Marxismo e globalizzazione

riceviamo e pubblichiamo

di Davide Gianetti

“Il rapido estendersi dell’industria inglese non avrebbe potuto aver luogo se l’Inghilterra non avesse potuto disporre di una riserva nella numerosa e povera popolazione irlandese […]. Questa gente, cresciuta quasi tutta senza civiltà, abituata dalla gioventù alle privazioni d’ogni genere, rozza, ubbriacona, noncurante dell’avvenire, viene e porta tutti i suoi usi brutali in una classe della popolazione inglese che in vero ha poche attrazioni per l’educazione e la moralità […].

L’operaio inglese ha da lottare con un simile concorrente, un concorrente che sta nel gradino più basso ch’è possibile in un paese civilizzato e che perciò abbisogna anche di un salario minore di qualsiasi altro […].

Ma dove si tratta di un lavoro semplice e poco esatto, che dipende più dalla forza che dall’abilità, in tale caso l’irlandese è capace quanto l’inglese. Perciò pure questi rami di lavoro sono abbandonati dagli inglesi; i tessitori a mano, i manuali, i facchini, gli artigiani, sono nella massima parte irlandesi, e l’affollarsi di questa nazione ha contribuito moltissimo all’abbassamento del salario e della classe lavoratrice.

E se anche gli irlandesi, penetrati nelle altre branche di lavoro, dovessero divenire più civilizzati, rimarrebbero tuttavia sempre abbastanza dipendenti dalla vecchia economia per influire — accanto all’influenza che sarebbe prodotta dalla vicinanza degli irlandesi — in modo degradante sui compagni di lavoro inglesi.

Poiché, se quasi in ogni grande città un quinto od un quarto degli operai sono irlandesi o figli di irlandesi cresciuti nella sporcizia irlandese, non farà meraviglia che la vita dell’intera classe operaia, i suoi costumi, la condizione intellettuale e morale, tutto il suo carattere abbiano preso una parte importante di questa natura irlandese; si potrà intendere come la condizione del lavoratore inglese deplorevole per l’industria moderna e per le sue conseguenze, sia divenuta ancor più degradante1”.

Quando Friedrich Engels scrive questo passaggio ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, siamo nel 1848, periodo in cui un milione mezzo di irlandesi, ridotti allo stremo da fame e povertà, lasciano l’isola verso il Nord America e l’Inghilterra alla ricerca di lavoro e sopravvivenza. Si tratta della prima grande emigrazione di massa per ragioni economiche che interessò l’Europa in epoca moderna.

Tralasciando gli impietosi giudizi (e i pregiudizi), ampiamente descritti in altri punti dell’opera, nei confronti degli irlandesi da parte di un borghese dell’Ottocento, pur di ampie vedute, quale era Engels, è qui evidente anche il dispiegarsi di un’analisi che, sotto il profilo della lotta di classe, merita approfondimenti.

Da una parte, Engels mette in luce come l’emigrazione irlandese, nello specifico, sia un prodotto, quasi fisiologico, del capitalismo moderno. Dall’altra, il filosofo tedesco osserva l’effetto “degenerativo”, o per meglio dire, regressivo del fenomeno migratorio irlandese.

Se infatti l’industria moderna inglese, oltre allo sfruttamento in senso capitalistico, aveva comunque modellato l’operaio inglese rendendolo più civilizzato rispetto ad epoche passate, quindi più moderno, e pertanto, pur sfruttato, dialetticamente anche più consapevole politicamente del proprio ruolo e della propria funzione, ora tali traguardi sembrano dalle pagine di Engels come dissolti e portati verso i bassifondi, diremmo al di fuori della Storia, in ragione di questa tragedia collettiva e del fatto che questa massa di disperati, disposti a tutto a causa della loro totale indigenza, risultano oggettivamente alleati, anche se inconsapevoli, degli appetiti dei capitalisti inglesi.

In questo passo gli irlandesi sembrano ricalcare il modello di Lumpenproletariat che nel Manifesto del Partito Comunista2 e in Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte3 Marx ed Engels avevano delineato sotto il profilo della lotta di classe riguardo alla propensione, quasi meccanicistica, di questa pseudo classe non socializzata di farsi assorbire e perfino mettere al completo servizio del capitale e dei capitalisti.

Nella Seconda metà del Novecento, In Europa, si sono avuti movimenti migratori simili a quello descritto da Engels. Il marxismo occidentale, a differenza di quello orientale, che non si è dovuto misurare con questo problema (ma semmai con altri), si è trovato al cospetto di questo fenomeno e ne ha dato una interpretazione meccanicistica.

Ora, non c’è nulla di meno scientifico, e di più ingiusto, che fare un’equivalenza tra diseguali. Quando Engels parla della questione irlandese, non teorizza di certo che gli effetti dello spostamento, oggi su scala mondiale, di lavoratori a basso costo verso le industrie dei Paesi capitalisticamente avanzati abbiano come conseguenza necessaria gli effetti che egli ha descritto nella sua opera. Ogni movimento migratorio fa storia a sé.

Pertanto, un fenomeno di questo tipo, come tutti i fenomeni che agiscono su scala planetaria, se da un lato, in radice, presenta similitudini evidenti (la necessità del capitale di accedere a forza lavoro sempre più sfruttabile) con altri analoghi, dall’altro lato va analizzato, nelle sue conseguenze, come caso specifico in sé e non equivalente.

Da un punto di vista teorico, di fronte al flusso di tali moltitudini sono state date, di volta in volta, interpretazioni moralistiche, emotive, oscillanti tra un umanitarismo romantico e un universalismo astratto di matrice liberale.

Un caso concreto: se prendiamo in considerazione l’afflusso di milioni di lavoratori turchi nella Germania dell’Ovest, a seguito dell’accordo del 1961 tra il governo federale di Bonn e quello di Ankara, vediamo come esso fosse stato l’esito politico di pressanti richieste da parte degli industriali tedeschi che, di fronte al “miracolo economico” (Wirtschaftswunder4) del dopoguerra, e in coincidenza con la costruzione del Muro di Berlino (che impediva di fatto ai lavoratori dell’Est di essere impiegati nelle fabbriche dell’Ovest), erano rimasti spiazzati dalla mancanza di un numero sufficiente di lavoratori da impiegare nei settori meno qualificati e più faticosi, costringendo così il governo della Germania a firmare l’accordo con la Turchia per “l’importazione” di manodopera a basso costo5.

Ebbene, questa immigrazione forzata condotta dagli industriali tedeschi, sotto il profilo della lotta di classe e dell’emancipazione sociale, in ultima istanza, che esito ha avuto? È difficile rispondere a una simile domanda, dato che gli effetti si misurano in decenni.

Tralasciando l’effetto economico derivante del dumping salariale, dal quale la polemica populista di destra trae nutrimento ideologico ed elettorale, si è registrata una progressiva e poi drastica contrazione dello Stato sociale, già bersaglio privilegiato della costellazione liberale e liberista negli anni Ottanta del Novecento, giustificata con l’esiguità delle risorse a fronte di una platea di utilizzatori enormemente aumentata. Si tratta del dilemma in cui si dibattono le socialdemocrazie del nord Europa, il cui modello sociale è entrato in crisi per questa ragione.

Il dubbio è che, anziché essere edotti e accompagnati lungo il percorso di emancipazione da parte dalla classe lavoratrice più avanzata e avvertita sul terreno della coscienza di classe, determinati lavoratori “importati” dal capitalismo abbiano in qualche modo, in ragione delle loro specifiche e oggettive peculiarità nazionali (peculiarità che i liberali di destra e quelli di sinistra erano certi sarebbero state velocemente divelte e riassorbite entro il perimetro economico), contribuito ad abbassare sia il livello di coscienza di classe generale, sia il livello di conflitto con la classe antagonista.

Questo perché in determinati casi la lotta di classe è stata vista come il prodotto di un’elaborazione culturale specifica, parziale, tipicamente europea o al più occidentale, del tutto aliena rispetto alla concezione propria di alcune, specifiche, masse di lavoratori extraeuropei portatori di concezioni di vita e del mondo che affondano le proprie radici per esempio nella religione, nelle tradizioni o nelle consuetudini comunitarie.

Si avvertono qui gli echi del carattere reazionario e regressivo proprio dei sottoproletari arruolati alla bisogna dal capitale, a cui Marx ha dedicato diverse riflessioni e che Engels ha descritto nel brano di apertura di questo articolo.

Si corre il rischio, in altri termini, che strati ben precisi di sottoproletariato svolgano una funzione di “morfinizzazione” rispetto al conflitto sociale e di ricomposizione delle contraddizioni di classe.

Sarebbe tuttavia poco serio e scientifico generalizzare, concludendo che tutti gli eventi come quelli qui descritti abbiano avuto quale esito una inevitabile regressione reazionaria rispetto alle conquiste e agli avanzamenti sociali ottenuti nel Dopoguerra.

Nello stesso tempo, si osserva il seguente fenomeno: è ormai consolidata la tendenza dei lavoratori occidentali, ma in special modo europei, a spostarsi politicamente sempre più verso il populismo di destra, ripiegandosi in un approccio regressivo intessuto di discorsi di odio e in genere irrazionali, perfino paranoidi, così caratteristici di questo campo politico, illudendosi che, eliminato il capro espiatorio di volta in volta additato, si possano riguadagnare avanzamenti sociali e benessere economico.

Oscillando tra i poli opposti ma complementari del razzismo escludente e dell’umanitarismo astratto caratterizzante la “società aperta” di popperiana memoria, il populismo colonizza il discorso politico, masticando e sciogliendo le contraddizioni sociali e le complessità tipiche delle società contemporanee all’interno di un unico contenitore ideologico.

A questo proposito sono note le riflessioni di Domenico Losurdo6, che identifica nella visione binaria il nucleo concettuale del populismo, laddove alla mitologia comunitaria e alla purezza delle origini, tipica del populismo di destra, si contrappone, come vasi comunicanti, il populismo di sinistra, con la sua elevazione a modello supremo di moralità e di eccellenza il gruppo ritenuto in quel momento, a torto o a ragione, il più reietto fra i reietti; e ciò facendo astrazione del ruolo, progressivo o regressivo, conservatore o emancipatore, che quel gruppo svolge oggettivamente nella realtà.

All’analisi concreta del caso concreto, all’analisi scientifica delle contraddizioni che sorgono da situazioni e snodi di decisiva importanza, subentra quindi il giudizio moralistico, la visione dicotomica, quasi teologica, tra Bene e Male, la presa di posizione sentimentale.

Soprattutto, vengono eclissate del tutto le radici economiche, storiche e sociali di detti fenomeni, nonché le loro conseguenze a lungo termine.

Certamente ha giocato, in questo, un ruolo fondamentale anche l’involuzione ideologica dei partiti che guardavano con simpatia al modello sovietico e marxista in generale. Con la Terza Via di clintoniana e blairiana memoria, gli ex partiti marxisti hanno deciso di formare l’altro corno del Partito Liberale Unico all’interno della nascente globalizzazione, quello di sinistra. Il resto è finito nel gorgo del populismo montante, variante di sinistra.

La complessità di una società multiculturale ha inoltre fatto sì che la priorità percepita dai lavoratori si sia spostata dal conflitto sociale verso altri temi, più facilmente intercettabili dalla destra perché mai sottoposti a riflessione critica da parte della sinistra, quando non completamente misconosciuti dalla stessa come facenti parte dei bisogni delle classi subalterne. Come se la sicurezza e la coesione sociale, per esempio, avvertita dai più vulnerabili sotto il profilo economico, non rientrasse in quei bisogni materiali esattamente come il salario o la casa. Oppure come se la ferocia sradicante della globalizzazione fosse la diretta discendente dell’internazionalismo di marxiana memoria, confondendo in ciò internazionalismo e cosmopolitismo.

BIBLIOGRAFIA

ENGELS FRIEDRICH, 2021

La situazione della classe operaia in Inghilterra, Feltrinelli Editore, Milano.

MARX KARL, 2017

Il Manifesto del Partito Comunista, Feltrinelli Editore, Milano.

MARX KARL, 2015

Il 18 Brumaio di Lugi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma.

LOSURDO DOMENICO, 2015

La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Roma-Bari.

SCGMIDT HELMUTH, 1999

Globalizzazione. Sfide politiche, economiche e culturali, Edizioni Lavoro, Roma.

Note:

11 https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1845/situazione/5.htm

22 https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_del_Partito_Comunista

33 https://it.wikipedia.org/wiki/Il_18_brumaio_di_Luigi_Bonaparte

44 https://it.wikipedia.org/wiki/Wirtschaftswunder

55 https://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/884/migrazioni-zuccolo.pdf

66 https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858106655

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