Relazione presentata all’incontro “Genocidio in Gaza”, nel campus Del Valle dell’Università Autonoma di Città del Messico (Uacm) il 6 dicembre scorso
da RED UTOPIA ROJA (utopiarossa.blogspot.com)
di Claudio Albertani
L’antisemitismo è il socialismo degli idioti
Auguste Bebel
Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all’ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l’innegabile recrudescenza dell’antisemitismo dopo l’invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l’Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Ciò giustificherebbe il fatto che i sopravvissuti si siano rifugiati in Palestina, una regione che in teoria apparterrebbe loro per ragioni storiche e teologiche.
È qui che inizia il groviglio, perché il problema di Israele è duplice: non solo il suo attuale governo è impresentabile, ma anche la sua legittimità storica è discutibile. Secondo Netanyahu, i palestinesi sarebbero un gruppetto di persone senza storia che perseguitano gli ebrei proprio come facevano i nazisti. In queste condizioni, Israele non avrebbe altra scelta che difendersi, se necessario, con una forza spropositata. E naturalmente tutti noi che ci opponiamo saremmo antisemiti o, per essere più precisi, antiebraici.
Eppure, a quanto pare, tra gli antisionisti ci sono anche molti ebrei. Nella stessa Israele, la nuova scuola di storici ha smontato i miti fondanti del sionismo. Uno di questi è la cosiddetta diaspora, il presunto esilio degli ebrei dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), quando sarebbero stati dispersi in tutto il Mediterraneo. In The Invention of the Jewish People (2008) e The Invention of the Land of Israel (2012), Shlomo Sand dell’Università di Tel Aviv dimostra che questa dispersione non è mai avvenuta e che i Romani non li hanno mai espulsi.
Sulla base dei documenti lo storico israeliano dimostra che le comunità ebraiche che esistevano ed esistono tuttora in molte parti del mondo sono il prodotto di diverse ondate di conversioni avvenute a partire dal IV secolo d.C. e non di flussi migratori provenienti dalla Palestina. È vero che c’erano e ci sono ebrei sparsi per il mondo; è vero che sono stati vittime dell’antisemitismo, che è una terribile macchia nella storia dell’umanità, ma sostenere che il popolo ebraico abbia dei diritti ancestrali sulla Palestina è così assurdo come sostenere che i buddisti abbiano dei diritti ancestrali sulla terra di Siddharta Gautama.
D’altra parte, due archeologi, Israel Finkelstein, anch’egli dell’Università di Tel Aviv, e Neil Asher Silberman, belga, mettendo in discussione l’affidabilità della Bibbia, hanno dimostrato che essa è un affascinante racconto letterario, ma non è affatto una fonte storica credibile. Dopo decenni di scavi in Israele, Libano, Siria ed Egitto, i due scienziati hanno scoperto che non esistono prove dell’esistenza dei patriarchi, della fuga degli ebrei dall’Egitto o della conquista di Canaan. Ancor meno si può dimostrare che Davide e Salomone abbiano regnato su un vasto impero (The Bible Unearthed, 2003).
Quanto alla storia del sionismo, lo storico ebreo statunitense Lenni Brenner (Zionism and Fascism: Zionism in the Age of Dictators, 1983) ha dimostrato che, negli anni Venti e Trenta, i massimi dirigenti dell’Agenzia ebraica negoziarono persino con Hitler e Mussolini per raggiungere i loro obiettivi. Ed è sempre utile ricordare che i primi praticanti del terrorismo in Palestina erano membri di gruppi paramilitari ebraici, i precursori delle odierne Israel Defence Forces. Tuttavia è giusto riconoscere che solo una minoranza degli ebrei sparsi per il mondo era sionista. Brenner evoca l’esperienza dell’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei della Lituania, Polonia e Russia, nota come Bund, che all’inizio del secolo scorso si opponeva all’emigrazione in Palestina e invitava a lottare contro l’antisemitismo e per il socialismo nei paesi di origine. In tempi più recenti, il Matzpen, un piccolo partito comunista antisionista e antistalinista, costituito da lavoratori palestinesi ed ebrei, ha combattuto contro l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
È mai esistito un sionismo di sinistra? È innegabile lo spirito umanista e utopico, ad esempio, di Martin Buber e di altri che aspiravano a creare un socialismo libertario in Palestina. Contro lo slogan sionista di “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, Buber pensava a una terra per due popoli e criticava la politica coloniale della leadership sionista. Nel 1947, alla vigilia della spartizione, sottolineò che la soluzione non era quella di costruire due Stati, bensì un’entità socio-politica binazionale comune. E aveva ragione.
Tuttavia le posizioni di Buber sono sempre state minoritarie, anche nella cosiddetta sinistra sionista. Fu sotto la guida del Mapai, il partito laburista, che nel 1948 fu proclamato lo Stato ebraico. Allora decine di migliaia di palestinesi furono massacrati, mentre tra i 700.000 e gli 800.000 furono costretti a scappare abbandonando le loro case. Questo è ciò che nel mondo arabo viene chiamato nabka, o catastrofe, come spiega molto bene il palestinese Edward Said in La questione palestinese, ma anche l’ebreo Ilán Pappé in La pulizia etnica della Palestina. Una pulizia etnica, sottolinea Pappé, che continua a tutt’oggi. Pochi giorni fa, Ahvi Dichter, membro del gabinetto di sicurezza del governo israeliano, ha dichiarato senza mezzi termini che lo Stato ebraico – lo stesso che ha negato la nabka per 75 anni – ha già lanciato la nabka 2023. Detto fatto: l’80% della popolazione di Gaza (2,26 milioni di abitanti) è stata costretta a fuggire dalle proprie case nella peggiore catastrofe umanitaria dal 1948.
Eppure, come ha scritto il giornalista Gideon Levy, è impossibile tenere in prigione 2 milioni di persone senza pagarne un prezzo crudele. Quella prigione va smantellata subito e, per quanto possa sembrare inverosimile, nel lungo periodo solo la riconciliazione tra ebrei e palestinesi auspicata dall’utopista Buber potrà cambiare il destino dei due popoli. Nel 2009, la CIA statunitense aveva previsto che Israele sarebbe crollato in circa 20 anni e ora il Pentagono afferma che lo Stato ebraico potrebbe subire una sconfitta strategica nella sua guerra contro Gaza. Il conto alla rovescia è iniziato.
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