francesi una visione più obiettiva del paese dei Soviet. Il viaggio di Lapierre iniziò da Parigi, attraversò le Germanie e la Polonia fino alla frontiera polacco-sovieticaondevisitò Brest-Litovsk, Minsk, Mosca, Gorkij, Kiev e altre città per poi ritornare con lo stesso percorso. Il viaggio durò circa 3 mesi. Il diario di viaggio-racconto continua però col rientro di Lapierre e del suo compagno di viaggio Pedrazzini a Parigi assieme anche a Slava, che aveva ricevuto lautorizzazioneper andare in Francia dalle autorità sovietiche, al fine di portare in patria «unimmagine della Francia»da esporre sui giornali sovietici, prima fra tutti la Komsomol’skaja Pravda, per cui scriveva. Il testo di Lapierre si conclude con la tragica morte di Pedrazzini, colpito da una pallottola sovietica mentre era inviato in Ungheria per seguire le vicendedellOttobre 1956, e con la morte di Slava, anni più tardi, nel 1995attribuita al forte attaccamento del giornalista sovietico verso la sua patria, dissolta nel dicembre del 1991.

Lutilità storiografica del testo di Lapierre

Come dicevo in precedenza, Lapierre illustra il suo viaggio in URSS con estrema semplicità e, come lui stesso ha affermato anche in precedenza, non ha interesse nel dare un giudizio positivo o meno sullURSS, ciò è da considerare positivamente dal mio punto di vista. Il libro riporta fonti interessanti e inedite per il lettore, ma anche pregiudizi tipici dell’Occidente verso l’Unione Sovietica. Lapierre, durante il suo viaggio, descrive l’atteggiamento dei sovietici verso il processo di destalinizzazione avviato da Chruščëv.Questo non viene visto in maniera acritica come avveniva spesso allepoca, ma ne mette in luce molti lati negativi. Il processo di destalinizzazione viene visto negativamente da molti cittadini, poiché Stalin veniva fino a poco tempo prima ammirato come «padre dei popoli» che costituivano lURSS. D’altra parte Chruščëv, demolendo il mito di Stalin e denunciandolo dei crimini e di aver manomesso la teoria marxista-leninista col culto della personalità, non rappresenta una mossa “benefica” sul lungo periodo, ma linizio della burocratizzazione, della fine dell’unità politica del campo socialista, e soprattuttola presa di potere da parte diNikita con la criminalizzazione del passato e dei suoi oppositori. Insomma, la destalinizzazione è stata una mossa politica ben escogitata, primo segno di frattura nel campo socialista, e inizio dellascesa del revisionismo della dottrina marxista-leninista nel campo socialista, come avrebbero affermato Enver Hoxha e Mao Zedong, ed in parteanche altri statisti del blocco socialista[4]. Lapierre cita inizialmente nel suo libro la rivolta studentesca contro la destalinizzazione kruscioviana, dedicandovi anche un capitolo, in Georgia tra il 4 ed 10 Marzo 1956.Dalle parole di Lapierre:

«Il mondo stupefatto aveva saputo che l8 Marzo si erano svolte manifestazioni a Tbilisi e in altre città della Georgia, terra natale di Stalin, per condannare la requisitoria del XX Congresso contro quello che fino a prima era il “padre dei popoli” egli poi continua parlando della repressione di Chruščëv: “Carri armati e camion carichi di soldati […] stavano andando a soffocare la ribellione dei georgiani contro il nuovo padrone dell’URSS”»[5].

Interessante è vedere la poca attenzione prestata dai mass-media occidentali e dalla grande stampa sul tema e come tutt’oggi questo evento risulti sconosciuto; lo storico tedesco Gossweiler ne parla nel suo testo Contro il revisionismoove cita il Times e la visione data da alcuni diplomatici occidentali che osservano l’attaccamento della popolazione al leader sovietico (circa 150.000 attivisti) fanno comprendere che l’atteggiamento nei confronti di Stalin non è per tutti uguale[6-7]. Le manifestazioni come citato nella nota numero 7 si erano diffuse non solo a Tbilisi, ma anche a Gori, Suchumi e Batumi. Successivamente alla repressione delle proteste pro-Stalin ci furono molti arresti da parte del KGB[8] e l’esplosione di un sentimento nazionalistico da parte di molti georgiani. La repressione di Chruščëv in Georgia fu un’azione per consolidare il potere che il nuovo leader sovietico prese in considerazione, anche se questa repressione finì col consolidarsi di tendenze nazionalistiche nella popolazione georgiana. L’ex presidente della Georgia post-sovietica, Eduard A. Ševardnadze, che al tempo era leader della gioventù comunista a Kutaisi, la seconda città più popolosa della Georgia disse che «Il comportamento di Chruščëv al XX congresso, ove egli avrebbe anche[preso di mira] oltre che Stalin la stessa popolazione georgiana con [battute ironiche] era inaccettabile per la popolazione sovietica»[9]. La repressione in Georgia attualmente viene ricordata dal governo filo-occidentale georgiano non come una repressione antisovietica e antirussa e non come un gesto studentesco per difendere la memoria di Stalin[10]. La manifestazione pro-Stalin sarebbe anzi sfociata anche in un nazionalismo disperato ed in forti violenze di strada come saccheggi. La sommossa era iniziata, citando il resoconto dello stesso Lapierre, «con una manifestazione studentesca in favore di Stalin» contro le calunnie del XX congresso, successivamente è sfociata in repressione da parte delle autorità sovietiche e di nazionalismo ed isteria da parte di molti georgiani manifestanti. Lapierre carpì dal viaggio in Georgia interessanti dettagli, che secondo il mio parere sono utili per comprendere la vita durante l’epoca sovietica: egli scrive che i sovietici georgiani ascoltavano anche musiche occidentali fra cui il jazz americano, ballavano il boogie e il cheek to cheek[11]. Visitando la casa di un chirurgo georgiano fortemente comunista egli apprese che il popolo sovietico non era isolato dal mondo, egli ad esempio aveva «una potente radio con la quale è possibile captare Parigi, Londra, Madrid e Roma, salvo quando le stazioni sono disturbate», inoltre, egli notò che la libreria del chirurgo Georgij possedeva libri di Balzac, Victor Hugo, Flaubert accanto a quelli di Lenin[12]. Il signor Georgij disse a Lapierre parole commoventi di un paese che s’incamminava ogni giorno nella costruzione di una società nuova, quella socialista, dal suo punto di vista di medico: «La scienza ha dimostrato che Dio non esiste, infatti tutti gli esseri nascono, crescono e muoiono e la vita è solo una delle forme di esistenza della materia». Aggiunse «che il mio scopo è quello di creare con il mio lavoro, condizioni umane migliori per oggi e per il domani», concludendo: «nell’ambiente comunista l’uomo raggiunge la massima felicità a differenza dell’uomo in un ambiente capitalista»[13].

Vorrei distaccarmi un attimo dalla visione dei russi e dalle ripercussioni del XX congresso, per vedere se effettivamente in URSS c’era un afflusso di informazioni occidentali e senso critico da parte della popolazione. Effettivamente c’era: i cittadini sovietici erano spesso interessati alla letteratura straniera e molto colti. Come notava lo stesso autore all’inizio del suo viaggio, presso una famiglia della Bielorussia osservò libri francesi molto conosciuti come Papa Goriot e Madame Bovary ed i romanzi gialli di provenienza tedesco orientale[14]; inoltre i cittadini sovietici chiedevano sempre giornali stranieri quando notavano rari turisti, anche se non conoscevano la lingua del determinato giornale[15]. Questo smonta un pregiudizio occidentale molto diffuso sia in passato che oggi nei confronti del socialismo reale: quello secondo cui i cittadini dello stato socialista sarebbero “indottrinati” esclusivamente a propaganda e non avrebbero avuto conoscenza della cultura estera. Ciò è dimostrato anche dall’esperienza di Lapierre come fuorviante. Mi viene in mente a tal proposito una frase del segretario del Partito Socialista Operaio d’Ungheria, János Kádár:«La cultura socialista abbraccia tutti i veri valori della cultura umana. In Ungheria i classici della letteratura mondiale escono a forte tiratura. Ricordiamo a titolo di esempio, che i classici francesi vengono pubblicati qui da noi con una tiratura superiore rispetto alla stessa Francia». Il leader ungherese proseguiva il suo elogio della cultura e lo spazio che uno stato socialista, come era l’Ungheria, dovrebbe riservarle: «La tiratura annua di libri supera i settanta milioni di copie, con un aumento cioè di otto volte rispetto agli anni precedenti», aggiunse poi che era aumentato anche l’interesse e la possibilità dei cittadini di recarsi al cinema, al teatro, concludendo: «Al tempo spesso, però non vogliamo che con il pretesto di uno scambio di valori spirituali, penetri tra noi la propaganda nemica, alla quale anzi sbarreremo decisamente la strada»[16]. Egli tirò le somme affermando che lo stato socialista è interessato alla cultura, ma combatte la propaganda culturale nemica. Non mi dilungherò eccessivamente sulle tecniche che l’imperialismo occidentale usa a livello culturale per sabotare un paese nemico. Citerò sul tema Il Totalitarismo Liberale scritto dal Prof. A. Pascale[17].

Ritornando al sentimento della destalinizzazione, Lapierre cita due interessanti episodi: il primo è una conversazione con una ragazza moscovita, di nome Zenja Gregorieva, che canta all’autore una ninna nanna con un significato implicito sulla natura controversa del XX congresso:

Dormi bambina, dormi, dormi bambina, dormi.
Ti narrerò una storia: Lenin era buono?
Buono, bambina, buono, dormi bambina, dormi.
Ti narrerò una storia: Stalin era buono?
Cattivo, bambina, cattivo… molto cattivo,
Dormi bambina, dormi.
Ti narrerò una storia: Chruščëv è buono?
Lo sapremo quando sarà morto,
Perciò dormi, bambina, dormi[18].

L’altro episodio è una conversazione con dei georgiani; dopo aver parcheggiato la propria auto vicino a una statua di Stalin, l’autore disse ai georgiani, indicando il dito verso la statua: «Che grand’uomo!»

E loro: «
Ah sì! Grande uomo davvero!». «E Chruščëv?». A questa domanda i volti dei paesani s’incupirono, alcuni sputarono, e altri risposero: «Chruščëv net!»[19]

Quest’ultimo episodio è una testimonianza soggettiva, ma curiosa, poiché illustra l’atteggiamento di normali contadini ed operai georgiani dell’epoca.

Lapierre cita nel suo testo interessanti note riguardanti la vita sessuale nell’Unione Sovietica, ad esempio come, a partire dall’epoca breve di Malenkov in poi, le donne furono invogliate nel conquistare un’ulteriore femminilità grazie al consumo, sempre più in voga, di cosmetici, ciprie e prodotti simili[20]. Inoltre cita interessanti esempi circa il rapporto di coppia in URSS: esso era strettamente intimo e molto pudico, le donne russe e gli uomini avevano una vita sessuale molto chiusa tanto che dei semplici baci sulle labbra destavano freni morali. Quando l’amore era troppo intenso, spesso si scherzava dicendo che a volte «l’amore sbocciava come nei film decadenti occidentali»[21]. L’autore conversando col suo accompagnatore, il giornalista Slava, lo provocò parlando di «libero amore e di prostituzione»[22], cui Slava rispose confuso, dal momento che non conosceva il tema, e la prostituzione era considerata altamente immorale in URSS come forma esemplare di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Prima di giungere alle mie conclusioni, devo citare le critiche sia giuste che errate che Lapierre produce nei confronti dello stato sovietico. Molte derivano da pregiudizi tipici della mentalità occidentale dell’epoca, e anche attuale, ma altre sono complessivamente serie. Ad esempio, in una conversazione con Slava egli polemizzava riguardo ai cartelli di propaganda piantati dai contadini che recitavano slogan per aumentare la produttività agricola del tipo di «Coltiviamo bene l’URSS». Lapierre paragona la propaganda del lavoro in URSS all’insegna dei campi di sterminio nazisti ove v’era affisso Arbeit macht frei cioè “il lavoro rende liberi” e continua argomentando la sua tesi secondo cui nello stato capitalista «fra cinque, dieci anni non si lavorerà che tre giorni alla settimana, e ciò sarà il raggiungimento della felicità»[23]. L’ipotesi di Lapierre si è rilevata errata; attualmente nel capitalismo non si lavora tre giorni alla settimana, anzi si lavora sempre di più e con un alto tasso di sfruttamento. In merito citerei le parole di Alain Badiou, filosofo francese, che in un’intervista per il duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx rilasciata alla stampa italiana: 

«Il capitalismo non può vivere senza lavoro, poiché il profitto risiede nell’estorsione del plusvalore rispetto al valore reale. Un tempo di lavoro a 20 ore settimanali, [oppure a 3-4 giorni di 24 ore al mese] ridurrebbe il plusvalore a ciò che è necessario per gli investimenti produttivi, e non lascerebbe nulla al puro profitto degli azionisti»[24].

Ciò è insostenibile per il sistema capitalista soprattutto nella nostra epoca, del neoliberismo trionfante e della globalizzazione come dogma assoluto.

Lapierre, a differenza di molti altri giornalisti e scrittori occidentali, non fa molti riferimenti riguardo ai campi di rieducazione sovietici, afferma solo che Slava sarebbe finito in «esilio in Siberia» per aver pubblicato una foto in cui egli stesso scavalcava una recinzione a Jalta; tuttavia tre anni dopo, andò a lavorare per la rinomata Ria Novosti[25] e rimase profondamente aderente agli ideali del socialismo fino alla sua morte nel 1995; per quanto non si abbia la certezza che Slava non abbia patito sofferenze in una prigione in Siberia, il fatto che abbia continuato a scrivere come giornalista addirittura promosso ad un’emittente più prestigiosa, è un indicatore del fatto come la prigionia nell’Unione Sovietica non fosse necessariamente infernale come spesso viene definita. Egli inoltre riprende l’esempio di un armeno di origini francesi trasferitosi in URSS, Georges Manoukian, finito per varie ragioni gulag per circa 3 anni[26] prima di uscirne. Questo è un’ulteriore conferma del fatto che il sistema di prigionia sovietico non era l’inferno in terra; naturalmente non tratterò in questa sede del sistema di prigionia e giustizia sovietico. Lapierre esprime nel libro inoltre dubbi e preoccupazioni riguardante la vicenda di Manoukian, poiché, nonostante il suo passato nel gulag, riuscì a ottenere un visto per la Francia, in cui fu fermato dalle autorità locali come spia del KGB[27]. Durante la guerra fredda, il turismo occidentale nei paesi socialisti e l’afflusso di cittadini socialisti nei paesi occidentali era limitato, ma non vietato. Di certo, la fatica per districarsi nella burocrazia sovietica al fine di vedersi concedere un visto d’espatrio dall’URSS era ingente, ma comunque andare all’estero non era impossibile[28]. L’autore inoltre considera i salari di un medio cittadino sovietico: bassi ma in crescita rispetto al periodo zarista e prebellico, mentre la crisi degli alloggi[29] è considerata un serio problema dall’autore, siccome la popolazione sovietica era in continua crescita e ciò comportava la crisi abitativa, in cui più famiglie condividono una stessa casa (la cosiddetta kommunalka).

Conclusione

Cosa si può dire di questo testo? Secondo il mio modesto parere, esso merita una lettura critica, dal momento che è ben scritto e soprattutto fa luce su aspetti interessanti della vita quotidiana in URSS, benché talvolta ripeta pregiudizi tipici della visione occidentale dell’Unione Sovietica e del socialismo reale. In Francia, Lapierre, è uno scrittore di successo, attualmente seriamente malato[30]. Da parte mia, spero che Lapierre possa riprendersi lottando, come ha sempre fatto nella sua vita, contro la malattia che lo sta sfinendo. Spero inoltre di leggere altri diari scritti per i suoi viaggi come sull’indipendenza dell’India dall’Impero Britannico e sulla nascita dello Stato d’Israele. Buona fortuna Dominique!

Per approfondire:

– Presentazione del libro C’era una volta l’URSS dell’autore (https://www.youtube.com/watch?v=cS8TA8DKLOo)

Articolo de El Paìs sull’autore ed il suo libro(https://elpais.com/diario/2006/01/19/cultura/1137625206_850215.html

1.  D. Lapierre C’era una volta l’URSS, NET, Milano 2007 [1ediz. 2005] cit. p.9.

2. Per ulteriori informazioni sulla biografia dell’autore: http://amicidilapierre.ch/?page_id=20.

3. Quotidiano sovietico fondato nel 1925 come organo della gioventù comunista. Dopo la dissoluzione dell’URSS ha continuato ad essere pubblicato e venduto nell’attuale Federazione Russa. Il sito internet del giornale: https://www.kp.ru/.

4. K. Gossweiler Contro il revisionismo, Zambon Editore, Francoforte sul Meno-Verona, 2009 [I ediz. 2009]. Lo storico Kurt Gossweiler, della Repubblica Democratica Tedesca, scrive che svariati capi di stato e di partiti comunisti si opposero al XX congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Tra questi, quelli più espliciti a rigettare completamente le «calunnie di Chruščëv» furono Enver Hoxha, presidente albanese e Mao Zedong, presidente cinese. Hoxha scrive nelle sue memorie I Kruscioviani [edizioni 8 Nentori, Tirana, 1980] aspre critiche alla dirigenza sovietica post-staliniana, accusata di aver introdotto il revisionismo nel paese. Mao fece lo stesso, come citato anche dallo stesso Gossweiler (p. 294-295), ove affermò, in merito alla visita del primo ministro cinese Zhou Enlai in Asia ed in Europa del 29 Novembre 1956, come una visita che porterà ad una “nuova spinta creativa” di cui il marxismo aveva bisogno. Questa spinta venne lanciata da Mao Zedong in Cina dal 1956 in poi, ma soprattutto dal 1958 cominciò un lento allontanamento fino ad un distaccamento definitivo dalle politiche sovietiche. Gossweiler cita, come esempio di lotta alle idee del XX congresso, il leader del Partito Socialista Unitario di Germania (SED), Walter Ulbricht, visto come un “peso” da Chruščëv, il quale intendeva allontanarlo ad ogni costo dalla dirigenza, sfruttando l’influenza sovietica in DDR: «Chruščëv ha tentato di cacciare dalla dirigenza della SED i marxisti-leninisti più saldi, prima di tutto Walter Ulbricht e Hermann Mater, poiché la direzione di Ulbricht si sforzò di tener lontane dalla DDR le conseguenze della “politica di sabotaggio” kruscioviana o quanto meno di limitarne per quel che fosse possibile; di fatto la dirigenza della Germania Orientale ha espulso le forze considerate anti-leniniste e vicine al PCUS» [cit. p. 194-195 ed in K. Schiderwan, Aufstand gegen Ulbricht, [Rivolta contro Ulbricht], Berlin, 1994, cit. p. 122 sgg. e p.128 sgg.] Infine l’autore rivaluta in chiave di “lotta al revisionismo” la figura del segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, e di Maurice Thorez, segretario generale del Partito Comunista Francese. Togliatti, uomo controverso se preso in considerazione sotto questo aspetto della lotta al XX Congresso viene descritto dallo storico tedesco come «uomo che non si è limitato a parlare degli errori di Stalin, ma ne ha dato atto insieme alle radici soggettive, anche delle cause storiche ed oggettive di tali errori» [cit. p.247].

5. 
D. Lapierre, C’era una volta l’URSS, NET, Milano 2007 [1^ediz.2005] cit. p.22-23.

6. K. Gossweiler, Contro il revisionismo, Zambon editore, Francoforte sul Meno-Verona, 2009 [1^ediz.2009] cit.

7. B. Nahajlo, D. Nahajlo, V. Svoboda, Soviet Disunion: A History of Nationalities Problem in USSR, Free Press, New York, 1990 [1^ediz.1990] cit. p.120-121, consultabile gratuitamente: https://books.google.it/books/about/Soviet_Disunion.html?id=ZrG7vrPue4wC&redir_esc=y.

8. Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (comitato della sicurezza dello stato).

9. Lur’e, Lev; Maljarova, Irina (2007), 1956 год. Середина века [1956. The mid-century], libro in lingua russa pubblicato nel 2007 da Olma Media Group; consultabile ed acquistabile: https://russia-on-line.com/ru/istoriya/502511-1956-god-seredina-veka-9785765449615.html.

10. D. Lapierre, cit., p. 103.

11. Ivi, p. 105.

12. Ivi, p. 107.

13. Ivi, p. 110.

14. Ivi, pp 48, 52.

15. Ivi, p. 88.

16. J. Kádár, Edificazione socialista solidarietà internazionale, Edizioni Notizieungheresi, Roma, 1977, cit. pp. 26-27.

17. A. Pascale, Il Totalitarismo Liberale. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale, La Città del Sole, Napoli, 2018.

18. D. Lapierre, cit., p. 63.

19. Ivi, pp. 98-99.

20. Ivi, pp. 58-59.

21.  Ivi, p. 61.

22. Ivi, pp. 122-123.

23. Ivi, p. 67.

24. A.V. (a cura di A. Carioti), Karl Marx Vivo o morto? Il profeta del comunismo duecento anni dopo, Solferino, Milano, 2018, paragrafo di A. Badiou, Lenin e Mao i suoi migliori eredi, cit. p.106-107.

25. Agenzia di stampa sovietica nata nel 1941 e chiusa nel 2013 a causa della sua rinomina in Russia News. Il sito web: https://ria.ru/.

26. D. Lapierre, cit., p. 116.

27. Ivi, p. 140.

28. Si rimanda all’articolo della testata giornalistica russa Russia Beyond: https://it.rbth.com/storia/79670-cittadino-sovietico-poteva-viaggiare.

29. Si rimanda all’articolo sulla questione abitativa in URSS di Resistenze.org:http://www.resistenze.org/sito/te/cu/ur/cuurhb07-018843.htm.

30. Si rimanda all’articolo de La Stampa: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2014/06/19/news/neanche-la-malattia-ferma-la-lotta-di-lapierre-per-la-citta-della-gioia-1.35745808.