Sovranità nazionale e globalizzazione

di Spartaco Puttini per Marx21.it

 

lottadiclasse“Nulla è più prezioso dell’indipendenza e della libertà”

[Ho Chi Minh]

 

“In ultima analisi, la lotta nazionale è una questione di lotta di classe”

[Mao Tse-Tung]

 

La sovranità [1] nazionale consiste nell’indipendenza non solamente formale di uno Stato che, non riconoscendo alcuna autorità al di sopra di sé, gode della possibilità di decidere il proprio destino.

 

In teoria tutti gli Stati godono degli stessi diritti e delle prerogative della sovranità. Concretamente però la differenza di “potere” che corre tra essi fa sì che la sovranità delle nazioni più deboli sia spesso menomata o calpestata dalle Grandi Potenze. Nonostante le pregevoli intenzioni, le nobili idee e gli stessi trattati l’unico metro che conta nelle relazioni internazionali è il potere.

 

Ciò ha assunto particolare evidenza con l’età dell’imperialismo, quando i paesi a capitalismo avanzato si sono spartiti il resto del mondo. Anche a seguito della decolonizzazione occorre notare che l’accesso all’indipendenza politica da parte delle nazioni vittime del colonialismo è stata, nella maggior parte dei casi, limitata solamente alla sfera formale, restando quei popoli legati alle pesanti catene della dependencia economica nei confronti dell’Occidente.

 

Ai nostri giorni il tentativo degli Stati Uniti di imporre al resto del mondo il proprio ordine unipolare rende particolarmente acuta la questione nazionale, che è la questione della difesa della sovranità nazionale e dell’indipendenza (non solo formale) del proprio paese e degli altri paesi in lotta contro l’imperialismo. La questione nazionale è la questione cruciale della nostra epoca.

 

– Le armi dell’imperialismo e la questione nazionale

 

Occorre tenere presente che qualsiasi sistema è la risultante delle interazioni tra i soggetti che lo compongono e queste interazioni sono regolate dai rispettivi rapporti di forza. Pertanto chi è al centro del sistema modella la periferia del sistema a seconda dei propri esclusivi interessi e non in ragione di presunte soluzioni “migliori”, nel senso neutrale del termine. Le Potenze egemoniche tendono ad inseguire i propri esclusivi obiettivi cercando di piegare la resistenza delle forze che si oppongono loro.

 

Nella vita internazionale a volte i rapporti di forza vengono regolati sul rude terreno dello scontro militare. Ma il più delle volte non è così. A volte basta ricorrere alla minaccia dell’uso della forza per costringere i paesi più deboli a piegarsi. Altre volte le Potenze “centrali” del sistema giocano altre carte: dal condizionamento economico, a quello politico tramite vere e proprie quinte colonne opportunamente preparate; oppure sfruttando le linee di frattura presenti all’interno della società presa di mira per destabilizzarla e costringerla alla resa; oppure ancora riescono ad ottenere la “subordinazione volontaria” grazie ad una vasta ed efficace campagna mediatica e culturale che convince l’élite e secondariamente l’opinione pubblica del paese che deve essere fagocitato della giustezza delle politiche “suggerite”.

 

Come ha notato il geopolitico argentino Marcelo Gullo, all’interno della nazione sulla quale viene esercitata la pressione da parte del centro imperialista si assiste sempre al contrapporsi tra due fazioni. Da un lato i così detti sostenitori del “realismo” collaborazionista, pronti ad accettare l’imposizione dell’egemone visto che i rapporti di forza “costringono” alla capitolazione. Queste tendenze finiscono con l’affidarsi alla buona volontà dell’egemone stesso, rinunciando a fette sostanziali di sovranità nazionale. Dall’altro lato si collocano i sostenitori di un realismo “liberazionista”, che rifiutano di cedere ai ricatti del centro egemonico proprio in virtù delle conseguenze inaccettabili che implicherebbe la cessione della sovranità e che si adoperano per impostare un insieme di politiche capaci di mobilitare le risorse del proprio paese per preservarne l’indipendenza [2].

 

E’ importante sottolineare che tutti i paesi che in passato sono riusciti a sfuggire da una condizione di sudditanza o comunque da una posizione periferica nel sistema hanno dovuto, giocoforza, basare la loro politica di sviluppo sull’interventismo statale per sfuggire ai tentacoli delle Potenze che occupavano il centro del sistema, le quali disponevano ovviamente della primazia economica e finanziaria. (Questo a prescindere dal sistema economico dei paesi a cui è riuscito il tentativo di emancipazione, fosse esso il modello capitalistico scelto da Germania e Giappone alla fine dell’Ottocento o quello socialista-pianificato scelto dall’Unione Sovietica o, ancora, quello socialista di mercato scelto dalla Cina).

 

Il potere infatti, non è solo il mezzo con cui le Potenze imperialiste cercano di schiacciare i paesi più deboli ma è anche il mezzo di cui i paesi più deboli devono cercare di dotarsi per non soccombere davanti agli aggressori.

 

– La crisi dello Stato nazionale è solo un mito

 

Ma è ancora possibile cercare una strada di sviluppo autonomo dalle forze dominanti del sistema internazionale nell’attuale contesto della globalizzazione?

 

Nel corso degli ultimi due decenni è stato affermato con forza che l’attuale fase della globalizzazione avrebbe posto in crisi irreversibile lo Stato nazionale moderno, svuotandolo di potere e rendendo superflue le sue prerogative. Questa affermazione ha conosciuto una grande fortuna. In realtà le cose non stanno affatto così.

 

La crescente interdipendenza tra le nazioni non conduce affatto alla scomparsa o alla crisi dello Stato nazionale in quanto tale e non ne mette in discussione automaticamente le prerogative (a partire dalla sovranità). Come sempre è stato nella storia vi sono entità statali che collassano e che si dissolvono. Ma questo avviene sotto il peso dell’azione di altre Potenze più forti. Le prerogative degli Stati nazionali sono pertanto ancora valide. Le stesse istituzioni finanziarie internazionali (FMI e Banca mondiale) non sono altro che i tentacoli della Potenza egemone (gli Usa) e, in subordine, dei suoi più stretti alleati (la Gran Bretagna) [3].

 

Basti pensare alla forza propulsiva che hanno assunto le economie dei paesi emergenti in gran parte proprio grazie al rifiuto dei disastrosi piani del FMI e all’adozione di politiche economiche dirigiste, che attribuiscono un grande ruolo all’intervento qualificato dello Stato in economia. L’esempio di Venezuela, Argentina e quello di altri paesi latinoamericani è particolarmente eloquente. Sempre in Sudamerica possiamo notare come il processo di integrazione del continente, o di alcune sue aree, tramite l’Unasur o l’Alba, non comporti assolutamente una cessione di sovranità da parte degli Stati membri. Anzi, queste organizzazioni, proprio perché rappresentano un contrappeso alle forze mondializzanti dell’Anglo-America, garantiscono la difesa della sovranità nazionale da processi di svuotamento e di imposizione di un neocolonialismo post-moderno.

 

L’avere accettato supinamente il luogo comune della inevitabile crisi dello Stato-nazione e quindi della naturale cessione della sovranità nazionale è stato un grave errore, specie da parte di settori della sinistra occidentale che hanno così perso la bussola trovandosi drammaticamente disarmati ed in balia dell’imperialismo (la cui esistenza avevano per ironia della storia rimosso).

 

– Le varie facce della questione nazionale

 

La questione nazionale può essere declinata in vari modi. Dal punto di vista più propriamente politico concerne la difesa dell’indipendenza e implica l’adozione di una politica estera in linea con i propri interessi nazionali. E’ in base ad essi che vanno stabiliti paritetici legami di partenariato con i paesi vicini. Per l’Italia si tratta di essere autonoma dalle scelte atlantiche, di non lasciarsi trascinare in conflitti d’aggressione, di uscire dalla Nato, strumento col quale gli Usa controllano l’Europa. Riveste particolare importanza stabilire un equo rapporto di partenariato con i paesi arabo-islamici del Mediterraneo e con tutte le realtà in lotta contro l’imperialismo. Diventa vitale incaricarsi della costruzione di un’altra Europa, diversa dalla Ue e oltre la Ue (cioè aperta alla Russia e all’Eurasia).

 

Dal punto di vista economico implica il rifiuto dei fallimentari paradigmi neoliberisti che hanno impoverito la nazione. La coerente adozione della questione nazionale suggerisce di basare lo sviluppo del paese su un qualificato intervento pubblico in economia. Contro i disordini e gli sprechi insiti nell’anarchia della produzione tipica del capitalismo e contro il nanismo che impedisce la ricerca e l’innovazione tecnologica occorre rilanciare la programmazione e la proprietà statale dei settori strategici (che se lasciati in mano privata possono rappresentare un’ipoteca pericolosa per lo sviluppo del paese e per lo stesso esercizio della democrazia). Per controllare le leve dell’economia ed orientare lo sviluppo è necessario promuovere la nazionalizzazione del settore creditizio (non delle sue perdite). Anche lottare contro l’evasione dei ricchi e dei privilegiati per ottenere una più equa ripartizione del carico fiscale è in fondo un aspetto della questione nazionale. Sia perché consente allo Stato di recuperare le risorse di cui abbisogna per impostare le politiche al servizio della comunità nazionale, sia perché colpendo i ceti privilegiati permette di salvaguardare il potere d’acquisto delle masse popolari.

 

– Classe, Sovranità nazionale e democrazia

 

Se uno Stato non è libero di scegliere il proprio destino e diviene semplicemente l’oggetto del gioco altrui significa che il popolo di quello Stato non potrà mai decidere davvero nulla di rilevante in merito alla conduzione dei suoi affari, perché vi sarà sempre un’autorità esterna a dettargli l’agenda. La sovranità nazionale, l’indipendenza sostanziale della propria patria, è condizione necessaria anche se non sufficiente dello sviluppo della democrazia e del protagonismo delle classi popolari, che sono la nazione.

 

Ne è stato ben cosciente il movimento comunista internazionale nel corso del Novecento, come si evince dall’impegno profuso per sostenere le lotte di liberazione dei popoli contro l’imperialismo. E’ in questo contesto che Ho Chi Minh sostiene che “nulla è più prezioso dell’indipendenza e della libertà”. Ed è sempre in questo contesto che Mao, durante la guerra di liberazione dall’occupante giapponese, sostiene che “in ultima analisi la lotta nazionale è una questione di classe”. Ma basti pensare al fenomeno della Resistenza in Europa (e in Italia) durante il secondo conflitto mondiale. La stessa svolta di Salerno diviene sinceramente incomprensibile se considerata al di fuori della rilevanza assunta all’epoca dalla questione nazionale.

 

Se un paese non è sovrano non può ovviamente darsi istituzioni democratiche, per limitativo che possa essere il significato che si attribuisce al termine “democrazia” o per limitata che sia la sua declinazione. L’ingerenza e la limitazione della sovranità implica il venir meno della possibilità di un corretto esercizio democratico. Quanto meno esso diviene un inutile orpello.

 

Non a caso nelle forme storicamente conosciute di cessione della sovranità la democrazia (anche se considerata nel senso assai limitato di consultazione elettorale) non svolge alcun ruolo dirimente e viene accantonata, sospesa o svuotata a seconda delle necessità del vero “sovrano”. Tale deriva è oggi evidentissima nel processo di costruzione europea.

 

– La crisi italiana

 

Nell’Ue ci si è spinti certamente avanti nel delegare a commissioni sovranazionali molte delle prerogative dello Stato sovrano. Questo ha posto in posizioni chiave una burocrazia tecnocratica legata a doppio filo alla finanza transnazionale anglo-americana ed ai centri atlantici ed ora questa burocrazia gode di competenze che sfuggono ad una gestione democratica. L’europarlamento non è altro che un’obesa sovrastruttura priva di potere reale ed attraversata dalle lobbies. La presente crisi che ha investito l’eurozona dimostra la debolezza di una moneta sovranazionale sulla quale non si può esercitare nessuna azione rilevante da parte degli Stati membri. Questo limite è oggi sotto gli occhi di tutti.

 

L’affondo della finanza anglo-americana ai paesi deboli dell’eurozona rappresenta una manovra concertata per affossare l’Euro e tenere in piedi il dollaro come unica moneta di riserva internazionale al fine di puntellare la barcollante egemonia americana. Si tratta di un complotto?

 

Assolutamente no, si tratta di politica. Ognuno ha i suoi interessi. Tutto dipende se si riesce a capire quali sono.

 

La crisi dell’Italia potrebbe in prospettiva far deflagrare la UE, le cui debolezze strutturali sono messe a nudo a partire dalla radicale differenza di interessi tra il nucleo franco-tedesco e i paesi periferici o semi-periferici dell’Unione. L’atteggiamento tedesco si spiega probabilmente col fatto che il grande capitale teutonico ha deciso, da sempre, di considerare il resto dell’Europa come una propria semicolonia economica. (Ciò che non è riuscito ai panzer è riuscito in parte alla Bundesbank?). Pare in parte orientato ad arraffare tutto ciò che può prima di convertirsi alla possibile dissoluzione della Ue in un grande mercato transatlantico integrato. Il progetto sarebbe sostanzialmente un’ALCA rivolta all’Europa. Quella stessa Alca che l’America meridionale seppe respingere dopo il tracollo argentino e che ora potrebbe attenderci al varco, in fondo a destra, se da questa crisi non ne usciremo in altro modo.

 

Per uscire dalla crisi la BCE e quell’impareggiabile collezionista di disastri economici che è il Fondo Monetario Internazionale ci chiedono di proseguire ancor più celermente sulla strada che ci ha portato sull’orlo del baratro. Perché?

 

Perché il loro obiettivo, ed in questo il capitale finanziario italiano e la Confindustria sono sostanzialmente convergenti con i poteri forti di Francoforte e d’oltreatlantico, è raggranellare tutto ciò che possono. Facendo soldi sulla speculazione nell’immediato, portando l’Italia a cedere parte delle sue rilevanti riserve di oro (le quarte al mondo) e a svendere le imprese a partecipazione statale (ENI, Finmeccanica) che tengono ancora in piedi il paese e che potrebbero rappresentare la base produttiva dalla quale ripartire per risalire la china. Infine spingendo per far applicare ancor più drasticamente le fallimentari ricette neoliberiste rifilateci in passato allo scopo di modellare un mercato del lavoro docile e schiacciato in fondo alla piramide della divisione internazionale del lavoro. Il tutto porterebbe l’Italia dalla crisi al declino.

 

L’uomo che è stato incaricato di presiedere con un governo tecnico di commissariamento antinazionale ed antidemocratico (non nella forma, ma nella sostanza), Monti, ha un profilo preciso: quello del tecnocrate cresciuto negli Usa appunto, membro di spicco della Trilateral, vicino al solito, immancabile, Brzezinski. Paiono inutili ulteriori presentazioni.

 

Ecco perché questa è una battaglia per la difesa dei diritti sociali, per lo sviluppo economico del paese ed è contemporaneamente una battaglia antimperialista, una battaglia per la difesa della sovranità nazionale.

 

Una corretta declinazione della questione nazionale in questa situazione concreta dovrebbe portare a sollevare seri dubbi sulla legittimità della pericolosa ingerenza della BCE nelle nostre faccende domestiche.

 

NOTE

 

1 Sovranità = “carattere assoluto e incondizionato di un potere non sottomesso ad alcuno altro e investito della più alta autorità”. Attributo essenziale dello Stato. In regime rappresentativo è attributo della nazione / del popolo, il quale legittima l’autorità degli organismi supremi dello Stato che esercitano il potere in suo nome. Si veda: Dizionario di storia e geopolitica del XX secolo; a cura di Serge Cordellier, Milano Mondadori, 2001

 

2 M. Gullo, La costruzione del potere : storia delle nazioni dalla prima globalizzazione all’imperialismo statunitense; Milano Vallecchi, 2010

 

3 Rimando in proposito a: M. Casadio, J. Petras, L. Vasapollo, Clash! Scontro tra Potenze: la realtà della globalizzazione; Milano Jaca Book, 2004. Si veda in particolar modo il seguente passaggio: “I difensori della tesi di un mondo senza nazioni […] non riescono a capire che le istituzioni finanziarie internazionali non sono una nuova e più alta forma di governo al di là dello Stato-nazione, non capiscono che esse sono istituzioni che derivano il proprio potere dagli Stati imperiali”; p.32