
di Sandro Valentini
È più che mai attuale l’insieme del corpo teorico di Marx ed Engels che aiuta, come sostiene Xi Jinping, a capire meglio la realtà, a comprendere il mondo per cambiarlo, anche se da anni ormai in Occidente si sostiene che il marxismo sia in crisi. Bisognerebbe intanto abolire il termini marxismo coniato da Stalin nell’ambito di un corpo dottrinario e statico del suo marxismo-leninismo. I grandi teorici del pensiero socialista lo definivano in ben altro modo, a iniziare da Marx e Engels che parlavano di socialismo scientifico, di Lenin che nella sua analisi discusse di concezione materialistica della storia e di Gramsci che usò il concetto di filosofia della prassi. È vero che è in profonda crisi una certa visione del marxismo, quella tramandata sia dalle socialdemocrazie, eredi della Seconda internazionale, sia dai partiti comunisti occidentali risalenti all’Internazionale Comunista voluta da Lenin. Ben altra è la situazione nel resto del mondo, a cominciare dalla Cina, ma si potrebbero citare molti altri paesi, prima di tutto il Vietnam e Cuba, e per molti versi anche la Russia. Senza dimenticare il ruolo di tante forze rivoluzionarie che agiscono per affermare i valori di giustizia sociale e di emancipazione dei popoli dall’imperialismo. In tutti questi paesi il pensiero di Marx vive e contribuisce enormemente alla costruzione dello Stato socialista o alle lotte per realizzarlo. Non siamo quindi di fronte alla crisi del marxismo ma ad una sua crescita e sviluppo in diverse e significative parti del mondo.
Questo originale sviluppo del pensiero di Marx ha un importante ispiratore: Bucharin. Certamente vi sono pure Lenin come Gramsci, e di recente altri ancora, come Mao e Castro, ma Bucharin è stato fondamentale per spurgare il marxismo dalla componente anarco-comunista, come la definiva Losurdo, per dare soluzione ai problemi dell’economia e della produzione, alla funzione dello Stato e per definire la legalità socialista, ampiamente messa in discussione negli anni Trenta del secolo scorso. Ciò che oggi è in crisi in Occidente è la concezione del pensiero di Marx delle socialdemocrazie, il marxismo-leninismo di Stalin e le svariate e sempre più residuali forme di trotskismo. Anche in Italia il pensiero di Bucharin è stato ispiratore di dirigenti comunisti del calibro di Togliatti e di Amendola, che per ragioni storiche non potevano dirlo apertamente in quanto la gabbia dello stalinismo orientava la linea ufficiale.
Bucharin, con la politica della Nep, sostenuta dall’ultimo Lenin, aveva colto un grande problema di fondo: la statalizzazione dei mezzi di produzione e la pianificazione erano insufficienti a far decollare economicamente il paese. Il socialismo non può essere una forma di livellamento egualitario verso il basso, dove tutti sono sì uguali, ma poveri. Il socialismo, nel tutelare i bisogni di tutti, deve essere anche capace di promuovere il merito, l’ascesa sociale: uno scienziato, un medico, un educatore, un agricoltore che migliora la propria produzione agricola, insomma tutti coloro che svolgono bene il proprio lavoro non possono e non devono essere semplicemente equiparati a dei lavoratori subordinati che svolgono compiti prevalentemente manuali. Questa visione ha condotto al fenomeno di permettere la scalata sociale solo a chi faceva parte dell’apparato di partito. Una tale situazione a lungo andare è divenuta nefasta, ha favorito la formazione di una burocrazia che si mangiava il consenso di una parte consistente della popolazione. Questa incongruenza è una delle ragioni del crollo dell’Urss.
Il comunismo di guerra può essere una soluzione solo per una breve fase del tutto eccezionale. Abbiamo visto ciò che è accaduto in Cambogia con Pol Pot, dove il comunismo di guerra ha provocato una situazione aberrante e drammatica con la messa in discussione della stessa legalità socialista. E abbiamo presente l’esempio della Cina, dove durante la Rivoluzione Culturale molti grandi guasti sono stati prodotti dalle componenti anarco-comuniste, appoggiate anche da Mao. Si è dovuto passare alla direzione di Deng Xiaoping, formatosi in segreto sui testi in russo di Bucharin, per rimettere ordine nel paese. Mao è stato il padre della Repubblica Popolare, ma chi ha reso la Cina un grande paese moderno è stato Deng.
Che la costruzione del socialismo si debba realizzare sull’asse strategico centralità e valorizzazione del lavoro e sul ruolo forte dello Stato che eserciti un suo controllo sul mercato misto, non è una idea di oggi in comune a tutti gli Stati socialisti, ma viene da lontano, dalla Nep, una politica economica fatta propria dall’ultimo Lenin ma ispirata da Bucharin.
Bucharin, alla morte di Lenin, si schierò con Stalin contro Trotskij che considerava la politica della Nep liquidatoria della rivoluzione, proponendo invece una statalizzazione centralizzata e pianificata dei mezzi di produzione. E solo dopo la liquidazione del trotskismo Stalin si rivolse contro Bucharin per adottare pari pari la politica proposta da Trotskij. Su questa vicenda una certa storiografia sostiene che Stalin, a differenza di Bucharin, era consapevole della minaccia della Germania nazista all’Urss e quindi puntava ad una accelerazione, anche forzata, dell’industria pesante del paese, per sostenere una possibile guerra che effettivamente poi ci sarebbe stata. Questa interpretazione critica ci può stare, ma è anche vero che all’indomani della guerra e negli anni successivi, né l’ultimo Stalin, né Krusciov, né Breznev, fecero nulla per recuperare nella sostanza il pensiero di Bucharin. Si deve giungere a Gorbaciov con la sua perestrojka, ristrutturazione dell’economia, e glasnost, trasparenza politica, perché ci fosse la riabilitazione di Bucharin. Ma la trasparenza politica – che era necessaria per affermare una piena legalità socialista – fu realizzata scopiazzando i sistemi politici occidentali e non come sviluppo di una dialettica politica democratica socialista. Fu questo un errore fatale che modificò la stessa proposta della perestrojka (della ristrutturazione dell’economia), fu così portata avanti come allargamento della glasnost al fine di creare un sistema politico ed economico alternativo al potere sovietico.
Questo errore esiziale di Gorbaciov non fu commesso dal Partito comunista cinese, da Deng e dai suoi successori. I drammatici fatti di Tienanmen sono stati l’apice di uno scontro politico durissimo avvenuto nel Pcc proprio su questa questione: tra ristrutturazione dell’economia e dialettica politica socialista. D’altronde in Cina un sistema di partiti politici alleati con il Pcc già si era formato dai tempi della rivoluzione cinese. Un sistema di cooperazione multipartitica che si è rinnovato, consolidato e sviluppato nel corso di 75 anni svolgendo un ruolo insostituibile nella modernizzazione del paese, confermando in tutti i passaggi salienti della storia cinese di essere un fattore vitale per la capacità di governare la Cina tramite l’affermarsi, oggi codificata anche nel diritto, della legalità socialista. I tempi del disordine provocato dall’ultrasinistra, dalle forme più esasperate del maoismo, sono alle spalle della Cina moderna, prima potenza economica mondiale che in circa trent’anni ha sconfitto la povertà facendo uscire oltre 400 milioni di cinesi dalla miseria. Un processo di crescita e di progresso mai realizzato nella storia dell’umanità.
Oggi, dunque, il socialismo si sviluppa in una economia di mercato sotto il controllo dello Stato. Si sono fatti passi da gigante sulla legalità socialista e nel definire una teoria dello Stato. Non siamo a tal proposito fermi alla teoria dello Stato di Stalin del socialismo in un solo paese, ma neppure a quella togliattiana, definita soprattutto negli interventi nell’Assemblea costituente della nuova Repubblica Italiana scaturita dalla sconfitta del nazifascismo e dalla fine della monarchia.
È evidente che se diamo uno sguardo a quella che si chiama adesso in Europa sinistra queste riflessioni su Bucharin non piacciono a chi si ricollega al pensiero marxista-leninista e lo ha come bussola delle sue pratiche politiche; ovviamente sono anche contestate dal micro mondo del trotskismo o dell’anarchismo e neppure sono prese in considerazione da chi era socialista o socialdemocratico e si richiama in qualche modo all’esperienza storica della Seconda Internazionale, ma è oggi subalterno al neoliberismo, a un certo progressismo, in definitiva al dominio del capitale finanziario. Ma ciò che è più grave, le possibili ricadute della riconsiderazione del pensiero di Bucharin sono spesso contestate anche da quei settori che, pur provenienti dal Pci, sono fortemente caratterizzati dal pensiero di Ingrao. Il loro ingraismo li porta a non riconoscere la funzione positiva che ebbero nel Pci le politiche riformatrici del suo nucleo dirigente strategico formato dall’asse Togliatti-Longo-Amendola. Per mantenere il loro punto di vista parlano allora della crisi del marxismo, cioè della loro crisi in quanto il pensiero di Marx vive e indica itinerari nuovi da percorrere in ogni parte del mondo.
Ragionamenti che definiscono la Cina un Paese capitalista o la Russia un Paese imperialista, senza neppure porsi il problema che 80 anni di potere sovietico non si cancellano facilmente e che la politica antimperialista e anticoloniale di Putin di oggi è nel Dna del popolo russo, sono fatti semplicemente per giustificare la crisi profonda in cui si è impantanata una cosiddetta “sinistra”. Avviene allora che per avere un padre nobile si mitizza Berlinguer in tutte le salse possibili, facendo spesso del mito un uso politico spregiudicato per altri obiettivi, totalmente opposti rispetto a quelli su cui ha speso una vita da comunista Berlinguer. Così, in ultima istanza, moltissimi rincorrono un vago progressismo, consegnandosi, senza neanche combattere, al capitale finanziario e al suo sistema politico a-democratico.
In questi ultimi anni mi sono sempre più convinto che oltre allo studio e all’approfondimento del pensiero di Marx ed Engels, di Lenin e di Gramsci, sia meritorio riprendere un lavoro di conoscenza e di divulgazione anche di Bucharin in cui troviamo alcune delle risposte necessarie per dare maggior corpo alla lotta per il socialismo.
È la sua grande rivincita postuma.
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