Contro l’inezia liberale – Lo sfruttamento esiste

marx engels berlindi Giovanni Paolo Sirianni e Pier Giorgio Corriero

[in risposta a Lo sfruttamento – Tutti gli errori di Marx]

Nel terzo video si sviluppano artificiose polemiche contro la teoria marxiana dello sfruttamento capitalistico, che spiega come il capitale possa sorgere solo e solamente dallo sfruttamento di forza-lavoro. Come vedremo, il video non si preoccupa di criticare le basi di tale teoria ma bensì di ripetere i soliti misticismi logici borghesi in funzione di rendere più condivisibile lo sfruttamento in atto. 

Subito l’aedo del liberismo compie l’ennesimo forzato misticismo logico, ripetendo a pappagallo la solita ridicola accusa della non-attualità del marxismo. Da buon difensore dei privilegi della borghesia ed ingannatore del popolo lavoratore, Cotroneo rassicura proletari e padroni col dogma della relegazione del marxismo al trapassato XIX secolo, era di barbarie che ormai è passata, dunque tale teoria è evidentemente da scartare a priori in quanto pecchi di radici ideologiche ottocentesche. Forse Cotroneo si è dimenticato che lo stesso liberalismo nacque non molti decenni prima del marxismo, nella stessa società che si affacciava per la prima volta all’era capitalistica dello schiavismo salariale. Le condizioni ottocentesche sul luogo di lavoro sono state superate solo e solamente grazie alla storica lotta di classe guidata dalle tre internazionali del lavoro, del socialismo e del comunismo. Senza queste organizzazioni non avremmo mai conosciuto non solo un sistema proporzionale, ma un basilare sistema di suffragio universale, che ricordo all’epoca fu inviso ai liberali e propugnato da socialisti e comunisti (in fondo cosa può saperne di politica un rozzo e maleducato operaio od uno straccione qualsiasi, certa gente non può certamente essere interpellata sul sistema politico di un moderno e civile stato borghese!). Oltre ai diritti politici, grazie alla lotta di classe, culminata nell’intera Europa con la rivoluzione bolscevica d’ottobre, non avremmo certo conosciuto diritto sociale alcuno: vi sarebbero ancora giornate lavorative in fabbrica di 12 ore, le schioppettate addosso alle sedi di partiti socialisti/comunisti e sindacati, esisterebbero ancora gli imperi coloniali e l’apartheid in paesi come gli USA. La controprova di ciò (oltre alle strane coincidenze di correlazione tra le date dei principali diritti conquistati dai lavoratori e l’evoluzione del movimento proletario nello stato preso in esame) è costituita dal crollo del muro di Berlino, in altre parole dal suicidio della revisione del marxismo in favore dell’ormai ben radicato neoliberismo. Da quell’evento storico in poi, come già esposto, la condizione materiale dei lavoratori non fece che peggiorare in tutto il mondo globalizzato (a parte la Cina ed i paesi ad essa collegata), dall’Italia agli USA, dall’India alla Russia, dall’Albania alla Cambogia e via discorrendo. L’attualità del marxismo non è solo dimostrata dall’attuale sconcertante polarizzazione sociale in corso a livello nazionale, nella nostra Italia, quanto su scala mondiale, ma anche dalla realtà cinese. Qui un potente e moderno stato socialista e popolare ha sollevato dalla povertà, in poco più di settant’anni, 800 milioni di persone e fatto passare la speranza di vita di media da 35 anni nel ’49 a 77 nel 2021 (passando per i 65 con la morte di Mao nel ’76, per chi pensasse che il miglioramento delle condizioni di vita si ebbe solo con Deng). Questo stato raggiunge tali successi mettendo il proprio potere, di tutto il popolo, al di sopra di quello dei grandi capitalisti cinesi, dimostrando il fatto che la proprietà privata in Cina è volta all’arricchimento complessivo di una nazione non certo esente da contraddizioni interne ma guidata dalla classe operaia, mentre nel decadente occidente ha una funzione reazionaria di interesse dei borghesi. Nell’attuale società occidentale succede l’esatto contrario: esempio flagrante lo si ha anche nel nostro paese dove in lo stato, scioccamente etichettato come socialista da ottusi menzogneri liberali, concede ben sei miliardi di euro in prestiti alla Fiat (per spostarne successivamente due in Polonia) e solo uno alla scuola pubblica, in piena crisi. Mentre è meglio, per la nostra sanità mentale, che non si parli delle priorità del Recovery Plan.

Si espone in seguito un parallelo tra la visione marxiana della società, secondo la quale la ricchezza dei ricchi è dovuta solo e solamente al lavoro dei lavoratori, e un paradosso secondo il quale se esistono macchine lente è perché ne esistono di veloci. Ebbene, chi afferma ciò non ha ben chiaro il funzionamento dei rapporti di produzione nel capitalismo, svelati ormai tempo orsono da Carlo Marx. In tale regime economico, infatti, la società si divide in due principali classi: la borghesia, che detiene i mezzi di produzione, ed il proletariato, costretto, al fine del sostentamento suo e della sua di famiglia, a vendere la propria forza-lavoro al detentore dei mezzi di produzione. Soffermandosi su tale merce, la forza-lavoro, questa è l’unica che può produrre nel capitalismo maggiore valore di quanto ne costi, in altre parole, è l’unica causa materiale della nascita del capitale. Ecco spiegato dunque il perché il detentore di tale ultima forza sociale (il capitalista) deve ciò solo e soltanto al lavoratore: è il lavoro che produce il capitale, e non il contrario, come i liberali vorrebbero far credere. Per non parlare del fatto che oltretutto la velocità di una macchina è puramente relativa, tra la fine del ‘900 e l’inizio del novecento quando iniziarono a sviluppare i primi modelli automobilistici anche una macchina che toccava a stento i 70km/h poteva essere considerata veloce così come è probabile in un futuro lontano una macchina che arriva ai 300 km/h sarà considerata lenta, costoro anche quando si debbono soffermare su esempi banali nuovamente astraggono dalla realtà materiale e dalle condizioni materiali oggettive vigenti.

Si afferma che, dato che i paesi in cui si lavora di più non sono i più ricchi, allora tutta la teoria dello sfruttamento è errata. È semplicemente sbagliata la premessa. I paesi più ricchi non sono quelli che hanno una popolazione di lavoratori che semplicemente lavora di più (e quindi da cui viene assorbito maggior plusvalore), ma sono quelli della quale la borghesia nazionale estrae più plusvalore prodotto non solo dai lavoratori che vivono all’interno del territorio nazionale, ma anche da lavoratori di diversi stati,sostanzialmente, si passa all’analisi dell’imperialismo. La borghesia imperialista non ha possedimenti solo nel proprio paese di provenienza, ma anche in altri paesi, specie quelli dove i lavoratori hanno condizioni peggiori e quindi si può assorbire una quota maggiore di plusvalore. Sulla base di ciò sono state condotte guerre, come ad esempio quella provocata dalla CIA in Guatemala negli anni ’50, per la difesa dell’impero della United Fruit Company nel paese latino-americano, impero messo in crisi dal primo ministro socialista Arbenz. Per quanto concerne l’ultima parte, quando si sostiene il fatto che non sempre quantità di lavoro e ricchezza di una società non sono direttamente proporzionali, non posso che condividere, sbaglia Istituto Liberale a pensare che questo sia un punto di vista marxiano. Marx ne “La critica al programma di Gotha” scrive

«Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana […] E il lavoro dell’uomo diventa fonte di valori d’uso, e quindi anche di ricchezze, in quanto l’uomo entra preventivamente in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perché dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l’uomo, il quale non ha altra proprietà all’infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso».

(Opere Scelte Marx-Engels, Edizioni Progress, Mosca 1986, pag 315 Ed. Ing.) 

Ed anche nella “Critica all’Economia Politica” dice

«E’ sbagliato dire che il lavoro, in quanto produce valori d’uso, sia l’unica fonte della ricchezza da esso prodotta, ossia della ricchezza materiale. Siccome il lavoro è l’attività svolta per adattare il materiale a questo o a quello scopo, il lavoro ha bisogno della materia come presupposto. In valori d’uso differenti la proporzione fra lavoro e materia naturale è molto differente, pure il valore d’uso contiene un sostrato naturale. Come attività conforme allo scopo di adattare l’elemento naturale in una forma o nell’altra, il lavoro è condizione naturale dell’esistenza umana, è una condizione del ricambio organico fra uomo e natura. Il lavoro che crea valore di scambio è per contro una forma specificamente sociale del lavoro. Il lavoro del sarto ad esempio, nella sua proprietà materiale di particolare attività produttiva, produce l’abito, ma non il valore di scambio dell’abito». (Opere Complete Marx-Engels, Volume XXX , Editori Riuniti, Roma 1986, pp. 313-314)