Shakespeare, Hegel e… Hitler. L’eredita dell’Europa

di Giambattista Cadoppi

Lo sa che la prima legge per la sterilizzazione di “criminali, idioti, stupratori e imbecilli” fu promulgata nel 1907 dall’Indiana? Che fu poi imitata da una trentina di stati americani, e dichiarata costituzionale nel 1927 dalla Corte Suprema? Che negli anni Trenta furono sterilizzati 60mila individui negli Stati Uniti, metà dei quali nella sola California? E che negli anni Cinquanta, dopo la guerra, furono castrati 50mila omosessuali?

Piergiorgio Odifreddi. Intervista ad Adolf Hitler

Con buona pace di Vecchioni, Jovanotti e altri raffinati intellettuali anche Hitler rappresenta l’Occidente, ma a differenza di loro, in nome della nota formula “fatti e non pugnette”, la guerra alla Russia non solo l’ha auspicata, ma l’ha anche fatta.  Nel mentre questi qua stanno perdendo persino la pace. Hitler oltretutto aveva davvero unito l’Europa nella crociata contro il giudeo-bolscevismo russo. Tutta l’Europa, in un modo o nell’altro, – Italia inclusa, ad eccezione della Gran Bretagna – partecipò alla guerra al fianco della Germania nazista. Anche i paesi neutrali come Svizzera, Svezia e Portogallo contribuirono. Tra i prigionieri di guerra in mano sovietica vi erano, tra gli altri, decine di migliaia di polacchi, 10mila ebrei e 400 zingari.

Il paradigma totalitario è stato utilizzato dai Cold Warrior per espellere Hitler dall’Occidente, come se il nazismo non fosse in qualche modo figlio della stessa cultura occidentale. La Germania nazista, infatti, è l’erede in qualche misura della filosofia classica tedesca, da Kant a Hegel a Nietzsche, quell’eredità che Engels attribuiva al proletariato internazionale. Se l’Occidente avesse una storia e un destino così particolari, come giustificare la presenza di una figura così ingombrante come Hitler nel suo epicentro? In realtà, il nazismo tedesco è un sottoprodotto della civiltà occidentale, così come i complici di Hitler nello scoppio della Seconda guerra mondiale furono le cosiddette “democrazie occidentali”, veri e propri imperi coloniali i cui sudditi d’oltremare non avevano diritto di voto ed erano soggetti a un regime che Hannah Arendt definì totalitario.

Cosa avrebbe di particolarmente totalitario Hitler? Il razzismo? Ma il razzismo hitleriano è un derivato del razzismo americano, uno degli ultimi Paesi ad abolire la schiavitù e a concedere il pieno accesso al voto ai neri. Gli italiani emigrati negli USA erano spesso equiparati ai “negri”, e veniva loro vietato l’accesso alle scuole per i bianchi. Insomma, all’epoca, tra liberali bianchi americani e liberali “negri” italiani non correva buon sangue. I liberali americani furono i promulgatori di leggi per la purezza della razza. Le leggi razziali naziste del 1933, per la prevenzione dei difetti ereditari, era esplicitamente basata sul modello del liberale americano Harry Laughlin, al quale fu data per questo motivo una laurea ad honorem nel 1936 a Heidelberg. In fin dei conti era Giovanni Gentile, filosofo fascista, che riteneva che il fascismo fosse una fase necessaria e sbocco evolutivo del liberalismo.

Alfred Rosenberg, il massimo teorico del razzismo nazista, parlò degli Stati Uniti come dello «stato dell’avvenire». Al contrario, Rosenberg vedeva dal lato russo nell’opera di Dostoevskij una «forza vitale malata, parassitaria», una galleria di idioti» con il loro moralismo «antieroico», un borbottio sull’«amore universale», nonché una malsana abitudine a rappresentare il «vecchio e marcio» come «umanità». È singolare che il teorizzatore dell’arianità venga accostato ai despoti asiatici, ai «mongoli» che odiava. Hitler, patito di film western, vedeva nell’Europa orientale la sua “Frontiera”, dove gli slavi erano i “neri” da schiavizzare e gli ebrei i “pellerossa” da sterminare o rinchiudere in riserve. Gli americani, d’altronde, sono gli unici ad aver trasformato un genocidio in un’epopea formativa del loro paese, propagandata attraverso Hollywood a tutto il mondo.

Per creare condizioni coloniali nell’Europa orientale, Hitler riteneva necessario sterminare l’intellettualità, in particolare quella ebraico-bolscevica. La questione ebraica assumeva così una peculiarità: per ridurre i popoli dell’Europa orientale a condizioni coloniali, era necessario eliminare gli ebrei. Quando Hitler ripristinò la coscrizione obbligatoria, vietata dal Trattato di Versailles, Gran Bretagna e Francia protestarono formalmente, ma non fecero nulla di concreto per opporsi. Anzi, il viaggio del segretario britannico agli Affari esteri a Berlino fu visto come un trionfo della diplomazia tedesca. Hitler affermò che il riarmo tedesco stava proteggendo l’Europa dalla minaccia bolscevica, una retorica che trovò terreno fertile in Occidente.

Si attribuiscono spesso a Hitler due “invenzioni” considerate estranee all’Occidente: l’eugenetica e la tendenza al genocidio. In realtà, l’eugenetica è una scienza sviluppata principalmente nel mondo anglosassone. All’epoca, era considerata una scienza a tutti gli effetti, così come il razzismo era una dottrina scientifica oggettiva. Anche le teorie di Lombroso sull’uomo criminale, sebbene compassionevoli nel loro intento, erano radicate in una visione razzista della società. Ciò che è cambiato è la sensibilità verso questi argomenti, non la loro origine.

Le teorie razziste e geopolitiche del nazismo entrarono nella coscienza delle masse, sembrando in linea con le conquiste della scienza moderna come l’eugenetica. Heinrich Himmler, leader delle SS, affermava che i tedeschi erano il prodotto della selezione naturale, un popolo unito dal sangue nordico-tedesco. Lysenko fu l’unico scienziato che si oppose alla genetica che egli poco distingueva dall’eugenetica. Secondo Zores Medvedev lo stesso Stalin si opponeva alla teoria dei geni che «come molti a quel tempo associava con le dottrine assolutamente inaccettabili dell’eugenetica e del razzismo».

Il genocidio non era una novità per l’Occidente. Basti pensare allo sterminio degli indiani negli Stati Uniti o ai massacri coloniali in Congo. Come ricorda Hannah Arendt, il colonialismo e l’imperialismo furono precursori del totalitarismo. Hitler traspose il colonialismo extraeuropeo dei britannici nell’Europa slava, con questi popoli da assoggettare all’herrenvolk. Gerwin Strobl ha sottolineato che il führer vedeva nell’Impero britannico un modello da imitare, con la sua spietatezza nella colonizzazione dell’India e del Nord America.

Secondo lo storico Arnold Toynbee, il razzismo in Occidente deriva dalla coscienza nazionale calvinista dell’Inghilterra. Richard Rubinstein ricorda che Hitler trovò nella «società genocida dell’Australia britannica» un esempio per il suo «genocidio di stato». Norman Goda parla dei sentimenti affettuosi dei nazisti verso i loro «fratelli nordici» inglesi e del loro desiderio di un’alleanza con Londra, sottolineando che sia i vittoriani che i nazisti attinsero alla stessa fonte del darwinismo sociale.

Anche i campi di concentramento non furono un’invenzione tedesca. I britannici li usarono per reprimere la resistenza dei boeri in Sud Africa tra il 1900 e il 1901, dove morirono tra il 22% e il 34% dei prigionieri. Manuel Sarkisyants ha documentato che molti elementi chiave della visione del mondo di Hitler erano di origine britannica. Brendan Clifford, recensendo il libro di Sarkisyants, ha scritto che il nazismo fu un tentativo di «anglicizzare» la società tedesca.

La prima grande sconfitta di Hitler a Mosca nel 1941 demolì il mito dell’invincibilità tedesca e della superiorità ariana. L’Armata Rossa non solo liberò l’Europa dalla peste grigia, ma diede nuovo impulso alla lotta anticoloniale in tutto il mondo. Come scrisse Eric Hobsbawm, senza la vittoria sovietica, l’Europa occidentale sarebbe stata governata da regimi fascisti anziché da democrazie liberali. La vittoria sovietica salvò non solo l’Europa, ma anche la democrazia nelle metropoli imperialiste.

Prima del suo suicidio, il Führer perse la convinzione nella giustezza delle teorie del razzismo scientifico, allora prevalenti tra molti scienziati e intellettuali tedeschi. La sua irrazionalità che lo portò alla perdizione fu dovuta al razzismo estremo, per altro moneta corrente in Occidente, nei confronti degli slavi, più che alla sua supposta paranoia.

La storia del nazismo e del razzismo ci ricorda che queste ideologie non furono un’eccezione, ma il prodotto di una cultura occidentale che, purtroppo, non ha mai del tutto abbandonato le sue radici coloniali e razziste.

Il brano è tratto da “I giorni dell’acciaio. La Grande guerra patriottica tra storia naturale e paradigma totalitario” in uscita in Aprile per Amazon.

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