Quattro novembre

di Davide Rossi

In Italia si celebra il 4 novembre, festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate. Frequentando da oltre un quarto di secolo Trst/Trieste, ho imparato che certe ferite, certe ingiustizie, massimamente contro gli amici sloveni, non hanno trovato ancora la meritata memoria storica.

Papa Benedetto XV, tra i più grandi del XX secolo, dopo Paolo VI, disse con ragione che il primo conflitto mondiale è stata un’inutile strage che ha generato milioni di morti, invalidi e feriti e conseguenti devastazioni materiali e morali.

Da quella guerra l’Europa di Westfalia (1648) è stata anch’essa spazzata via, insieme al secolo borghese che dalla Restaurazione aveva imposto il suo compromesso alle aristocrazie. Nasce l’Europa che ancora oggi conosciamo, irrompono le masse nel compromesso statale, ovvero cattolici e socialdemocratici, ma anche comunisti e nazionalisti diventano i nuovi soggetti politici.

Sul secolo borghese, l’Ottocento, il peggiore per l’umanità, come spiega anche “La fame e l’abbondanza”, stupendo libro di Massimo Montanari, da non confondere con l’omonimo storico dell’arte, bisogna ricordare come l’avvento dell’igiene più di quello della medicina abbia salvato un’umanità stretta tra lo sfruttamento operaio ben peggiore di quello contadino praticato fino al secolo prima dall’Ancien Regime (coi borghesi anche lo sfruttamento agricolo s’intensifica), così come africani, asiatici e latino-americani sono stati più forti del violento e schiavistico colonialismo imposto dai “democratici” europei, mai terribile appunto come in quel secolo. Per i latino-americani si è tratto di neocolonialismo, una pratica rimasta in uso anche sotto altre latitudini nel Novecento, ovvero si concedono inno e bandiera, ma nelle miniere e nei campi restano le fruste e la cattiveria dei padroni,l’esercito non difende la patria, ma su eventuali lavoratori ribelli. Poca attenzione si presta al destino dei popoli latino-americani, caduti dopo il colonialismo spagnolo sotto il neo-colonialismo britannico nel XIX secolo, soppiantato in quello successivo dall’espansionismo statunitense e delle sue multinazionali.

Il grande storico Alessandro Barbero, in un interstizio televisivo, tra molta retorica, è riuscito anni fa a dire una grande verità. Molti caduti e molto dolore è stato portato all’Italia dal primo conflitto mondiale, ma l’enorme retorica che ha investito quel conflitto nel secolo che lo ha seguito non corrisponde alle vicende storiche. I libri non italiani dedicati alla Prima Guerra Mondiale riservano poche pagine al contributo italiano, gli scenari principali di quel conflitto sono altri, quello italo – austrungarico è stato poco rilevante, vista anche la debolezza organizzativa e strategica degli austriaci. Piuttosto si ricorda che quando i tedeschi han supportato gli austriaci, gli italiani sono tracollati a Caporetto e dopo quel 1917, il nuovo comandante in capo e in campo, il generale Armando Diaz, napoletano e primo non piemontese, ha ben deciso di temporeggiare e aspettare il collasso degli austroungarici, poi arrivare a Trento e Trieste è stata un’impresa molto facile, con i soldati austriaci, ceki, slovacchi, ungheresi, rumeni, che senza cibo e senza munizioni abbandonavano le trincee per tornare nelle loro patrie che ambivano a un’indipendenza che sarebbe stata sancita da Versailles.

Per un anno Diaz sulla linea del Piave organizza corse nei sacchi, ranci più sostenuti, gentili intrattenitrici e grandi tornei di calcio, che hanno impratichito con questo, che sarebbe diventato sport nazionale, i giovani meridionali, i quali, una volta congedati, hanno contribuito massimamente alla nascita delle società calcistiche del sud, soppiantando la palla a pugno, sport nazionale fino ad allora da oltre un secolo, come anche celebrato da Leopardi.

Restano il povero milite ignoto e i tanti altri senza nome, resta il comunicato della vittoria, scolpito in marmo obbligatoriamente in tutte le scuole italiane edificate massimamente in epoca fascista, con uno sforzo edilizio certo non indifferente.

Quel testo, quasi come un telegramma, porta in calce FIRMATO DIAZ, così che molti ragazzini nati negli anni ’30 si chiamano Firmato, pensando, i genitori, che “Firmato” fosse il nome dell’augusto generale.

I dirigenti scolastici una volta portavano i giovani docenti alle prime armi, io pure, sotto le marmoree e roboanti parole, obbligandoli a individuare un errore di lingua italiana che il testo conserva, a imperitura memoria.

Il mio lavoro di storico mi ha fatto poi scoprire che quel testo ovviamente non lo aveva scritto Armando Diaz, ma il suo attendente, un giovane intraprendente e di grandi speranze, Ferruccio Parri, poi partigiano nella Seconda Guerra Mondiale primo Presidente del Consiglio dopo la Liberazione, quando ancora soffiava il vento della Resistenza antifascista.

Ma questa, appunto, è un’altra storia.

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