La Rivoluzione d’Ottobre, oggi – II parte

di Salvatore Tinè

Dopo la grandiosa vittoria del ’45, è la fine dell’isolamento dell’Urss e la sua trasformazione nel perno, nello stato-guida del sistema mondiale del socialismo che si costituisce con la nascita delle democrazie popolari nell’Est europeo e quindi con la vittoria dei comunisti in Cina e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. E’ l’ulteriore, più evidente conferma del carattere di rottura storico-epocale della Rivoluzione d’ottobre e della sua dimensione mondiale e non solo europea. Come Lenin aveva previsto già agli inizi del Novecento nella sua analisi dell’imperialismo, i movimenti di liberazione nazionale dei popoli coloniali e dipendenti si imponevano accanto alla classe operaia dei paesi imperialisti come una forza motrice non meno importante e decisiva, non solo nella lotta per la pace e contro l’imperialismo ma anche nello stesso sviluppo della rivoluzione mondiale. In realtà, la lotta per la pace acquista adesso una diversa natura: essa non è più soltanto come negli anni ’30 un obiettivo funzionale alla difesa dell’Urss ma uno dei principali terreni di lotta dell’intero schieramento delle forze rivoluzionarie e anti-imperialiste a scala mondiale, la forma principale assunta dalla lotta di classe internazionale. Ma la generale avanzata di questo schieramento avviene tuttavia nel contesto di un aspro e difficile confronto, in una vera e propria guerra d’assedio col campo imperialista, non più perennemente diviso e lacerato dalle sue contraddizioni interne, come nella prima metà del secolo, ma reso più forte e agguerrito dalla sua parziale unificazione sul piano politico, ideologico e militare, intorno al disegno di egemonia e dominio mondiali degli USA.

Possiamo in questo senso dire che nel corso della guerra fredda, come già di fronte alla prospettiva di una vittoria della barbarie nazista, l’Urss ha salvato l’umanità e il suo stesso destino dall’incubo di una guerra atomica. La preoccupazione di rinsaldare l’unità del campo antimperialista e in particolare di quel suo settore rappresentato dal blocco orientale è stato uno dei perni della politica internazionale dell’Urss soprattutto nel suo rapporto coi paesi socialisti. Ma proprio in conseguenza della sua espansione il campo socialista avrebbe di fatto acquisito aveva di fatto acquisito un carattere sempre più differenziato e policentrico, quindi sempre meno suscettibile di una unificazione attorno un unico partito e stato-guida. La tragica rottura all’inizio degli anni ’60 tra l’Urss e la Cina sarà la prima manifestazione della crisi del campo socialista, del movimento comunista internazionale e della necessità obiettiva di porre su basi politiche e organizzative radicalmente diverse la sua stessa fisionomia e unità, a partire da una più articolato rapporto tra l’autonomia nazionale dei xsingoli paesi socialisti e dei diversi partiti comunisti e la prospettiva internazionalista della lotta per il socialismo nel mondo.

Nella contrapposizione all’imperialismo americano e alla terribile minaccia alla pace nel mondo che esso ha rappresentato per buona parte del secolo scorso, l’Urss ha messo in campo tutte le sue energie e le sue risorse sia sul terreno della competizione economica con l’Occidente imperialista in un quadro di “coesistenza pacifica” sia su quello destinato alla lunga a rivelarsi sempre più difficile e perfino rovinoso sul piano economico, della contrapposizione politico-militare e della corsa agli armamenti. E’ in questo contesto internazionale che occorre inquadrare anche la continuazione del processo di ulteriore sviluppo del socialismo in Urss come negli altri paesi da essa egemonizzati dell’Europa orientale, i momenti di progresso e avanzamento economico e sociali da esso attraversati ancora nel corso degli anni ’50 e ‘60 ma anche quelli di difficoltà e poi di arresto e di crisi lungo i due cruciali decenni successivi.

E’ infatti soprattutto negli ’70 e ’80 che una gestione sempre più burocratica e inefficiente del sistema della pianificazione centralizzata in Urss come che negli altri paesi socialisti rivela le sue maggiori difficoltò sia sotto il profilo della produttività del lavoro che su quello della qualità dei prodotti e quindi dei consumi. Proprio mentre il capitalismo e l’imperialismo occidentali avviavano un processo di profonda ristrutturazione dei loro sistemi economici e produttivi, nel segno di una nuova “rivoluzione scientifica e tecnologica” realizzando nello stesso tempo sul terreno sociale e politico una violenta controffensiva di classe destinata a riportare indietro di decenni i rapporti di forza tra il capitale e il lavoro, i gruppi dirigenti del partito e dello stato sovietici non riuscirono ad avviare un processo di innovazione e di riforme in senso socialista del sistema sovietico in grado di rilanciare anche sul cruciale terreno della competizione economica con il mondo capitalistico il socialismo in Urss. La sfida della globalizzazione neo-liberista lanciata all’Urss e al campo socialista dall’Occidente capitalistico con le politiche di Reagan e della Thachter insieme all’emergere, con la segreteria di Gorbacev, ai vertici del partito comunista di orientamenti sostanzialmente antisocialisti e antisovietici avrebbero finito per creare le condizioni del crollo dell’Urss. In particolare la scelta di Gorbacev di “riformare” lo stato e il sistema politico sovietico cancellando la funzione dirigente del partito comunista avrebbe presto rivelato la sua natura antisovietica e controrivoluzionaria, conducendo il paese alla disgregazione economica e alla sua trasformazione in una colonia dell’Occidente imperialista.

Ma neanche la tragedia della fine dell’Urss, ha posto fine alla spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre. La vittoria dell’imperialismo USA nella guerra fredda non ne ha arrestato il processo di declino e l’ascesa della Cina popolare nell’arena mondiale ha segnato un’altra tappa fondamentale di quel risveglio dell’Asia in cui come abbiamo visto Lenin seppe vedere agli inizi del secolo scorso uno dei fattori principali del processo di avanzata del socialismo a scala mondiale innescato dalla Rivoluzione d’ottobre. L’impetuoso sviluppo delle forze produttive avviato in Cina con la politica di riforme e apertura dei comunisti cinesi a partire dalla metà degli anni ’80 del Novecento, sulla base di un nuovo rapporto tra stato e mercato, in grado di coniugare il permanente controllo statale dei settori economici strategici e lo sviluppo di un’economia di mercato di tipo non capitalista, dimostra non solo le enormi potenzialità di sviluppo del socialismo ma anche la concreta possibilità di una unificazione economica e sociale del mondo diversa e alternativa alle forme di globalizzazione imposte dal grande capitale finanziario monopolistico nazionale e internazionale. Il tema già al centro della riflessione dell’ultimo Lenin dello sviluppo delle forze produttive come premessa di una transizione di lunga durata al socialismo è stato ripreso e insieme sviluppato in modo originale e creativo dal Partito Comunista Cinese. Quest’ultimo ha saputo, a differenza dei gruppi dirigenti del PCUS nell’ultimo periodo della sua esistenza, avviare un processo di radicale riforma del sistema economico fino alla metà degli anni ’80 fondato soltanto sul modello della pianificazione, mantenendo ben fermo con la direzione politica da parte del partito comunista dello stato e della società cinesi, il loro carattere socialista. Non è chi non veda la portata storico-epocale dello sviluppo cinese e le nuove prospettive che esso apre anche per una ripresa dell’intero movimento comunista internazionale. E’ di fatto un nuovo campo anti-imperialista quello che si delinea attorno all’emergere della potenza economica cinese e alla sua ascesa pacifica. Lo stesso sviluppo interno di una economia socialista di mercato in Cina si lega organicamente alle dinamiche della competizione economica internazionale diventata nell’epoca della globalizzazione ancor più di quanto non lo sia stata in quella della guerra fredda per l’Urss e i paesi del campo socialista, un terreno fondamentale della stessa lotta di classe internazionale. L’idea al centro del pensiero di Xi Jinping di una “nuova comunità umana con un futuro condiviso” è di fatto la ripresa e lo sviluppo di quella prospettiva universalista di una nuova unità del mondo e del genere umano già delineata nel pensiero del giovane Marx e nella sua prima concettualizzazione del comunismo, ma che è diventata realtà attuale del mondo contemporaneo solo con la rottura rivoluzionaria dell’Ottobre sovietico. Lo sviluppo del socialismo con caratteristiche cinesi e l’ascesa pacifica della Cina nel contesto della cosiddetta “globalizzazione”, sono in questo sen da considerarsi la continuazione, sia pure in forme nuove e perfino inedite, del processo di unificazione mondiale iniziato con la vittoria dei bolscevichi nel 1917 e insieme come l’ennesima conferma della idea che ispirò la loro scelta della rivoluzione e la loro rottura storica con l’imbelle gradualismo della socialdemocrazia occidentale, quella secondo cui la conquista del potere politico da parte delle classe operaie e delle masse popolari unificate e dirette dalla loro avanguardia, il partito comunista, nell’epoca dell’imperialismo è la principale condizione per avanzare sulla lunga e tormentata strada del progresso economico e sociale e del socialismo, sia sul terreno nazionale che internazionale.