I giorni dell’acciaio. Perché l’Armata Rossa vinse la guerra (e perché l’Occidente lo ha dimenticato)

reichstag bandierarossa

di Giambattista Cadoppi

Il titolo di questo breve saggio riecheggia l’opera Tempeste d’acciaio di Ernst Jünger (a sua volta ispirato a un antico poema islandese), simbolo della guerra industrializzata del Novecento. La scelta del titolo allude anche, ovviamente, alla figura di Stalin, in lingua russa “uomo d’acciaio”, come al ruolo cruciale della produzione siderurgica sovietica, motore dei piani quinquennali e fattore decisivo per la vittoria sul nazismo. Naturale il richiamo a “Come fu temprato l’acciaio” di Aleksandr Fadeev, romanzo formativo per i giovani del Komsomol. La frase sul Mamaev Kurgan a Volgograd (Stalingrado) «Il vento d’acciaio li ha colpiti in faccia» non è un’immagine artistica, è la verità1.

Qui vorremmo fare il controcanto ad una narrazione fortemente condizionata dalla Guerra fredda e da Hollywood per sfatare i miti che si sono incrostati sulla narrazione, spesso mitologica, delle vicende della Seconda guerra mondiale. In questo senso Hollywood, la più grande macchina di genocidio culturale della storia, non ha dato una mano. In Occidente si sono visti 99 film americani sulla guerra e forse uno fatto dai sovietici. Secondo il rapporto suggerito da Norman Davis, le truppe naziste persero l’88% delle proprie truppe sul Fronte Orientale, noi avremmo dovuto vedere 88 film sovietici (contro i 12 americani) per formarci un adeguato punto di vista. 

Sul Fronte Orientale si è svolta la più grande guerra nella storia dell’umanità: per numero di morti, per estensione, per il carattere tragico e per le sue conseguenze. Senza la vittoria dell’Armata Rossa, un risultato descritto dallo storico Geoffrey Roberts come «la più grande impresa d’armi nella storia dell’umanità», la Germania avrebbe molto probabilmente vinto la guerra, perché avrebbe acquisito il controllo dei giacimenti petroliferi del Caucaso, i ricchi terreni agricoli dell’Ucraina e del Nord del Caucaso e molte altre ricchezze delle vaste terre sovietiche. La Germania poteva diventare una potenza invincibile se avesse distrutto l’Armata Rossa. Gli Stati Uniti hanno sempre cercato di convincere i propri connazionali e il resto del mondo che furono gli americani a fermare il fascismo e infine a sconfiggere Hitler, ma ciò è dovuto al loro patologico narcisismo. Tanti importanti storici occidentali e americani hanno mosso obbiezioni a questo modo di pensare. Lo storico militare statunitense David Glantz scrive che una rivista americana, nel cinquantesimo anniversario dello sbarco in Normandia del 1944, presentò una foto di copertina del generale Dwight D. Eisenhower, acclamandolo come l’uomo che sconfisse Hitler. Se qualcuno avesse meritato questa reputazione, sostiene Glantz, non sarebbe stato Eisenhower ma Žukov, Vasilevskij, o forse lo stesso Stalin. Più in generale, l’Armata Rossa e i cittadini sovietici di tante nazionalità fecero la parte del leone nella lotta contro la Germania dal 1941 al 1945. 

Intanto assistiamo agli avvenimenti più stravaganti: si commemora l’Anniversario della Liberazione di Auschwitz alla presenza degli eredi di quelli che il campo lo avevano costruito, gestito e dei loro collaboratori, ma rigorosamente senza gli eredi dei liberatori. Il nostro presidente paragona la Russia al Terzo Reich in un discorso che probabilmente, vista l’età, gli ha scritto la sua badante ucraina. Secondo Alberto Cirio, ossia il presidente della Regione Piemonte, l’adunata degli alpini non è soltanto un grande evento popolare ma anche un evento di valori e «un tributo anche ai tanti alpini che nella campagna di Russia hanno perso la vita per la nostra libertà». Nientemeno! Sì, perché a difendere l’Europa bianca dalla contaminazione asiatica c’eravamo anche noi italiani assieme al resto d’Europa: slovacchi, ungheresi, francesi, belgi, olandesi, spagnoli, scandinavi, croati, finlandesi, romeni. Tra i prigionieri di guerra caduti nelle mani dell’Armata Rossa (i sovietici li suddividevano rigorosamente per nazionalità) anche 100mila polacchi, 10mila ebrei e 350 rom.

Secondo l’Accademia russa delle scienze (1995), le vittime civili in URSS per mano tedesca ammontarono a 13,7 milioni di morti, il 20% della popolazione dei territori occupati. Un terzo della popolazione della Bielorussia è stato annientato. Il conteggio include 7,4 milioni di vittime del genocidio nazista e delle rappresaglie, 2,2 milioni di morti tra i deportati in Germania per lavori forzati, e 4,1 milioni di morti per carestia e malattie nei territori occupati. Si stima che altri 3 milioni di persone morirono per carestia nelle regioni dell’URSS non sotto occupazione tedesca. Con i morti in battaglia dell’Armata Rossa la cifra raggiunge i 27 milioni di parsone e oltre. Questa fu, nelle parole degli stessi leader tedeschi, una guerra di sterminio.

Nel suo rapporto al presidente Truman datato 6 giugno 1945, Robert Jackson, l’ex procuratore generale che sarebbe diventato il procuratore capo a Norimberga, citò la persecuzione di russi, polacchi, e di altri popoli slavi nelle parti occupate dell’Europa orientale, ma non disse una parola sugli ebrei.

Il Generalplan Ost prevedeva lo sterminio dell’intellighenzia slava e della maggior parte delle popolazioni urbane, nonché la schiavitù o l’esilio in Siberia dei contadini. Questo piano, emerso solo alla fine degli anni Ottanta negli Archivi federali tedeschi, prevedeva l’espulsione del 95% dei polacchi, del 50% degli estoni, del 70% dei lettoni, dell’85% dei lituani, e del 50% dei francesi, dei cechi nonché russi e ucraini. Tutti questi popoli, considerati inferiori geneticamente, dovevano essere cacciati oltre gli Urali o fisicamente distrutti. Tutta gente che oggi si lamenta perché la guerra non l’hanno vinta i nazisti!

Le vicende legate al conflitto russo-ucraino, dove si è voluto persino bandire Dostoevskij dalle Università, è indicativo del clima della nuova Guerra fredda di cui il maccartismo è l’ancella. Miti come quelli delle orde mongoliche che riempiono dei loro corpi le trincee nemiche, o della cavalleria rossa che viene lanciata contro i carri armati tedeschi o di Stalin che scompare all’inizio della guerra sono spesso frutto dell’autodiffamazione del Rapporto Krusciov, la più grande raccolta di leggende dai tempi dell’Odissea, e sono ormai ampiamente screditati tra gli storici, ma non presso il grande pubblico.

Una proposta che ci sentiamo di fare è di riconoscere la lotta contro il nazismo come patrimonio tangibile e intangibile dell’umanità contro la rinazificazione della storia. La lotta contro il nazifascismo ha portato all’erezione di numerosi monumenti all’Armata Rossa degli operai e dei contadini, alcuni di indubbio valore artistico, che costituiscono un patrimonio tangibile dell’umanità (che sono spesso vandalizzati nell’Europa orientale), e la lotta per la memoria contro il nazismo costituisce il suo patrimonio intangibile che, come tale, dovrebbe essere protetto dall’UNESCO.

Durante il governo di Zelensky in Ucraina, sono stati demoliti più di mille monumenti ai soldati sovietici e oltre 1.200 monumenti sono stati aggiunti al registro per la privazione dello status di protezione e la demolizione. Per l’UNESCO, il patrimonio culturale non è solo costituito dai monumenti e dalle collezioni di oggetti, ma anche da tutte le tradizioni culturali. Pertanto, la lotta antifascista e antinazista dovrebbe essere inclusa nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, il che contribuirebbe ad aumentare la consapevolezza della sua importanza. Inoltre, dovrebbe essere inclusa nella Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di urgente salvaguardia. Pertanto, dovrebbero essere adottate misure appropriate. Ciò è tanto più urgente dato che la russofobia ha già portato alla distruzione e alla rimozione di molti monumenti, in particolare nei Paesi baltici, in Polonia e in Ucraina. In Lituania c’è stato il più grande massacro di ebrei nella storia in rapporto alla popolazione. Recentemente, mi è capitato di essere a Vilnius e di vedere, nella vetrina della libreria dell’ex ghetto ebraico, libri sull’Olocausto in Lituania accanto a libri che esaltavano le gesta dei Fratelli della Foresta, ossia dei terroristi antisovietici che in precedenza avevano collaborato con i nazisti nel massacro degli ebrei.

Tutto questo fa parte della rinazificazione della storia, che procede a ritmo serrato di pari passo con le misure contro i cittadini di etnia russa e bielorussa, misure che violano il principio dello stato di cittadinanza. Oggi, l’Olocausto viene talvolta utilizzato per giustificare le azioni degli estremisti sionisti contro la popolazione palestinese, mentre le azioni dei collaboratori dell’Olocausto sono talvolta giustificate dal loro odio per i cosiddetti oppressori russi, che per gran parte di quei popoli furono dei liberatori. I popoli sovietici, insieme al popolo cinese, furono tra le principali vittime della Seconda guerra mondiale. Non è un caso che oggi guidino la riscossa del mondo multipolare contro la dittatura totalitaria unipolare americana, che agisce al di fuori delle regole internazionali, come aveva già fatto Hitler.

Quindi la russofobia che aveva alimentato la Seconda guerra mondiale è ritornata. È stato sufficiente fabbricare un nemico collettivo, un bersaglio su cui scaricare paure e frustrazioni, e il gioco è fatto. Come diceva Göring, nessun popolo vuole la guerra, ma basta fargli credere che è in pericolo. Si normalizza l’odio, vestendolo da “necessità storica” o “difesa dei valori”. Si concede una licenza morale al razzismo, spacciandolo per difesa della civiltà occidentale (Vecchioni dixit) minacciata dalle orde asiatiche, insomma una riedizione della Kulturkampf. E così, lentamente, riaffiora il letamaio che si credeva sepolto sotto le macerie del Reichstag abbattuto dalle cannonate dell’Armata Rossa nel 1945. Žukov diceva che non avrebbero perdonato l’Unione Sovietica per avere liberato l’Europa dal nazismo. La cloaca non era mai stata davvero bonificata, aveva solo atteso, nel sottosuolo dell’indifferenza, che qualcuno ne smontasse i sigilli con la complicità di chi grida “ma ora è diverso”. E invece no: è la stessa merda, riadattata all’epoca degli algoritmi, dei social e dell’ideologia woke. Il mostro non ha bisogno di risorgere, basta che trovi una società disposta a scendere a patti con la sua ombra. E nel frattempo i topi che avevano popolato la fogna ne sono usciti portando con sé il desiderio di vendetta.

Note:

1 Inoltre, è il titolo del mio ultimo libro che, credo, sia una delle poche opere al di fuori del circuito mainstream sull’argomento. Questo libro vuole essere un manuale per osare ragionare con la propria testa per chi non ha portato il cervello all’ammasso e anche un antidoto al degrado culturale e per la denazificazione della storia.

Unisciti al nostro canale telegram