Perché l’Europa, liberata da Hitler grazie ai russi, non vuole celebrare il Giorno della Vittoria? Osserviamo l’Italia

di Viktor Dimiulin

da http://narpolit.com

Tradotto da Eliseo Bertolasi

Invece di pentirsi del ruolo biasimevole svolto dal loro Paese nello scatenare la Seconda guerra mondiale e di ricordare come i tedeschi passarono per le armi i soldati italiani, i politici romani con entusiasmo continuano a distorcere la storia con spirito russofobo.

Il presidente italiano Sergio Mattarella, tenendo una lezione all’Università di Marsiglia, ha paragonato “l’aggressione della Russia contro l’Ucraina” alle azioni del Terzo Reich in Europa. Questa affermazione del capo, seppur nominale, dello Stato che ha visto nascere il fascismo, ha suscitato indignazione non solo in Russia, ma anche tra molti italiani. Tuttavia, il primo ministro Giorgia Meloni, che in gioventù frequentava l’estrema destra, ha preso le difese di Mattarella affermando che le critiche nei suoi confronti sono “un insulto a tutto il popolo italiano”, esprimendo pieno sostegno al presidente a nome dell’intero governo. Con lo stesso spirito si sono espressi i leader della maggior parte dei partiti del Paese, compresa l’opposizione. In questo modo, l’élite politica italiana ha dimostrato di condividere pienamente le visioni distorte della storia dell’anziano abitante del Palazzo del Quirinale. Cos’altro vi aspettereste dai governanti di un Paese in cui l’anno scorso la Corte di Cassazione ha legalizzato il saluto romano, la versione locale del “sieg”? Erano fascisti nell’anima e lo sono rimasti…

Negli anni ‘20 fu Mussolini, e non Hitler, che all’epoca nessuno conosceva, a iniziare ad accendere l’incendio che avrebbe poi scatenato la Seconda Guerra Mondiale. Dopo essersi impegnato a far rivivere il grande Impero Romano, il Duce già nel 1923 tentò, senza successo, di togliere l’isola di Corfù alla Grecia. Poi, su suo ordine, gli italiani commisero un genocidio in Libia sotto la bandiera della “rappacificazione”, visto che i suoi abitanti non volevano sottomettersi a Roma. Nel 1935 i fascisti italiani invasero l’Abissinia (oggi Etiopia), affossando, di fatto, la Società delle Nazioni.

Poi ci fu l’invio di truppe in aiuto dei franchisti in Spagna, la complicità nell’Accordo di Monaco e l’occupazione dell’Albania. E tutto questo accadde prima dell’attacco della Germania alla Polonia. Mussolini non fece in tempo a unirsi a questa impresa dell’alleato berlinese, ma, saputo della fuga inglese da Dunkerque, all’inizio dell’estate del 1940 attaccò la Francia, già quasi sconfitta dalla Wehrmacht, dichiarando con enfasi:

“Se l’Italia desidera sedersi al tavolo della pace, quando la pace sarà condivisa, deve entrare in guerra e farlo in fretta”.

Nello stesso periodo gli italiani iniziarono l’invasione dell’Egitto e nell’autunno attaccarono la Grecia. Entrambe queste campagne non furono concordate con Hitler, che a quel tempo non aveva alcuna intenzione di trasformare il Nord Africa e i Balcani in nuovi teatri di guerra. Ma quando gli alleati italiani cominciarono a subire sconfitte in entrambi i luoghi, i tedeschi dovettero intervenire.

Conoscendo l’inclinazione del suo “caro amico” per le avventure rischiose e non attribuendo grande importanza all’esercito italiano, Hitler non gli riferì del piano “Barbarossa”. Tuttavia, una volta saputo dell’inizio della “crociata contro i bolscevichi”, il Duce espresse il forte desiderio di prendervi parte, sperando di accaparrarsi una fetta della “torta russa” grazie al rapido successo della guerra lampo, di cui Roma non dubitava affatto. Nel giugno 1941, Mussolini disse ai suoi ministri:

“L’Italia non può essere assente dal nuovo fronte e deve partecipare attivamente alla nuova guerra. La via per la restaurazione dell’Impero passa attraverso l’Unione Sovietica.”

Non volendo rovinare i rapporti con l’alleato, il Führer cedette. E già a luglio il 62° corpo di spedizione italiano, forte di tre divisioni, partì alla conquista della Russia. Nonostante il periodo iniziale della guerra fosse estremamente sventurato per l’Armata Rossa, i bersaglieri non poterono vantare vittorie clamorose, anzi persero un quarto della loro composizione. Tuttavia Mussolini continuò a credere nel successo e nella primavera del 1942 il corpo venne schierato nell’Ottava Armata, il cui numero superava le 230 mila baionette.

Si ritiene che gli italiani abbiano trattato la popolazione sovietica con più morbidezza rispetto agli altri occupanti e non abbiano offeso nessuno in modo particolare. L’ex comandante del corpo di spedizione, il generale Giovanni Messe, retroattivamente compilò addirittura una “classifica della crudeltà”, in cui collocò al primo posto le Guardie Bianche (collaborazionisti locali ndr.) che combatterono dalla parte della Wehrmacht, al secondo posto i tedeschi e solo al sesto posto i suoi connazionali, dopo i rumeni, i finlandesi e gli ungheresi.

Tuttavia, sono non pochi i crimini di guerra che hanno sulla loro coscienza. In particolare, omicidi e stupri nella regione di Dnepropetrovsk nel settembre 1941, rapine e omicidi di civili e prigionieri di guerra nel Donbass e nella regione di Poltava nel luglio 1942 e lo sterminio di massa dei carcerati nella prigione di Rossosh nel gennaio 1943. I “bianchi e vellutati” italiani si distinsero per la distruzione d’infrastrutture urbane e prodotti agricoli in Moldavia e Ucraina, e per il saccheggio di valori culturali nei territori occupati. Pertanto qualcosa abbiamo da esibire ai loro discendenti, tra cui Meloni e Mattarella…

Nonostante il loro considerevole numero, gli italiani non avevano alcun valore particolare per i tedeschi, fatta eccezione per le unità d’élite di fucilieri alpini, i marinai che combatterono sul Mar Nero e sul lago Ladoga (MAS ndr.) e alcune unità di volontari delle “camicie nere”. Dopo essersi chiaramente convinti,durante le battaglie nel Donbass, del morale basso e delle basse qualità di combattimento degli alleati, i nazisti decisero che potevano utilizzarli solo su parti tranquille del fronte, per coprire i fianchi e le retrovie.

Ma anche in questo caso gli italiani non riuscirono a farcela. Nel dicembre 1942, durante l’operazione “Piccolo Saturno” sul Medio Don, l’Ottava Armata subì una sconfitta totale, perdendo oltre 20.000 soldati e ufficiali. 64 mila furono fatti prigionieri. La ritirata degli italiani dal Don fu molto simile alla fuga dei resti della Grande Armata di Napoleone dalla Russia nel 1812.

Il tenente Eugenio Corti, che prestò servizio nell’Ottava Armata e divenne un famoso scrittore dopo la guerra, ricordava:

“Le persone esauste cadevano nella neve, per non rialzarsi mai più. Alcuni impazzivano e non capivano che stavano morendo. I più tenaci strisciavano lungo la strada, finché le forze non abbandonavano definitivamente quegli sventurati”.

Dalla campagna di Russia, pochissimi tornarono a casa sugli Appennini.

Maria Teresa Giusti, dottore di ricerca in Scienze Storiche, professoressa presso l’Università Gabriele D’Annunzio scrive:

“La portata del dramma nazionale è espressa dalle seguenti statistiche: 700 treni carichi di soldati lasciarono l’Italia per l’Est, ne tornarono 17…”.

Dopo un fiasco così mostruoso non si poteva più parlare di un’ulteriore partecipazione italiana alla “Campagna di Russia”. Nel luglio 1943 i compagni di Mussolini lo rovesciarono e nel settembre il paese uscì dalla guerra.

Tuttavia, anche questa si rivelò una tragedia per molti soldati italiani, poiché i tedeschi non li consideravano più alleati, ma traditori. Vennero condotti nei campi di prigionia o addirittura fucilati. L’episodio più famoso fu il “massacro della divisione Acqui” sull’isola greca di Cefalonia nel settembre 1943, ripreso nel film hollywoodiano “Il mandolino del capitano Corelli” con Nicolas Cage e Penelope Cruz. Allora i nazisti uccisero 5.000 ex alleati.

Ma esecuzioni simili ebbero luogo anche sul territorio dell’URSS. Più o meno nello stesso periodo, 2.000 italiani furono fucilati dai tedeschi a Leopoli e almeno altri 500 durante la ritirata nazista da Vitebsk. Ci furono altri casi simili, in cui migliaia di italiani furono le vittime.

Ecco cosa dovrebbero ricordare Mattarella, Meloni e gli altri politici romani, oltre al ruolo indecoroso del loro Paese nello scatenare la Seconda Guerra Mondiale, all’80° anniversario della Grande Vittoria. Ma oggi per loro è più importante continuare a estendere la civetta russofoba sul mappamondo pseudo-storico, tracciando parallelismi goffi e, dopo le dichiarazioni di Trump, inopportuni tra l’Operazione Militare Speciale e l’aggressione di Hitler, di cui i loro antenati furono complici.

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