di Francesco Maringiò
In occasione del 200° anniversario della nascita di Karl Marx, il sito di Radio Cina Internazionale ha ospitato un articolo di Francesco Maringiò, della redazione di Marx21.it
Il 2018 è un anno ricco di anniversari importanti per la storia del movimento comunista e del marxismo, a partire dalla celebrazione del bicentenario della nascita di Karl Marx ed il 170esimo anniversario del Manifesto del Partito Comunista.
L’occasione è propizia, in sede di dibattito storico e culturale, per porsi una domanda essenziale: perché ha senso – politico e teorico – parlare di ritorno al (e del) pensiero di K. Marx?
Il ritorno di Marx
La crisi economica scoppiata nel 2008 ha fatto registrare un successo editoriale delle opere di Marx tra quanti ricercavano alternative valide alle teorie in voga nell’Occidente liberal-capitalistico e persino prestigiose riviste di orientamento liberale sono arrivate a chiedersi “cosa avrebbe pensato Karl Marx” (Economist, 15/10/2008 e Time, 29/01/2009). Tuttavia, piuttosto che segnare davvero il ritorno del marxismo nell’Occidente, queste operazioni hanno costruito un’immagine “pop” del pensatore tedesco, relegandolo a visionario delle storture del capitalismo, invece di tributare alla sua elaborazione teorico-politica il ruolo che spetta ai grandi classici, capaci -per dirla con lo storico inglese A. N. Wilson- di «cambiare il modo in cui gli uomini guardano a se stessi».
Questa operazione di recupero di Marx da parte dei media mainstream è avvenuta scollegando il pensatore dalle idee guida delle sue opere principali, nascondendo la radicalità politica della Critica al Programma di Gotha, la potenza disvelatrice della Questione Ebraica, la straordinaria modernità dei Grundrisse, per non parlare della potenza analitica ed evocativa del Manifesto del Partito Comunista o della più alta critica all’economia politica del Capitale. Anzi, si compie un vero e proprio processo di rovesciamento: se nelle Tesi su Feuerbach Marx condanna i filosofi perché incapaci di trasformare il mondo, oggi la sua elaborazione viene inserita in un pantheon indistinto di questi “grandi pensatori”. Egli diviene così un filosofo tra i filosofi che hanno “variamente interpretato il mondo”, non più il padre della filosofia della prassi. L’obiettivo è tributargli un ruolo di denuncia delle tragedie della società borghese, relegando però la sua filosofia all’impotenza della trasformazione sociale e del cambiamento dello “stato di cose presenti”.
Ma tra i fautori di questa operazione di depotenziamento del messaggio marxista non ci sono soltanto i pensatori liberali. Manca ormai da tempo un dibattito teorico-politico sullo stato di salute e sulle prospettive del marxismo in Italia, reso necessario ed urgente dalla sconfitta della sinistra storica e della drammatica sua riduzione alla marginalità ed alla influenza (in Italia ed in parte dei paesi a capitalismo maturo).
Sono perfettamente consapevole della radicalità della critica che qui esprimo nei confronti delle organizzazioni che della storia marxista sono eredi, ma sono profondamente convito del fatto che parte delle ragioni della sconfitta risiedano proprio nella vittoria (in Italia ma non solo) di correnti di pensiero che hanno assunto una visione eurocentrica ed occidentale.
Marxismo occidentale e marxismo orientale
Di fronte al riproporsi della miseria di massa anche nei paesi sviluppati, all’inasprirsi delle disuguaglianze sociali ed alle minacce di guerra, la sinistra in Italia ed in Occidente è assente, incapace di rendersi realmente indipendente dal sistema imperialistico, quando non colpevole di aver spianato la strada ad un ritorno del neo-imperialismo sotto forma di guerre di esportazione della democrazia occidentale, veicolando un pregiudizio eurocentrico ed inconsciamente razzista. Questa è la tesi di fondo del filosofo Domenico Losurdo che individua le ragioni di questa crisi nel fatto che il marxismo occidentale ha sviluppato il suo pensiero separandosi dallo sviluppo del pensiero marxista del resto del mondo.
Il marxismo occidentale ha influito enormemente sui movimenti della così detta “nuova sinistra” e su quelli del ’68 (di cui in quest’anno si celebra il cinquantenario) ed è divenuto egemone dopo il crollo dell’Urss. Un pensiero (i cui cantori odierni sono Negri, Hardt, Zizek e prima ancora Foucault o Arent) che ha rimosso il nodo della lotta anti-coloniale e dello sviluppo delle forze produttive, come invece hanno fatto i movimenti socialisti affermatisi fuori dall’Occidente che si sono posti l’obiettivo di far uscire dalla miseria e dalla fame centinaia di milioni di esseri umani.
Non è un caso che queste tendenze politiche e filosofiche abbiano condotto una lunga offensiva ideologica ed una costante campagna revisionista nei confronti del leninismo. Lenin infatti ha rappresentato una cerniera tra il marxismo occidentale ed orientale e con il suo pensiero il marxismo ha vissuto uno sviluppo talmente marcato e creativo che il suo nome è stato intimamente legato a quello di Marx nella teoria del marxismo-leninismo. Questo individua il legame strategico e necessario tra il movimento dei lavoratori in Occidente e le popolazioni colonizzate in Oriente. Lenin, il cosmopolita, pone le basi per uno sviluppo davvero internazionale del movimento comunista mondiale, come mai era accaduto: la I e la II Internazionale sono fondamentalmente europee, il Comintern è mondiale. Ciò si deve anche al processo storico della Rivoluzione d’Ottobre che fa emergere il ruolo dei popoli oppressi, diventando un tornante della storia non solo del movimento operaio, ma dell’intera umanità: all’invito marxiano dell’unità dei “proletari di tutti i paesi”, si aggiunge quello “a tutti i paesi e popoli oppressi” fatto dall’Ottobre.
Dalla crisi alla rinascita
Oggi la cultura marxista è divenuta ampiamente minoritaria in Italia, ma negli anni ’70 ha conosciuto un vero e proprio apogeo: poderosa era l’influenza sul mondo della cultura e diverse erano le case editrici e le riviste che contribuivano alla diffusione di una cultura marxista. A tutto questo si aggiungevano gli strumenti culturali del PCI: pubblicazioni, istituti e scuole di partito che contribuivano alla formazione di miglia di militanti e quadri in tutto il paese, legati all’esperienza politica nel sindacato e nelle organizzazioni di massa. Senza contare la produzione culturale della “nuova sinistra” e delle componenti interne allo stesso PCI, che spesso si dotavano di riviste teoriche e centri culturali per organizzare la battaglia interna al Partito.
È con gli anni ’80 che si registra l’avvio della fase discendente della cultura marxista in Italia. Questa viene attaccata “dall’esterno” (gli apparati ideologici dello stato borghese), “dall’interno” (vengono a galla le tenenze interne al PCI che puntano ad una sua trasformazione socialdemocratica o si rafforzano le tendenze che prendono le distanze da Lenin e dal marxismo orientale) e “di lato” (sorgono riviste e centri studi per influire sul dibattito interno al Partito).
L’epilogo è immediato e sarà decretato con lo scioglimento del PCI all’inizio degli anni ’90 e la nascita del PRC, la cui fondazione avviene su basi ideologicamente fragili ed eclettiche, come risposta resistenziale e di contrapposizione alla mutazione genetica del PCI.
Saranno poche e risultano minoritarie le riviste (per lo più legate a reti di militanti o correnti interne al PRC) e le case editrici che si pongono il problema dello sviluppo organico della cultura marxista nel nuovo contesto storico, ma le dimensioni (relativamente) ridotte della loro influenza non permetteranno la trasmissione organica e continuativa del marxismo alle nuove generazioni.
In questo quadro difficile, figlio della crisi e della sconfitta che il movimento operaio e marxista ha subito in Italia nel corso di questa controffensiva lunga quasi 40 anni, ritornano prepotenti e quasi profetiche le parole di Antonio Gramsci, che nei Quaderni scriveva: «ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà» [Q28, III].
Il compito che spetta ai marxisti di questo paese è principalmente un grande lavoro coordinato e organizzato di ricostruzione di una cultura comunista di base, capace di diffondere i testi classici ed imparare dalle esperienze di transizione al socialismo e le rispettive elaborazioni culturali (a partire dalla teoria del socialismo di mercato e della transizione, presente nell’elaborazione dei marxisti cinesi). La priorità deve essere quella di lavorare per il superamento della frammentazione, per la concentrazione e centralizzazione di tutte le risorse marxiste presenti (umane e materiali).
Non si tratta di un lavoro disperante: questo avviene nel mezzo di un contesto internazionale caratterizzato dal protagonismo di paesi e popoli non subalterni ai centri imperialisti mondiali, o guidati da partiti e movimenti comunisti e marxisti. L’ascesa della Repubblica Popolare Cinese, assieme all’emergere anche della Repubblica Socialista del Vietnam o di Cuba (per citare solo alcuni degli esempi), o dei paesi del BRICS, ci dicono dei risultati a cui sono giunti gli ex paesi coloniali nell’affermazione della loro strada verso l’indipendenza e l’emancipazione, riequilibrando i rapporti tra le classi (in una grande lotta di classe combattuta a livello globale) a favore dei popoli e del proletariato mondiale, in Oriente come in Occidente.
In questo confronto tra marxismo orientale ed occidente, attraverso un processo di apprendimento dagli errori del passato e dalle lezioni della storia, si pone la sfida per la ripresa del marxismo in Italia, di cui le celebrazioni del bicentenario della nascita di Marx possono rappresentare l’occasione per riannodare i fili di questa ricerca, tanto feconda quanto necessaria.
(Francesco Maringiò, Giornalista, Coordinatore del Dipartimento Esteri del PCI )