I PROCESSI CONDOR (II Parte)

di Rodrigo Rivas

Martín Aldana e il fantasma della libertà

Nei Paesi impoveriti si muore spesso giovani, molto spesso di cuore. Ma l’amore non c’entra.

In quei giorni, inizi del 1972, Celestina Pérez aveva 32 anni. Ogni sera, appena rientrata a casa, squillava il telefono.

All’altro estremo, nessuno parlava. Si sentivano solo le urla del marito, Martín Aldana, sul quale, ogni sera, gli aguzzini sperimentavano vecchi e nuovi metodi di massacrare. 

Celestina sopportò poche settimane. Poi, un medico scrisse nel suo referto: “Morta per cause naturali. Infarto miocardico”.

Governava il Paraguay il generale Alfredo Stroessner. 

Anche le bestie, forse soprattutto le bestie, diventano generali. 

Il suo lungo regno, iniziato nel maggio del 1954, durò  35 anni. 

Si caratterizzò, ogni giorno, per la repressione all’ingrosso e senza ritegno. 

Nel febbraio 1989 il generale Andrés Rodríguez lo spedì a godersi la sua “pensione” in Brasilia. È stata, ovvio, una pensione dorata e sfarzosa conclusa soltanto il 16 agosto 2006 quando Stroessner – a 94 anni – venne richiamato da Belzebù. 

Se ne deduce che, nemmeno nei Paesi impoveriti, i dittatori muoiono giovani. Salvo (gradite) eccezioni. 

Quinto figlio di una famiglia contadina povera, lavorando col suo carrettino da quando aveva 9 anni Martín ce la fece a diventare prima maestro, poi avvocato e sindacalista. 

Racconterà anni dopo che lo fece perché, nei Paesi impoveriti, i maestri rurali come Celestina e Martín percepiscono salari da fame e, nel Paraguay, fanno fino a tre giornate quotidiane di lezioni per riuscire a malvivere.

Sono tutti maestri umiliati, ma non tutti sono maestri genuflessi. 

A San Lorenzo, Martín e Celestina crearono l’Istituto “Juan Bautista Alberdi” per esperimentare un modello educativo autogestito. 

Dirà poi: “Volevamo seguire la logica di Paolo Freire. Vivere sanamente folli e follemente sani. Ci sembrava la condizione per essere creativi”.

Il prezzo fu salato: chiusura della scuola, carcere, torture, esilio, morte di Celestina.

Dopo 3 anni di sevizie, senza mai avere ricevuto una accusa formale, Martín uscì dal carcere grazie ad una campagna di Amnesty International. 

Quindi, si fece oltre 20 anni di esilio in Panama.

Il 14 settembre 1992, tornato dall’esilio Martín Almada presentò una richiesta di Habeas data al tribunale.

Dopo aver raccolto informazioni riguardo alla sua detenzione nelle carceri del regime, aveva scoperto che i documenti redatti dalla polizia che lo riguardavano erano tenuti in una caserma di Lambaré, un sobborgo di Asunción. 

Il 22 dicembre 1992 il giudice José Agustín Fernández ordinò la perquisizione della caserma di polizia. 

Si scoprì un’enorme mole di documenti e di schede riguardanti detenuti politici e comuni. 

Due giorni dopo il giudice Luis María Benítez Riera fece perquisire la Direzione Nazionale degli Affari Tecnici, scoprendo altri documenti. 

Il lavoro di inventario iniziò nel gennaio 1993 guidato dalla Corte Suprema di Giustizia, che mise a disposizione un ufficio del Palazzo di Giustizia di Asunción per la raccolta e l’archiviazione dei documenti, oltre 7 tonnellate di carte.

Se ne deduce che anche i criminali sanno scrivere.

Canta l’argentino Piero: “Vieteremo la speranza. Ed è vietato nascere. Non sarà troppo, ammiraglio? Mancherebbe altro, brigadiere” (Prohibiremos la esperanza. Y prohibido está nacer. ¿No será mucho almirante? ¡Faltaba más, brigadier!”, “Para el pueblo lo que es del pueblo”, 1986).

In seguito, l’archivio ha acquisito carte e schede provenienti da altre perquisizioni all’interno del Paese, che dimostrarono come il sistema continuò anche dopo la deposizione di Stroessner.

Negli “Archivi del terrore” – come li battezzò la giornalista argentina Stella Calloni (“Los Archivos del Horror del Operativo Cóndor”) si trovano le tracce di migliaia di persone assassinate, scomparse o imprigionate e le prove della stretta cooperazione tra i servizi segreti di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay, per trovare ed eliminare i rispettivi oppositori politici.

Inoltre, i documenti offrono un disegno complesso sulle origini, i propositi e l’organizzazione dell’Operazione Condor, attestando l’implicazione diretta degli Stati Uniti d’America nella repressione scatenata dalle dittature del Cono Sud. In particolare alcune carte rivelano la presenza di ufficiali statunitensi all’interno delle organizzazioni dedicate alla cooperazione e lo sviluppo mentre altre mostrano la corrispondenza intercorsa tra agenti di CIA e FBI con alti ufficiali di esercito e polizia sudamericani. 

Martín Almada ci ha lasciato diversi scritti. A mio parere, il più importante è ”Pedagogía de la independencia” scritto nel 1971. 

Scriveva con l’inchiostro del sopravvissuti.

Scrive con dolore ma, anche, con ribelle speranza, che l’educazione dominante è tra i principali ingranaggi che rendono possibile e persino naturale la dipendenza.

Analizzando  la storia del continente da una prospettiva latinoamericana, cerca chiavi interpretative del dramma paraguaiano, decriptando il ruolo della oligarchia, della chiesa, dello Stato, delle forze armate, dei governi e oligarchie dei Paesi vicini. 

Nell’articolo che chiude la prima edizione non clandestina del volume (2002), scrive: 

“In fin dei conti, questa pubblicazione è  la lettera di un sopravvissuto ai suoi torturatori, di un educatore sopravvissuto che cerca una medicina per guarire i dolori dell’anima. E perché sotto il dolore c’è l’amore, è la storia della mia stessa ricostruzione dopo avermi dato del tu con la morte”. 

Martín Almada non era solo un sopravvissuto. 

Era un creatore di nuove possibilità per l’avventura della libertà, l’avvocato delle cause giuste, il difensore dei diritti umani, l’inventore di modelli per stimolare la produzione agro ecologica. promuovendo gli usi popolari dell’energia solare, creando villaggi solarizzati e persino editando un libro di ricette solari a base di cibi locali. 

Nel testo citato scriveva:

“L’educazione popolare è fondamentalmente  pedagogia dell’autonomia… Bisogna pensare la vita al di fuori dei paradigmi dello sviluppo che distruggono la natura e con lei la gente”. 

Senza la sua ossessiva ricerca della verità forse non si sarebbero mai scoperti gli “Archivi del Terrore”, e senza la sua ostinazione mai si sarebbe realizzato il “Museo delle Memorie” contro il quale infierisce oggi Milei. 

Ma questa è un’altra storia.

Concludo: mi è sempre piaciuta la musica paraguaiana. 

Mi ha sempre riportato in mente l’acqua, il fiume, il lago Ypacarai, la nostalgia della resistenza dei bambini guaraní che si fecero massacrare con le loro barbe finte, dall’esercito della “triplice alleanza” (Argentina -Brasile- Uruguay), costruita da Londra per impedire il solo esperimento autonomo nato in seguito al ciclo delle indipendenze latinoamericane…

La scelta musicale era ampia ma, alla fine, ho scelto un brano del vecchio Ennio Morricone dedicato ai suoi guaraní. 

So che, anche ad Almada, scomparso il 30 marzo 2024, piaceva. 

Almada e Morricone erano, sono, saranno, in modi e per strade diverse, due imprescindibili.

Mi reputo fortunato di aver condiviso con loro un pezzo di strada, una porzione di tempo.

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