Non tutto il male viene per nuocere: la guerra commerciale tra Huawei e Google

huawei schermodi Francesco Galofaro, ISIA Roma

Come è noto, il 20 maggio scorso le borse di tutto il mondo hanno conosciuto attimi di panico: in contemporanea, Google, Intel, Qualcomm e Broadcom hanno annunciato di non voler più rapporti con il gigante della telefonia cinese, Huawei. La decisione va inquadrata nella più ampia guerra tra multinazionali – supportate dalle rispettive superpotenze – per fissare lo standard tecnologico della nuova rete 5G. Si tratta di garantire un accesso veloce a Internet non solo per i cellulari, ma anche per la rete fissa, in tutti quei casi in cui è economicamente non conveniente portare la fibra ottica a casa del cliente (finanza.com). In particolare, lo scontro vede in prima linea la Cina, con Huawei, e gli USA, con Qualcomm.

Il boicottaggio di Google è solo l’ultimo atto di una guerra senza esclusione di colpi, che ha visto perfino l’arresto – in Canada – di Meng Wanzhou, dirigente della compagnia e figlia dell’amministratore di Huawei (marx21.it). Gli Stati Uniti stanno ricorrendo ad ogni mezzo, leale o meno, pur di distruggere la compagnia cinese.

Ora: non tutto il male viene per nuocere. Se Google può comportarsi in questo modo è perché in questi anni ha acquisito una posizione di monopolio indiscutibile nel mercato dei cellulari e dell’informazione in genere. Non è un caso se negli ultimi dieci anni la UE ha ripetutamente multato Google e un insieme di altri giganti della new economy (marx21.it). Quando cerchiamo informazioni, lo facciamo con Google. Quando navighiamo in internet, lo facciamo con Chrome, il browser di Google. Quando consultiamo la posta elettronica, lo facciamo con Gmail – sempre di Google. Quando ascoltiamo musica, apriamo Youtube, ancora di Google. Quando abbiamo bisogno di indicazioni stradali, interroghiamo Google maps. Molti utilizzano Google drive per memorizzare informazioni, per non parlare degli strumenti che mette a disposizione per leggere, scrivere, far di conto, visualizzare presentazioni. Per scaricare un’App apriamo il Playstore (che, guarda caso, è di Google). Non si è mai voluto discutere fino in fondo questo monopolio, e oggi i motivi sono più chiari: Google è uno strumento potente della politica statunitense, e in più fornisce ai suoi droni militari l’intelligenza artificiale (key4biz.it). Gli USA sono liberali a corrente alternata: sempre pronti a invadere i mercati altrui, ma attentissimi a evitare che le ‘aperture’ del proprio mercato non entrino in conflitto con la difesa della sovranità – anche nel caso della sovranità algoritmica.

C’è un’alternativa a disposizione di tutti per combattere i monopoli, e si chiama Open source. Si tratta del software libero, sviluppato dalla comunità degli utenti e messo a disposizione di chiunque voglia impiegarlo e modificarlo per le proprie esigenze. Android stesso non fa eccezione: è soltanto una distribuzione particolare del sistema operativo libero Linux, adattata per i cellulari. I quali non sono altro che piccoli, potenti computer; se non sembrano versatili come un laptop è per decisione delle aziende. Esse pensano il proprio utente come un pigro analfabeta informatico, un bimbo pavido e timoroso della tecnologia, desideroso soltanto di essere assoggettato al proprio dispositivo, come in un incubo di Foucault.

Google non può impedire a Huawei di sviluppare una versione di Android originale; può solo impedire che la versione proprietaria di Android sviluppata da Google venga preinstallata da Huawei insieme con Youtube, Chrome, Gmail, Maps. Fin qui se ne è ben guardata, per consolidare la propria posizione dominante. Infatti, l’utente non può cancellare dal telefonino le applicazioni Google nemmeno se ne ha davvero bisogno, magari per risparmiare spazio e per provare applicazioni alternative. In questo modo il suo telefono si riempie di applicazioni e di dati, invecchia e va sostituito prima.

Esistono alternative Open Source di Android (ad esempio, source.android.com). Esistono alternative open al Playstore, dove trovare applicazioni non gradite a Google (ad esempio, F-Droid, f-droid.org). I monopolisti di Google non sfruttano altro che la nostra pigrizia, la nostra paura della tecnica, il nostro essere abitudinari. Se finora Huawei si è presentata sui mercati – anche su quello europeo – con la versione Google del sistema operativo, è per aver voluto offrire un prodotto adeguato allo standard fissato dai concorrenti. Per reagire all’attacco USA, tuttavia, dovrà far ricorso alla propria creatività per abbattere Google: innovare applicazioni, hardware e proporre una nuova versione del proprio sistema operativo. Si può fare: per resistere, non solo Huawei ha alle spalle l’immenso mercato cinese, che domina senza problemi; ma c’è il precedente di Android OS 2.3 Gingerbread, sviluppato da Amazon, senza più relazioni con il Playstore di Google. Se sarà all’altezza della sfida, Huawei avrà l’occasione di portare una ventata di novità nello standardizzato, asfittico e monotono settore della telefonia mobile, rompendo la gabbia del monopolio e puntando su un utente meno conformista, che abbia voglia di essere trattato come un maggiorenne e non come un bambino piccolo. In attesa del 5G.