riceviamo e pubblichiamo
di Alba Vastano
da http://www.blog-lavoroesalute.org
Zygmunt Bauman, il padre ideologico della società liquida, lo aveva definito Unsicherheit. Nel nostro codice lingua non c’è un termine corrispondente. Bauman intendeva l’Unsicherheit come quella fastidiosa sensazione psicologica che viene indotta dall’incertezza, dall’insicurezza e dal sentirsi scoperti, non tutelati. Una sensazione oggi quanto mai diffusa dovuta al nascere e al radicarsi di società ipermoderne, caratterizzate da un radicale megachange. Profondi cambiamenti che favoriscono il ribaltamento delle nostre sicurezze, acquisite nel corso di una vita. E non c’è da stupirsi che le certezze acquisite siano diventate liquide e che l’umanità del XXI secolo sia finita a navigare fra le onde di un mare in tempesta, perdendo la bussola e quindi a smarrire l’unica possibile via da percorrere. Individuandone sì mille altre, ma nessuna che possa offrire un barlume di sicurezza per approdare in un porto sicuro.
Il cittadino globale ha raggiunto, anche se sostanzialmente in modo apparente, un buon livello di benessere e prosperità, ma ha perso il contatto umano, emozionale con se stesso e con gli altri. Per ritrovarlo occorrerebbe porsi dei quesiti millenari, tornando alla notte dei tempi. Quesiti che si ponevano i nostri antenati già dal Paleolitico, nei rari momenti di stop alla caccia. Sicuramente se le ponevano i filosofi dell’antica Grecia. Il primo quesito fu ed è ancora: ‘Chi sono?’. Nel cercare le risposte gli antichi Greci ripercorrevano le orme che li ricongiungevano a Delfi, ove nel tempio di Apollo erano custoditi i principali precetti, fra cui il più gettonato: ‘Conosci te stesso’. Quel gnōthi seautón che per molti è scontato. Siamo pronti ad affermare di conoscerci profondamente, ma inevitabilmente sbagliamo percorso per la conoscenza del sé restando davanti ad un io che presumiamo di conoscere, ma che in realtà ci è sconosciuto.
Conoscere se stessi è una sfida che ben pochi riescono a vincere. Così come lo è il comprendere gli altri. Queste due sfide sono simbiotiche, perché vivono l’una dell’altra. Sono l’una lo specchio dell’altra e si supportano o si smontano a vicenda. Le neuroscienze, in tal senso, possono favorire questi processi mettendo in atto così una vera rivoluzione emotiva che può aiutare chi accetta le due sfide, ‘Conosci te stesso – Conosci gli altri’, a comprendere il funzionamento del nostro personale sistema emozionale. La rivoluzione che può cambiare in meglio la nostra vita e le nostre relazioni si basa sullo studio e la scoperta dell’intelligenza emotiva. Ognuno di noi la possiede, ma non la conosce e, di conseguenza, non la sa gestire. La consapevolezza di avere anche un’intelligenza emotiva può modificare la visione che abbiamo, spesso errata, di noi stessi e degli altri. Ѐ anche una possibilità per gestire al meglio le nostre emozioni, anche quelle inconfessabili.
Emozioni inconfessabili
Percepiamo chiaramente diverse emozioni basilari: tristezza, allegria, rabbia. Tutte confessabili di cui non abbiamo nulla, nel palesarle, di che vergognarci. Nutriamo anche emozioni inconfessabili e sono quelle complesse, perché la somma di più emozioni. Sono le emozioni inconfessabili perché ce ne vergogniamo e non riusciamo facilmente ad ammettere di provarle. Ad esempio la stessa vergogna o la gelosia, come il senso di colpa. Ma la più inconfessabile è l’invidia.”Di tutti i mali che affliggono l’anima, l’invidia è il solo che nessuno confessa” (Plutarco). Difficile ammettere di essere invidiosi. Spesso si aggira l’ostacolo negando di esserlo verso qualcuno che ottiene più consensi pubblici, che si rivela migliore di altri, che ottiene migliori risultati nel campo lavorativo o degli studi, che argomenta con disinvoltura. O semplicemente perché ritenuto, coram populo, affascinante. L’invidia che si prova è difficile da dichiarare e spesso è inconfessabile persino a noi stessi. Per invidia si può arrivare ad odiare chi si rende reo ai nostri occhi offuscati di essere riconosciuto: colto, prestante ed efficiente, generoso e solidale. L’invidioso può arrivare ad ordire contro il malcapitato le peggiori meschine macchinazioni e calunnie.
Come si gestisce questa mortificante emozione? Occorrerebbe analizzarne la motivazione che non dipende mai da chi la suscita, ma esclusivamente dall’invidioso, dalle sue paure e insicurezze. In definitiva l’invidia scaturisce dalla somma di due emozioni: la tristezza e la rabbia, dovute a frustrazioni personali, sociali o culturali. Una delle possibilità per uscire dal loop dell’invidia che ci fa sentire inadeguati e figli di un dio minore è riuscire a convertirla in un’opportunità per conoscere i nostri punti di forza e di debolezza. Non fuggire da questo disagio, ma mostrare anche questa nostra debolezza alle persone di cui ci fidiamo. Theodor Adorno affermava: “Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza senza che l’altro se ne serva per affermare la propria forza”. Non sempre funziona questo assunto, anzi raramente funziona. Conviene mostrare le proprie debolezze a chi ne può fare poi un suo punto di forza? Sarà forse meglio imparare a esplorare e governare le nostre emozioni e a percepire quelle degli altri tramite l’intelligenza emotiva.
Dalle emozioni all’intelligenza emotiva
‘Chi non sa comprendere uno sguardo non potrà capire lunghe spiegazioni’ (proverbio arabo)
Già agli inizi del XX secolo si iniziò a parlare di intelligenza sociale. La teorizzò lo psicologo statunitense Edward L. Thorndike che la presentò nei congressi tematici come la capacità di relazionarsi efficacemente con gli altri, ma i suoi studi all’epoca non ebbero una grande eco, poiché secondo gli esperti nel campo non venne considerata sufficientemente autonoma dalle altre intelligenze riconosciute. Fu Howard Gardner, lo studioso delle intelligenze multiple, a considerarla, introducendo il concetto scientifico dell’intelligenza emotiva. Per Gardner le intelligenze sono otto: linguistica, logica, matematica, corporea, musicale, spaziale, interpersonale e intrapersonale.
Queste ultime due intelligenze riconosciute dallo studioso aprono lo studio sull’intelligenza emotiva e sono quelle più collegate ai grandi interrogativi ‘Chi sono io? Chi sono gli altri?’. Gardner definisce le intelligenze inter e intrapersonali snellendo i termini in intelligenza personale, funzionale alla conoscenza dell’essere umano, della persona, mentre le restanti sei intelligenze vertono su simboli e oggetti. L’intelligenza personale sostiene chi la possiede nel processo di introspezione e facilita il gnōthi seautón. L’intelligenza interpersonale è utile nel processo di comprensione delle motivazioni degli altri e di collaborazione.
I progressi delle neuroscienze nella ricerca degli aspetti dell’intelligenza emotiva portarono, negli anni settanta e ottanta del Novecento, a comprendere come la parte emotiva e quella razionale agiscono congiuntamente nei nostri neuroni e come le emozioni interagiscono con i nostri pensieri e le decisioni che si prendono. Le domande conseguenti che si posero gli studiosi nel campo furono: In quale maniera gli stadi emotivi influiscono sulle decisioni? E quale stato emotivo rende più creativi o più logici? Salovey e Mayer, due studiosi statunitensi, nel 1990, in un loro testo raccolsero tutti i dati su queste abilità e sdoganarono ufficialmente il concetto di intelligenza emotiva che, però, restò ignorato fino alla pubblicazione di un testo di Goleman, nel 1995, che ebbe tale diffusione e suscitò curiosità esponenziale tanto da finire sul Time. Da quel momento il parlare di intelligenza emotiva prese corpo su notiziari, palinsesti televisivi e la definizione entrò nei libri di testo e nel vocabolario.
Quale fu il motivo del successo di Goleman? Il saper trasmettere in modo semplice, accessibile a tutti, un’idea che già era diffusa , ma pochi sapevano definirla: Il successo personale non dipende dall’intelligenza classica, ma dalle competenze personali e sociali. La ricetta di Goleman ha cinque ingredienti base: conoscenza delle proprie emozioni, capacità di controllo delle emozioni, capacità di auto motivazione, riconoscimento delle emozioni altrui, controllo delle relazioni.
Più semplicemente si chiama empatìa, la stessa faccia dell’ intelligenza emotiva. Da mettere subito in campo nella nostra vita. Una rivoluzione necessaria per spazzare via l’Unsicherheit di Bauman. Quello stato di incertezze e di paura che ha colpito il cittadino globale e da cui è necessario prendere le distanze per ritrovare se stessi e ritrovarsi negli altri.