La studiosa Zhengxiang Wei, docente di marxismo presso la prestigiosa Università Tsinghua di Pechino, in un rapporto rilasciato ad un sito occidentale nell’aprile 2010, ha rilevato che già nella Cina dei primi anni del Novecento si era notato negli ambienti intellettuali come “il marxismo avesse alcune somiglianze significative con le tradizionali filosofie della Cina. In primo luogo, il marxismo aveva al suo centro un ideale sociale simile al concetto confuciano della società “datong”, o società della grande condivisione. In secondo luogo, la logica dialettica di matrice hegeliana che attraversa il marxismo può essere facilmente tradotta in quella familiare al taoismo. Infine il materialismo storico di Marx, la sua convinzione che le cause fello sviluppo e del cambiamento nella società umana siano legate strettamente ai mezzi con i quali gli esseri umani producono collettivamente ciò che è necessario alla loro vita, è stato subito considerato compatibile con la presenza tradizionale cinese della circolarità della storia umana”.
Focalizzando il discorso sulle tre caratteristiche fondamentali del marxismo cinese, la professoressa Wei ne ha individuate due particolarmente importanti:
– il modello sociale da realizzare nel futuro, il socialismo/comunismo
– la volontà di imparare dai paesi capitalistici avanzati.
La ricercatrice cinese ha “sottolineato che sebbene la Cina ancora sia convinta dell’ideale sociale comunista, crede anche che esso verrà realizzato solo in un lontano futuro, ma allo stesso tempo è contenta di praticare il socialismo, che Marx ha valutato come la prima tappa verso il comunismo”. La professoressa Wei ha attirato l’attenzione sul fatto che è stato importante per il popolo cinese “avere un simile obbiettivo da perseguire” mentre si confrontava con gli attuali sociali, citando (senza neppur nominarlo, e non casualmente) il celeberrimo racconto di Mao Zedong su Yu Kung, i suoi figli e la loro “magica” capacità di vincere con il lavoro collettivo prolungato degli ostacoli apparentemente insuperabili.
Con una certa dose di ironia, la professoressa Wei ha comunicato ai suoi intervistatori occidentali che tale idea-guida “sintetizza la visione generale del popolo cinese verso la società ideale”, sottolineando tuttavia allo stesso tempo che “la Cina è veramente interessata ad imparare dai paesi capitalisti e che le imprese private capitalistiche saranno protette ed incoraggiate a svilupparsi per un lungo periodo”.
Un particolare effetto di sdoppiamento apertamente riconosciuto sul piano pratico e concreto dagli attuali “Yu Kung” cinesi, anche quando la Wei ha sottolineato che ”la Cina sta cooptando il capitalismo per il presente, ma che il reale obiettivo della società cinese è il socialismo”.
Rispondendo ad una domanda specifica sulla situazione attuale del marxismo cinese, la professoressa Wei ha rivelato di aver appena passato con una delegazione “dieci giorni nelle principali università statunitensi”. Quando molti professori americani con cui discuteva affermavano che a loro avviso “il marxismo era una filosofia marginale nel mondo contemporaneo”, lei replicava che essa invece “aveva una grande rilevanza” riaffermando che “ il marxismo è ancora il nucleo essenziale” (the core) del processo politico cinese, visto che a suo avviso “in Cina, prima che la gente faccia qualunque cosa, si elabora prima un piano, e questo progetto viene giustificato proprio usando la filosofia marxista”.
La professoressa Wei ha detto “che lei fermamente crede che la gran parte degli iscritti al partito” (al partito comunista cinese) “sottoscriva questo modo di pensare, sebbene ammetta che vi sia una ristretta minoranza che abbia aderito al partito solo per ricevere dei benefici”; in ogni caso la Wei ha sottolineato come sia stato importante che “questa filosofia” (il marxismo, nella sua tradizione cinese) “si sia tramandato nel passaggio di generazione, e questo spiega perché a tutti gli studenti cinesi sia richiesto di passare un corso di marxismo prima che si diplomino” (non certo come da noi in Italia, insomma, oppure negli Stati Uniti, o in Germania, ecc).
Entrando sul tema della libertà di parola, la professoressa Wei ha spiegato che “la prima priorità del governo cinese è che la popolazione viva: per ottenere tale fine la Cina ha bisogno di rimanere un paese stabile, ed a tale scopo il governo deve controllare determinati generi di “discorsi politici”. Quando la Cina diventerà più sicura nella sua stabilità e ben sviluppata economicamente, “le discussioni diventeranno sempre più libere”, non mancando infine di ricordare ai suoi interlocutori occidentali che “gli Stati Uniti nell’ultima parte degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta aveva applicato la censura ai comunisti, sia reali che presunti tali”, con un’efficace rimando al maccartismo ed alla “caccia ai rossi” avvenuto nei liberi Stati Uniti di quel periodo, accanimento continuato anche nei decenni successivi (piano cointe pro, ecc).
Fonte: United Nations University, “The place of chinese marxism in domestic and foreign policy”,
15 aprile 2010, discussion on line con Zhengxiang Wei, docente di marxismo all’Università Tsinghua di Pechino