Omaggio a Lenin: interpretare e trasformare il mondo

di Rita Coitinho* | Traduzione di Erman Dovis per Marx21.it

lenin quadroQuest’anno ricordiamo e celebriamo il 90’ anniversario della morte del grande rivoluzionario, stratega politico, organizzatore del partito e delle masse e statista, Vladimir Lenin. Il più brillante seguace di Marx ed Engels, e con ogni probabilità, il più grande tra i grandi personaggi del ventesimo secolo.

Il monumentale contributo di Lenin, le cui Opere complete sommano migliaia di pagine tra discorsi, opuscoli, programmi, articoli e opere di lavori di una scala molto più ampia e di immensa densità teorica, non può essere riassunto in un solo libro, tanto meno in un semplice articolo.

Apprestiamoci dunque a seguire, per rendere un omaggio seppur modesto, alcuni degli aspetti che evidenziano il suo pensiero, con la certezza che lo stimolo allo studio e alla diffusione delle sue opere, e fondamentalmente, il perseguimento della realizzazione del suo più grande obiettivo (la costruzione del socialismo, e con essa, la pace tra i popoli e la fine dello sfruttamento di una classe sull’altra) sono il miglior tributo che possiamo rendere alla sua memoria.


La difesa del Marxismo

Nella Russia pre-rivoluzionaria il marxismo penetrò con una certa forza nei circoli intellettuali. La comprensione dell’arretramento delle condizioni russe rispetto ai paesi capitalisti avanzati d’Europa portò però molti “marxisti” alla conclusione che non sarebbe stata possibile una rivoluzione socialista in quanto non si erano sviluppate appieno le forze produttive. 

Lenin condusse una dura battaglia contro le deviazioni dogmatiche e revisioniste del marxismo. “La Russia fece suo il marxismo, come teoria rivoluzionaria giusta”1, come un sistema di teorie adeguato alla comprensione della realtà di qualsiasi paese del mondo di oggi. Lenin dimostrò che la teoria di Marx ed Engels offriva strumenti per comprendere e trasformare il mondo. Il suo continuo sviluppo non presuppone, tuttavia, la negazione delle categorie fondamentali elaborate dai due teorici, e dall’altro lato neppure la cristallizzazione delle formulazioni tattiche, che sono legati al tempo e al luogo storico. Più che un metodo, il marxismo è “teoria e programma del movimento operaio di tutti i paesi”.2

Si leggano inoltre: http://www.vermelho.org.br/noticia.php?id_noticia=234127&id_secao=9
http://www.vermelho.org.br/noticia.php?id_noticia=234118&id_secao=9

Lo sviluppo leninista della teoria di Marx ed Engels determinò la tattica del partito nella rivoluzione del 1905-1907, negli anni della reazione e della violenza controrivoluzionaria che seguì la rivoluzione democratico-borghese e rese possibile la vittoria dei bolscevichi nel 1917. Nei duri anni della repressione si assistette ad una forte penetrazione dell’ideologia borghese negli ambienti scientifici e letterari e Lenin affrontò una dura lotta per difendere il marxismo, in contrapposizione alla giustificazione ideologica della controrivoluzione, il ritorno del misticismo e di concezioni idealiste. Dentro gli innumerevoli lavori importanti di questo specifico periodo di repressione rivoluzionaria, si distacca l’opera monumentale Materialismo e Empiriocriticismo- note critiche sopra una filosofia reazionaria, in cui Lenin respinge l’idealismo soggettivista e sviluppa, in tutte le sue possibilità, la teoria marxista della conoscenza del mondo. 

La filosofia reazionaria, che si andava spandendo in Europa, non essendo un fenomeno specificatamente russo, negava la possibilità di conoscenza oggettiva delle cose, considerando obsoleto il concetto di materia e riducendo il compito della scienza alla comprensione delle “sensazioni”. Lenin definì la verità come un processo complesso e contraddittorio di sviluppo della conoscenza, in cui tante sommate verità relative ci conducono a una “somma di verità assoluta”.

Ogni nuova scoperta è un passo avanti nel processo di costruzione della conoscenza, e “i limiti della verità oggettiva sono relativi, ora più ristretti, ora più allargati, nella misura in cui cresce la conoscenza”.3

In realtà, la scienza borghese cerca, in tutto il periodo successivo all’arrivo al potere di questa classe, di negare l’esistenza di una verità e della possibilità della comprensione dei fenomeni sociali. Se non è possibile conoscere la verità, non è neppure possibile concepire la continuità storica, e il socialismo diviene pura fraseologia che non si sostiene se non nella testa dei suoi propagandisti. 

Questa pseudoscienza idealista si afferma attualmente sotto il manto della post-modernità, ragione per la quale la conoscenza della critica di Lenin e la sua difesa della dialettica materialista si rendono necessarie.

Imperialismo, internazionalismo e difesa della pace

All’interno della vasta gamma di innovazioni di Lenin non potevamo non evidenziare, seppur in maniera molto superficiale, la teoria dell’imperialismo, presentata nell’opera Imperialismo, fase suprema del capitalismo.

Appoggiandosi e supportando le conclusioni svolte da Marx ed Engels, Lenin affronta lo sviluppo del capitalismo mondiale circa 50 anni dopo la pubblicazione dell’opera di Marx, Il Capitale.

Nel suo libro Lenin conferma le previsioni di Marx per quanto riguarda la tendenza a concentrarsi del capitale, e magistralmente ne tratteggia la conseguente nuova e ultima fase capitalista che ne deriva, in cui i monopoli dominano l’intera economia globale e determinano l’azione e l’espansione degli Stati borghesi.

La teoria sull’imperialismo definisce la teoria per la rivoluzione, sostenuta sulle concezioni dello Stato e i compiti dei partiti rivoluzionari. 

Questo passaggio chiude definitivamente la polemica con Kautsky, che accusava i bolscevichi di voler imporre in Russia una “dittatura” al posto di una serie di possibili e auspicabili tappe per arrivare alla rivoluzione con vie democratiche. 

Se non si comprende la fase monopolista del capitalismo non si possono chiarire le questioni inerenti la “forma” delle rivoluzioni del XX secolo.

In questa tappa l’apparato dello Stato, completamente dominato dalla borghesia e fortemente militarizzato, patrocina la controrivoluzione e lotta con violenza per mantenere i suoi privilegi. La borghesia di un paese, una volta sconfitta, sarà difesa dalle borghesie di altri paesi, perché i suoi interessi di classe si sono internazionalizzati.

La difesa pacifica di un processo rivoluzionario come principio (e non come possibilità, in determinati casi) passa, pertanto, come ingenua fraseologia o, nel caso di Kautsky, come abbandono degli obiettivi rivoluzionari. 

Lenin afferma: “…l’imperialismo, cioè il capitalismo monopolistico maturato definitivamente solo nel ventesimo secolo, si distingue nei suoi tratti economici essenziali per il suo minimo amore per la pace e la libertà e per il massimo e universale sviluppo del militarismo. «Non notare» questo nell’esaminare fino a che punto sia verosimile o tipico un rivolgimento pacifico o un rivolgimento violento, vuoi dire scendere al livello del più volgare lacchè della borghesia.”4

La teoria dell’imperialismo ha dimostrato che tutto il mondo è diventato oggetto di ripartizione tra i monopoli. Lenin dimostrò che la politica coloniale del capitale finanziario si distingue dal colonialismo delle epoche precedenti, poiché si basa sulla sottomissione economica. “Il capitale finanziario è una forza tanto considerevole, potremmo definirla addirittura decisiva, in tutte le relazioni economiche e internazionali, che è in grado si subordinare, ed in effetti subordina, anche gli Stati che godono della più completa indipendenza politica”.5

Nell’attuale fase di sviluppo del capitalismo, le questioni nazionali sono tali solo in parte, una volta che i monopoli internazionali dominano economicamente la stragrande maggioranza dei Paesi. Da questo concetto deriva la necessità dell’internazionalismo proletario: nella misura in cui la dominazione economica oltrepassa le frontiere nazionali, anche la lotta per il socialismo deve essere internazionalizzata.

Sulla base di questa concezione Lenin fu nemico implacabile della guerra imperialista. La guerra, come continuazione della politica, deve essere analizzata e compresa attraverso il suo carattere di classe e non da un punto di vista puramente nazionale. La prima Guerra Mondiale, contro la quale si batterono i bolscevichi in Russia e il gruppo di Rosa Luxemburg in Germania, era una guerra imperialista, e come tale, doveva essere denunciata e contrastata.

I comunisti, sotto l’orientamento di Lenin, (e, in Germania, con la direzione di Rosa Luxemburg) ruppero definitivamente con la politica conciliatoria e nazional-borghese della II Internazionale, il cui maggior teorico, Karl Kautsky, era allineato alla politica di guerra del nascente imperialismo tedesco. Questo passaggio dell’opera La Rivoluzione Proletaria e il rinnegato Kautsky è alquanto illustrativo dell’atteggiamento e del posizionamento assunto da Lenin: “Quindi, l’internazionalismo di Kautsky e dei menscevichi si riassume così: chiedere riforme al governo borghese imperialista, ma continuare ad appoggiarlo, continuare a sostenere la guerra condotta da questo governo fino a quando tutti i belligeranti avranno finalmente accettato la parola d’ordine: senza annessioni e senza indennità (…) Teoricamente, questo mostra una totale incapacità di separarsi dai social-sciovinisti e una completa confusione sulla questione della difesa della patria. Politicamente, significa sostituire l’internazionalismo per il nazionalismo piccolo-borghese e passare dalla parte del riformismo, rinnegando la rivoluzione6.”

Un partito per fare la rivoluzione

Lenin riuscì a dimostrare, nella difesa e nello sviluppo del marxismo, l’unità tra teoria e pratica del movimento rivoluzionario. La rivoluzione socialista non è un atto spontaneo delle masse, ma un movimento intenzionale e organizzato, che si basa sull’analisi della realtà e quindi organizza il proletariato allo scopo della rivoluzione.

Nelle opere Che Fare? e Un passo avanti, due passi indietro: due tattiche della Socialdemocrazia nella Rivoluzione democratica (fra le altre innumerevoli) egli consolidò la sua concezione sulla lotta del proletariato, teorizzando il formato e il compito decisivo del partito comunista come forza dirigente del movimento rivoluzionario.

Per percorrere il cammino verso la conquista del potere e la costruzione del primo Stato Operaio della storia dell’umanità (il secondo, se consideriamo la breve esistenza della Comune di Parigi), Lenin dimostrò essere essenziale il consolidamento di un partito come centro dirigente unico, con forte disciplina e unità d’azione, in grado di agire sia in tempi di aperta libertà di propaganda che in anni di dura repressione. Un partito per dirigere la lotta politica in tutte le sue varianti e possibilità e per realizzare la necessaria alleanza politica tra proletariato e contadini.

Conferma infatti Lenin: “La politica è una scienza e un’arte che non cade dal cielo, che non si ottiene gratuitamente, e se il proletariato vuole sconfiggere la borghesia, deve formare da sé la sua classe politica”.7

L’azione del partito comunista deve mirare a conquistare il consenso della maggioranza del popolo, attraverso l’utilizzo di tutti gli spazi, usando tutte le forme di lotta necessarie, legali o illegali, a seconda del momento storico. Poiché “senza un cambiamento di opinioni della maggioranza della classe operaia la rivoluzione è impossibile, e questo cambiamento può essere raggiunto attraverso l’esperienza politica delle masse, non solo con la propaganda”.8

L’esistenza del partito nel modo concepito e disegnato da Lenin e la sua leadership indiscussa furono elementi cruciali per il successo della rivoluzione del 1917.

Nelle Tesi di Aprile, presentate pubblicamente subito dopo il ritorno di Lenin, che stava in esilio, come opuscolo chiamato “Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale”, e anche altre decine di documenti programmatici di quel periodo, Lenin trasse una strategia conseguente per la preparazione della transizione socialista.

Il programma di Lenin, approvato dal Partito comunista nella Conferenza di Aprile, definiva i compiti dei comunisti per mobilitare le masse ed avanzare verso una situazione di transizione dalla tappa democratico-borghese alla costruzione della rivoluzione socialista. Quello stesso anno però, nel mese di luglio, il governo provvisorio (borghese) fece mitragliare una manifestazione di operai a Pietrogrado, che segnò la fine della fase pacifica della rivoluzione.

Era importante prendere il potere immediatamente e Lenin indicò, nell’articolo “A proposito delle parole d’ordine” un cambiamento necessario delle parole d’ordine, che da quel momento divennero “Tutto il potere ai Soviet!”

Stato, dittatura del proletariato e Stato sovietico

Il Congresso clandestino del Partito comunista, realizzato in agosto, fu incentrato sulla preparazione delle masse ad una insurrezione armata, condotta dal partito.

Lenin, tenuto in esilio per circa 110 giorni, scrisse una impressionante quantità di documenti, dove sviluppò e migliorò la concezione marxista dello Stato, in particolare nell’opera Stato e Rivoluzione.

In questa opera Lenin contrasta i revisionisti e i socialisti “di sinistra”, attaccati ad una nozione quasi mitica dello Stato. Secondo lui, “La lotta per liberare le masse lavoratrici dall’influenza della borghesia in generale, e dalla borghesia imperialista in particolare, è impossibile senza una lotta contro i preconcetti opportunisti in relazione allo Stato”.9 Così come Marx ed Engels, Lenin definì lo Stato come strumento della classe dominante. Da questo elemento d’analisi deriva il concetto di dittatura del proletariato, che i riformisti tentarono di travisare per attaccare i bolscevichi. Fu quello che fecero Kautsky e menscevichi come Martov.

I riformisti attribuivano al concetto di “democrazia” e al parlamentarismo borghese (il cretinismo parlamentare, nelle parole di Lenin) valori prettamente universali, tentando di nascondere (attraverso citazioni incomplete e interpretazioni che deturpavano il significato originale dei testi di Marx ed Engels) la formulazione secondo la quale la natura dello Stato, qualunque essa sia, è a garanzia del potere della classe dominante per meglio reprimere le altre classi esistenti nella società, mentre il concetto di dittatura del proletariato si riferisce, unicamente, all’idea che lo Stato, sotto il controllo della classe rivoluzionaria, dovrà esercitare il suo potere politico sopra la classe sconfitta, fino a che essa sia definitivamente espropriata ed eliminata in quanto classe. La questione specifica dello Stato è stata affrontata nei dettagli in un altro articolo, pubblicato sul Portale Vermelho (“La questione dello Stato e il Partito rivoluzionario in Marx ed Engels”).

La questione della presa del potere dei bolscevichi attraverso l’insurrezione, l’organizzazione dello Stato, le misure pratiche per la costruzione del socialismo, la necessità di un accordo per la pace, la formazione di una disciplina proletaria, la difesa della centralità del potere, in contrapposizione ai “comunisti di sinistra”(che non difendevano altro che i principi della piccola borghesia), così come gli stessi principi di gestione economica della nascente società sovietica furono formulati da Lenin in un arco di tempo di poco più di un anno (tra il marzo del 1917 e la fine del 1918). Sono di questo periodo anche opere che combattono implacabilmente la politica portata avanti fa Trotsky, Bucharin e altri comunisti di sinistra, programmi di lavoro, regolamenti per la gestione delle imprese nazionalizzate, documenti riguardanti la questione della nazionalizzazione delle terre, tra le altre centinaia di pagine. 

Una dei contributi fondamentali di Lenin, che non può non essere menzionata, fu la formulazione della NEP, la Nuova Politica Economica, che assicurò una solida alleanza tra la classe operaia e quella contadina, e pose le basi dei fondamenti economici del nascente socialismo. Si rendeva necessario recuperare l’immenso ritardo materiale della nazione sovietica, di modo da garantire migliori condizioni di vita, e anche preparare le condizioni per resistere ai nuovi attacchi delle potenze imperialiste. Nel testo “Meglio meno, ma meglio”, Lenin presentò chiaramente il pericolo dell’aggressione imperialista, in un modo già diviso in due metà. Questo è un testo scritto nell’ultimo anno di vita di Lenin, che morì, in conseguenza degli attacchi sofferti, il 21 gennaio 1924.

Negli ultimi anni di vita Lenin si preoccupò particolarmente di come garantire la pace, attraverso accordi esterni, come sviluppare l’industria, della relazione tra Partito e Soviet, e dei già immensi problemi dell’amministrazione e della burocrazia dello Stato. Notò alcuni problemi che già si annunciavano come complicazioni che avrebbero raggiunto il picco diversi decenni dopo, dirigendo l’Urss verso il collasso.

La sua morte prematura fu una grande perdita per il nascente socialismo e per tutto il movimento comunista internazionale.

La sua eredità è la nostra principale arma teorica.

Fonte originale: http://www.vermelho.org.br/noticia.php?id_noticia=234155&id_secao=9

*Rita Matos Coitinho è insegnante di sociologia, scienze sociali e militante del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)

Note

1. Lenin, Estremismo, malattia infantile del comunismo. Lenin V.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo 3.
2. Lenin, Karl Marx. LeninV.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo
3. Lenin, Materialismo e Empiriocriticismo. Edições Avante: Lisboa, 1982. Pg 101
4. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky. Lenin V.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo 3
5. Lenin, Imperialismo come fase suprema del capitalismo, LENIN, V.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo 1.
6. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, LENIN, V.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo 3.
7. Lenin, Eestremismo malattia infantile del comunismo, LENIN, V.I. Obras escolhidas. São Paulo, Alfa-Ômega (Progresso/Avante), 1980. Tomo 3, página 321.
8. Idem, pag.324
9. Lenin, Stato e Rivoluzione. Opere Scelte, Alfa-Ômega, São Paulo: 1980. Tomo II, pg 223