Cecoslovacchia 1968. A proposito della solita campagna

Primavera Praga 500di Albano Nunes

da “O Militante“, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese, n° 357 novembre-dicembre 2018

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Il peggioramento della tensione internazionale che stiamo vivendo oggi, con la frenetica corsa agli armamenti dilagante da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati della NATO e dell’Unione Europea, nonché l’avanzata delle forze di estrema destra e fasciste che hanno già assunto posizioni nel governo e nell’apparato statale di diversi paesi europei, ci obbliga a rivisitare la storia per raccogliere esperienze e insegnamenti utili per la lotta che stiamo combattendo in questo momento.

E questo è tanto più necessario in quanto nella lotta contro il potere sfruttatore e aggressivo del capitale, ora capitale monopolistico globalizzato su scala mondiale, le questioni della storia occupano un posto particolarmente rilevante nella lotta ideologica. La lettura unilaterale e revisionista della storia, una lettura al servizio dei vincitori, venduta come vera e indiscutibile dai banchi di scuola ai media mainstream, è una costante dei nostri giorni, e richiede maggiore vigilanza e spirito critico da parte di coloro che, come i comunisti portoghesi, militano in un partito che esiste non per conformarsi allo stato di cose esistente ma per trasformarlo. Un partito che guarda al suo passato e al passato del movimento comunista e rivoluzionario mondiale nel suo insieme, con il legittimo orgoglio e la certezza di chi , in un processo che comprende successi e fallimenti, avanzate e ritirate, vittorie e sconfitte, è dalla parte giusta della storia.

Lo vediamo a proposito degli eventi del 1968 in Cecoslovacchia.

Era prevedibile che, cinquant’anni dopo, la vivace campagna anti-comunista si sarebbe riaccesa. Per mascherare la crisi manifesta in cui il capitalismo si dibatte e cercare di dimostrare che esso non ha alternative, i suoi araldi non perdono l’occasione per attaccare l’ideale e il progetto comunista e qualsiasi granello di verità è sufficiente per costruire e cercare di dare credibilità alle più grandi bugie, come nel caso degli eventi del 1968 in Cecoslovacchia.

Non che la campagna abbia avuto un impatto significativo, perché non è così. Forse perché le munizioni contro la cosiddetta “invasione della Cecoslovacchia” erano già state esaurite con il “Maggio 68” francese, che ha rappresentato un pretesto per numerose manifestazioni di ignoranza e pregiudizio anticomunista. Anche in questo caso, non sono mancate falsificazioni e letture distorte della storia per offrire un’immagine negativa dei comunisti.

Gli eventi del 1968 in Cecoslovacchia non possono essere analizzati al di fuori del contesto storico concreto in cui si sono verificati, della gravissima situazione di tensione nell’Europa centrale e delle cosiddette relazioni Est-Ovest e le esistenti alleanze politiche e militari. Non è un caso che la Conferenza del 1975 sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a Helsinki, che ha aperto la possibilità reale di disarmo, distensione e cooperazione tra regimi sociali antagonisti, sia stata accolta con profondo sollievo e salutata come un evento storico.

Erano passati solo due decenni dal celebre discorso di Churchill a Fulton sulla “cortina di ferro” che aveva sancito una situazione di scontro politico, militare e ideologico tra l’imperialismo e il campo dei paesi socialisti, la cosiddetta Guerra Fredda. Uno scontro che si è concluso con le tragiche sconfitte del socialismo in Europa, la dissoluzione del trattato di Varsavia, la cavalcata della NATO e l’Unione europea verso est, in un processo che conferma a posteriori che erano ben reali i pericoli invocati nel 1968 per l’intervento militare in Cecoslovacchia dai suoi alleati in base agli accordi allora in vigore.

È anche importante non dimenticare che la guerra nel Vietnam era al suo culmine, che l’imperialismo e il suo alleato sionista stavano allungandio gli artigli nel Medio Oriente (nel giugno 1967 Israele aveva invaso territori arabi che ha mantenuto illegalmente occupati fino ad oggi), che in tutto il mondo la lotta di classe e di liberazione nazionale si acutizzavano, persino negli Stati Uniti dove Luther King era stato assassinato nell’aprile 1968 e un anno prima la “dittatura dei colonnelli” univa la Grecia alle dittature fasciste di Portogallo e Spagna.

La situazione geostrategica della Cecoslovacchia, nel cuore dell’Europa, non deve essere ignorata. Fu l’occupazione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista che, attraverso il vergognoso trattato di Monaco del 1938, spianò la strada alla Seconda Guerra Mondiale, all’invasione dell’Unione Sovietica, all’occupazione e ai crimini indicibili praticati dalle orde naziste in paesi che oggi, senza vergogna, la propaganda del grande capitale considera liberati dalla “dittatura comunista”. Le frontiere della seconda guerra mondiale furono messe in discussione dalla NATO, e nella Repubblica Federale di Germania (Bonn), ben lontana dall’ulteriore ostpolitik di Willy Brandt, il militarismo stava crescendo e i comunisti il cui partito, l’eroico KPD di Ernst Thalmann era stato bandito nel 1956, venivano perseguitati.

Sugli eventi in Cecoslovacchia, così come su altri che hanno causato serie divergenze nel movimento comunista internazionale, la riflessione e la discussione continueranno. È inevitabile e necessario, soprattutto tra compagni. Un maggiore distacco e una più ampia prospettiva storica sono indispensabili. Oggi non solo sappiamo di più sugli eventi stessi, ma abbiamo accumulato anche un’intera serie di esperienze che i comunisti ancora non avevano avuto. E quali esperienze! … Ma questo non ci impedisce di difendere i principi, affermare le nostre convinzioni e indicare con coraggio il principale nemico delle forze del progresso sociale e della pace.

La Cecoslovacchia oggi non esiste più, ha lasciato il posto alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia. Ma la cosiddetta “sovranità limitata” non ha lasciato il posto ad alcuna parvenza di vera indipendenza, poiché, per consolidare la cosiddetta controrivoluzione “di velluto”, l’ex Cecoslovacchia è stata rapidamente inghiottita dalla NATO e dall’Unione Europea.

Sì, siamo convinti che, non solo per la Cecoslovacchia, ma per la pace in Europa e nel mondo, è stato necessario difendere il socialismo che ritenevamo veramente in pericolo in quel paese, poiché, all’ombra della necessaria correzione di gravi errori che il PCP aveva apprezzato, si sarebbero sviluppate forze che affermando di volere “più democrazia e un migliore socialismo” nascondevano i loro veri obiettivi. Qualcosa di simile è accaduto più tardi sotto la copertura della “perestrojca”. Oggi è fin troppo evidente che cosa hanno comportato le sconfitte del socialismo nell’Europa orientale e i pericoli che corrono la libertà dei popoli e la pace nel mondo con la controffensiva sfruttatrice e aggressiva dell’imperialismo a cui assistiamo.

E ‘anche venuto il momento di ricordare la storia onorevole del Partito Comunista Cecoslovacco, un partito fortemente radicato nella classe operaia, di combattenti coraggiosi contro l’occupazione nazista, che ha guidato l’insurrezione popolare slovacca nel 1944 e l’insurrezione di Praga del 9 maggio 1945 nel quadro dell’avanzata vittoriosa dell’Armata Rossa fino a Berlino. Un partito che, sostenuto dalle masse, e nel contesto del nuovo rapporto di forze creato dalla sconfitta del nazifascismo, ha saputo sfruttare le istituzioni della democrazia borghese e ottenere una straordinaria vittoria alle elezioni di maggio nel 1946. Una vittoria a cui la reazione, la socialdemocrazia e l’imperialismo non si sono mai rassegnati al punto di parlare di “colpo di Stato di Praga” del 1948 (la calunnia secondo cui i partiti comunisti possono raggiungere il potere solo con metodi «golpisti») quando in realtà quello che è successo è stato il fatto che la classe operaia e le masse hanno fronteggiato il colpo di stato costituzionale del presidente Benes, sostenendo in maniera massiccia il governo rivoluzionario guidato da Klement Gottwald, Segretario Generale del PCC.

Fu questo partito che ebbe la forza di superare la grave situazione che si era venuta a creare nel quadro delle istituzioni della Repubblica Socialista della Cecoslovacchia in cui la posizione del presidente della Repubblica ed eroe nazionale, il generale Ludvik Svoboda, si rivelò di grande importanza. Da parte sua, il PCP non dimentica la solidarietà attiva che il popolo portoghese ha sempre ricevuto, prima e dopo l’agosto 1968, dalla Cecoslovacchia socialista. Come molti movimenti di liberazione nazionale in Africa e in Asia certamente non dimenticheranno che devono molte delle loro vittorie all’aiuto solidale dei paesi socialisti, in particolare l’aiuto con armi fabbricate dagli operai della Cecoslovacchia senza le quali sarebbe stato impossibile sconfiggere il mostro coloniale-imperialista.

La posizione assunta dal PCP di fronte agli eventi dell’agosto 1968, basata sulle informazioni disponibili all’epoca, era determinata dalla sua posizione di principio in difesa del socialismo contro l’ingerenza e l’aggressione dell’imperialismo e in difesa della pace in Europa e nel mondo. Una posizione che, esprimendo preoccupazione per lo sviluppo delle forze antisocialiste e il crescente intervento imperialista negli affari interni della Cecoslovacchia, non ha mai minato il principio secondo cui spetttava ai lavoratori e ai comunisti cechi e slovacchi definire il cammino per lo sviluppo del proprio paese.

Il PCP comprende l’esistenza di valutazioni diverse dalle proprie in relazione ai complessi sviluppi in Cecoslovacchia, ma respinge le campagne anticomuniste che prendono a pretesto tali sviluppi e soprattutto le campagne volte a colpire l’immagine del Partito.

Il PCP respinge le manipolazioni che invocano valori umanisti (incluso il “diritto di ingerenza umanitaria”) per nascondere e banalizzare i crimini provocati dall’interferenza imperialista e dalle guerre aggressive. Le decine di morti in Cecoslovacchia, molti dei quali in incidenti, di cui il PCP si rammarica, non possono minimamente essere paragonate con le centinaia e centinaia di migliaia di morti causati dalle sanguinose e distruttive aggressioni imperialiste ovunque nel mondo, dalla guerra di Corea o dalla guerra in Vietnam, alla Siria, attraverso Grenada, Afghanistan, Jugoslavia, Iraq, Libia e altri paesi. Sono questi i crimini che devono essere condannati, è il capitalismo e l’imperialismo che è necessario combattere.