Cento volte Lenin

di Gianmarco Pisa

Il contributo di Lenin, nella storia del movimento operaio e democratico, in tutta la sua profondità e attualità

Movimenti democratici, lotte partigiane, resistenze antifasciste e antiautoritarie, lotte di liberazione dei popoli, scalate al cielo rivoluzionarie, tutte devono qualcosa a Lenin, ai contenuti dei suoi scritti, alle iniziative della sua direzione politica, alle realizzazioni dell’esperienza sovietica.

Tra i più grandi, se non il più grande, dei prosecutori e innovatori del pensiero dei fondatori, Karl Marx e Friedrich Engels, Lenin (Vladimir Il’ič Ul’janov: Simbirsk, 1870 – Gorki, Mosca, 1924) ha fornito un impulso formidabile, essenziale, allo sviluppo del marxismo e, in generale, del pensiero e della prassi del movimento operaio, e ha rappresentato un’ispirazione luminosa, prospettica, per generazioni di comunisti, partigiani, rivoluzionari, per l’oggi e per il domani, letteralmente ai quattro angoli del pianeta.

Organizzatore della frazione bolscevica in seno al marxismo russo; principale protagonista dell’Ottobre rosso, la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre del 1917; capo del primo governo della Russia sovietica, il primo compiuto Stato socialista della storia, e poi, dal 1922, dell’Unione sovietica; teorico e costruttore della democrazia consiliare attraverso il sistema dei Soviet, della programmazione economica, della Nuova Politica Economica, delle grandi conquiste sociali da lui inaugurate e quindi proseguite dalla successiva direzione politica dell’Unione sovietica; e ancora, ispiratore della moderna teoria dell’imperialismo e teorico del moderno diritto dei popoli all’auto-determinazione, è impossibile sintetizzare grandezza e attualità del contributo di Lenin, sul piano politico e filosofico, alla storia e al pensiero del movimento operaio. Movimenti democratici, lotte partigiane, resistenze antifasciste e antiautoritarie, lotte di liberazione dei popoli, scalate al cielo rivoluzionarie, tutte devono qualcosa a Lenin, ai contenuti dei suoi scritti, alle iniziative della sua direzione politica, alle realizzazioni dell’esperienza sovietica. Ciò è legato, in particolare, ai due tratti essenziali, decisivi, della figura di Lenin, grande, al tempo stesso, nel suo essere politico, dirigente, rivoluzionario, e nel suo essere intellettuale, scrittore, filosofo.

Si è detto in apertura, è pressoché impossibile sintetizzare o compendiare la vastità e l’estensione del pensiero e dell’azione di questo autentico gigante del Novecento (e non solo): la sua opera completa si snoda attraverso quarantacinque volumi (pubblicati in italiano grazie alle edizioni Rinascita e Editori Riuniti, Roma, 1954-1970 e ripubblicati, in edizione anastatica, da Lotta Comunista, Milano, 2002) e la letteratura a lui dedicata è vastissima. A tal proposito, sarà sufficiente ricordare, tra quelli disponibili in italiano, gli essenziali contributi di György Lukács (Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Einaudi, Torino, 1970, ora ripubblicato dalle Edizioni Pgreco, Milano, 2017); Maksim Gor’kij (Lenin, Editori Riuniti, Roma, 1961), Louis Althusser (Lenin e la filosofia. Seguito da: Sul rapporto fra Marx e Hegel. Lenin di fronte a Hegel, Jaca Book, Milano, 1974); Luciano Gruppi (Il pensiero di Lenin, Editori Riuniti, Roma, 1970), Stathis Kouvélakis (Lenin lettore di Hegel, 2016), Ludovico Geymonat (“Lenin: la battaglia del marxismo a favore di una concezione realistica del mondo”, pubblicato nella sua monumentale Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano, vol. VI, 1972), passando infine per Domenico Losurdo (Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza, Roma-Bari, 2017).

È però possibile segnalare, tra i tanti e vasti, alcuni nuclei di pensiero-prassi, alcuni contributi essenziali dell’opera di Lenin nel percorso di approfondimento e di attualizzazione del marxismo e nell’itinerario della identificazione di vie nuove per il marxismo nel Novecento. In primo luogo, è Lenin il principale animatore e organizzatore della frazione rivoluzionaria (bolscevica) in seno al marxismo russo. Nel 1895, con Julij Martov, costituisce la «Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia», che poco dopo, nel 1898, confluisce nel Partito Operaio Socialdemocratico Russo. L’Unione di lotta era organizzata come un nucleo centrale, politico e organizzativo, costituito da intellettuali e operai avanzati, con l’obiettivo di attivare e coinvolgere altri operai in diverse fabbriche, attivando strati sempre più estesi della classe operaia, cioè del “proletariato moderno”, e coinvolgendo un numero sempre più ampio di unità produttive e industriali. È sin da questo antecedente che si viene affermando e concretizzando uno degli elementi centrali, essenziali, dell’azione del Lenin teorico e rivoluzionario, vale a dire la centralità, in termini politici e organizzativi, dei luoghi della produzione e dei luoghi di lavoro, come istanza centrale, ineludibile, della linea di massa e della prospettiva rivoluzionaria.

Il suo primo lavoro politico di rilevante importanza, I compiti dei socialdemocratici russi (1898), è scritto allo scopo di «spiegare i compiti pratici dei socialdemocratici» (cioè dei marxisti, dei rivoluzionari), i quali, «nella loro attività pratica […] si propongono, com’è noto, di dirigere la lotta di classe del proletariato e di organizzarla nelle sue due manifestazioni: quella socialista (lotta contro la classe dei capitalisti per la distruzione del regime di classe e l’organizzazione della società socialista) e quella democratica (lotta contro l’assolutismo per conquistare alla Russia la libertà politica e per rendere democratico il suo regime sociale e politico)». È e resta, quest’ultimo, un luogo politico centrale del pensiero-prassi di Lenin e del leninismo: conflitto sociale e lotta democratica, da parte dei lavoratori e delle lavoratrici in quanto soggetto centrale nell’attività produttiva della società nel suo complesso, ai fini della conquista della libertà, dell’avanzamento della democrazia e dell’apertura di spazi democratici, per la mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici, per l’articolazione della lotta di classe e per l’organizzazione della prospettiva rivoluzionaria e della futura società socialista.

In quello stesso periodo, Lenin è protagonista di una serrata polemica contro i populisti: scrive, tra gli altri, il saggio Che cosa sono gli “amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici (1894). Secondo Lenin, i populisti sono soggettivisti e idealisti, perché, non riuscendo a individuare la natura reale dell’antagonismo sociale, ritengono che esistano generici “rapporti antagonistici” e che la rivoluzione sia opera di “individui isolati”. Viceversa, Lenin mette in evidenza che la contraddizione esiste anche nelle comunità rurali di base, tra i pochi contadini arricchiti (che avevano la proprietà privata della terra e potevano sfruttare lavoro agricolo salariato) e i molti contadini poveri. È all’interno della cornice di questa analisi che matura un’altra essenziale conquista di Lenin, vale a dire la concezione dell’alleanza rivoluzionaria tra operai e contadini come base principale per rovesciare l’assolutismo, il dispotismo, lo zarismo, i proprietari terrieri, e la borghesia, ma anche come base essenziale, retroterra strategico, per la costruzione delle condizioni stesse della rivoluzione. Legata a questa evoluzione, Lenin avrebbe sviluppato, di lì a pochi anni, nel Che fare?, il tema della «lotta ideologica attiva», soprattutto nei termini di una polemica serrata contro ogni forma di spontaneismo, cioè di primato dell’azione spontanea nel processo rivoluzionario: la critica contro lo spontaneismo porta con sé la critica sia contro l’economicismo, il tradunionismo, il determinismo, sia contro le tendenze socialrivoluzionarie e anarchiche.

Sono dunque maturi i tempi per un nuovo, grande, contributo di Lenin allo sviluppo del pensiero e della organizzazione del movimento di classe: vale a dire, la moderna concezione del partito rivoluzionario. Nel Che fare? (1902), nella polemica contro il revisionismo di Eduard Bernstein (e, in generale, nella lotta contro l’economicismo, vale a dire contro l’idea che la lotta economica, sindacale, degli operai sia “sufficiente” per «fare la rivoluzione»), Lenin individua i tre principali contrassegni del partito rivoluzionario. In primo luogo, l’autonomia politica e organizzativa dei rivoluzionari (dei comunisti): «Dappertutto vi è necessità di questi circoli, associazioni e organizzazioni (sociali, culturali, di lettura etc.); bisogna che siano il più possibile numerosi, con i compiti più diversi; tuttavia, è assurdo e dannoso confonderli con l’organizzazione dei rivoluzionari, cancellare la distinzione che li separa, spegnere nelle masse la convinzione … che per servire un movimento di massa sono necessari uomini che si consacrino, specialmente e interamente, all’azione (rivoluzionaria), si diano pazientemente, ostinatamente, una educazione di rivoluzionari di professione».

In secondo luogo, l’impostazione del partito come agente della coscienza di classe; se la classe operaia (il moderno proletariato) è l’avanguardia delle masse popolari, il partito è l’avanguardia e la coscienza esterna del proletariato: «la coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno delle lotte economiche, della sfera dei rapporti fra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile raggiungere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi, di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi». In terzo luogo, non meno importante, il centralismo democratico: «Con una tale organizzazione, costituita su una base teorica solida, e un giornale (rivoluzionario) a propria disposizione, non si dovrà più temere che il movimento sia sviato dai numerosi elementi che intanto vi avranno aderito. In una parola, la specializzazione presuppone il centralismo, e a sua volta lo esige in modo assoluto».

All’insegna della guerra si inaugura, intanto, il nuovo secolo. Il 1902, l’anno del Che fare?, è anche l’anno della fine della seconda guerra anglo-boera con l’Impero britannico che impone il proprio dominio e la propria occupazione sulle due repubbliche boere indipendenti, la Repubblica di Transvaal e lo Stato Libero di Orange. Si era trattato di un tipica guerra imperialistica, per la spartizione del territorio e l’appropriazione delle sue fondamentali risorse minerarie, nella quale non mancarono, da parte britannica, rastrellamenti, deportazioni, e campi di concentramento contro la resistenza boera. Ma il 1902 è anche l’anno degli accordi segreti Italia-Francia per la spartizione in zone di influenza dell’Africa settentrionale, con la Libia all’Italia e il Marocco alla Francia. A sua volta, la Germania sbarca a Tangeri nel 1905 e invia una nave da guerra ad Agadir nel 1911. Subito dopo, le due guerre balcaniche (1912-1913) contro l’Impero ottomano e per la ridefinizione degli assetti territoriali nei Balcani, e la guerra italiana (1911) contro l’Impero ottomano per il controllo della Libia segnano i presupposti che avrebbero portato, di lì a poco, all’inizio della guerra imperialista mondiale.

Com’è noto, il fallimento della Seconda Internazionale viene sancito dall’approvazione dei crediti di guerra da parte della socialdemocrazia tedesca e dall’adesione di quasi tutti i partiti socialisti alle borghesie nazionali e alla guerra imperialista mondiale, con le due principali eccezioni del partito socialista italiano (almeno all’inizio, attestandosi poi sulla posizione «né aderire né sabotare») e del partito serbo. Nelle due conferenze di Zimmerwald (1915) e di Kienthal (1916), Lenin lancia la parola d’ordine della «trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, cioè in guerra rivoluzionaria» a partire dalla consapevolezza che «la guerra ha indubbiamente generato la crisi più acuta e ha aggravato in modo inverosimile la miseria delle masse. Il carattere reazionario di questa guerra, l’impudente menzogna della borghesia di tutti i paesi, che maschera i propri scopi di rapina con una ideologia “nazionale”, tutto ciò crea nelle masse stati d’animo rivoluzionari».

Nelle Tesi di Aprile (1917) fissa il progetto del superamento della Seconda Internazionale: «Tesi 10: Rinnovare l’Internazionale. Prendere l’iniziativa della creazione di una Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti (i sostenitori del programma imperialista delle borghesie nazionali) e contro il “centro” (i difensisti e gli internazionalisti astratti, tipo Kautsky in Germania; Longuet in Francia; Ckheidze in Russia; Turati in Italia; MacDonald in Inghilterra, etc.)». Intanto, nel fondamentale saggio Il socialismo e la guerra (1915), Lenin aveva definito il tema della lotta contro il “proprio” governo, l’imperialismo nazionale, cioè contro l’imperialismo del “proprio” Paese: «La classe rivoluzionaria, in una guerra reazionaria, non può non desiderare la disfatta del proprio governo, non può non vedere il legame esistente fra gli insuccessi militari del governo e la maggior facilità di abbatterlo. […] Proprio una simile azione corrisponde ai segreti pensieri di ogni operaio cosciente e si accorda con la linea della nostra attività diretta a trasformare la guerra imperialista in guerra civile».

Tra il 1917 e il 1919 Lenin, con il gruppo dirigente bolscevico, è protagonista della successione di eventi che letteralmente avrebbero portato a riscrivere la storia e la geografia del pianeta: principale protagonista della vittoriosa rivoluzione d’Ottobre del 1917; capo del primo governo (Consiglio dei commissari del popolo) della Russia sovietica, la Repubblica socialista federativa sovietica russa, il primo compiuto Stato socialista della storia, e poi, dal 1922, dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, l’Unione sovietica; artefice della dittatura rivoluzionaria del proletariato; della programmazione economica, della Nuova Politica Economica (NEP), delle grandi conquiste economiche, sociali, politiche da lui inaugurate e quindi proseguite dalla successiva direzione politica sovietica. In questa congerie storico-politica, matura un altro contributo determinante, e attualissimo, di Lenin al pensiero-prassi e all’evoluzione del movimento operaio, democratico e socialista: la concezione della democrazia popolare di natura consiliare (attraverso il sistema dei soviet).

Nelle Tesi di Aprile (1917), Lenin fornisce una prima definizione completa del principio della democrazia popolare in termini di democrazia consiliare, cioè sovietica (soviet, consigli): «Tesi 5. Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto». Nella dottrina marxista dello Stato, elaborata nel coevo Stato e Rivoluzione (1917), Lenin pone due questioni teoriche e politiche fondamentali: la questione della natura politica ed economica dello Stato, e la questione della transizione dal capitalismo al socialismo e quindi, in prospettiva, al comunismo. Se è vero, con la nota definizione leniniana, che «lo Stato è l’organo del dominio di una determinata classe, che non può essere conciliata con la classe che è al polo opposto», è in particolare vero che «noi abbiamo, nel regime capitalistico, lo Stato nel vero senso della parola, una macchina speciale per la repressione di una classe da parte di un’altra e per di più della maggioranza da parte della minoranza. […] In seguito, nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, la repressione è ancora necessaria, ma è già esercitata da una maggioranza di sfruttati contro una minoranza di sfruttatori. La macchina speciale di repressione, cioè lo Stato, è ancora necessario, ma è già uno Stato transitorio, non più lo Stato propriamente detto; […] ed è compatibile con una democrazia che abbraccia una maggioranza della popolazione così grande che comincia a scomparire il bisogno stesso di una macchina speciale di repressione. […] Il popolo può reprimere gli sfruttatori anche con una “macchina” molto semplice, senza apparato speciale, mediante l’organizzazione delle masse … (come … i Soviet dei deputati operai e soldati)». In una formula, che segnala, per l’essenziale, il nucleo delle condizioni poste a fondamento della prospettiva leniniana della transizione al socialismo: «Combinare il potere politico sovietico e l’organizzazione amministrativa sovietica con i più avanzati progressi tecnologici e scientifici raggiunti dal capitalismo».

La Rivoluzione d’Ottobre, com’è noto, si sviluppa nei termini di un vasto movimento storico, politico e sociale, che segna, per la prima volta, l’irruzione delle masse, da protagoniste e al potere, nella storia umana, e all’insegna, in estrema sintesi, delle tre parole d’ordine rivoluzionarie lanciate da Lenin e dai bolscevichi: «Tutto il potere ai Soviet»; «Pace immediata senza indennità e senza annessioni»; «Pace, pane e terra». Nello splendido articolo, Per il pane e per la pace (dicembre 1917, pubblicato per la prima volta nella Jugend-Internationale, maggio 1918), Lenin fornisce una sintetica spiegazione, teorica e politica, di questo programma: «La guerra imperialistica, guerra fra le più grandi e più ricche compagnie bancarie – l’“Inghilterra” e la “Germania” – per il dominio del mondo, per la spartizione del bottino, per la spoliazione dei popoli piccoli e deboli, questa guerra orribile e criminale ha devastato tutti i paesi, ha esaurito e sfinito tutti i popoli, ha posto l’umanità di fronte al dilemma: o mandare in rovina tutta la civiltà e scomparire, o rovesciare per via rivoluzionaria il giogo del capitale, rovesciare il dominio della borghesia, conquistare il socialismo e una pace durevole. Se non vincerà il socialismo, la pace tra gli Stati capitalistici significherà soltanto un armistizio, una tregua, la preparazione a un nuovo massacro dei popoli. Pace e pane: queste sono le rivendicazioni fondamentali degli operai e degli sfruttati».

È qui espresso il nucleo di quella vera e propria fondazione leniniana che è la moderna teoria dell’imperialismo. Nel celebre L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1917), fase “suprema”, in quanto “ultima”, estrema, terminale, Lenin fornisce una definizione e una caratterizzazione (cinque contrassegni) dell’imperialismo, nei termini di una categoria economica prima che politica. In relazione alla definizione, «se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo». Quanto poi ai contrassegni, si tratta dei seguenti: a. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; b. la fusione del capitale bancario con il capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo «capitale finanziario», di un’oligarchia finanziaria; c. la grande importanza acquisita dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; d. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; e. la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche, cioè tra gli interessi, le mire, le pretese (diremmo, le quote di mercato) delle maggiori potenze capitalistiche. Non è un caso, dunque, che Stalin definisse il pensiero e l’opera di Lenin, cioè il leninismo, come «il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria».

«Più esattamente: il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica della dittatura del proletariato in particolare. Marx ed Engels militarono nel periodo prerivoluzionario (ci riferiamo alla rivoluzione proletaria), quando l’imperialismo non si era ancora sviluppato, nel periodo di preparazione dei proletari alla rivoluzione, nel periodo in cui la rivoluzione proletaria non era ancora diventata una necessità pratica immediata. Lenin invece, discepolo di Marx e di Engels, militò nel periodo di pieno sviluppo dell’imperialismo, nel periodo dello scatenamento della rivoluzione proletaria, quando la rivoluzione proletaria aveva già trionfato in un paese, distrutto la democrazia borghese e aperto l’era della democrazia proletaria, l’era dei Soviet».

Nel saggio Sul diritto delle nazioni all’autodecisione (Sul diritto di autodeterminazione dei popoli, 1914), Lenin riconfigura altresì, in termini contemporanei, il diritto di autodeterminazione. Intanto, scrive Lenin, «sarebbe errato considerare il diritto di autodecisione come cosa diversa dal diritto all’esistenza politica indipendente»; quanto al «compito del proletariato»: il proletariato, riconoscendo l’uguaglianza di diritti e il diritto, eguale per tutte le nazioni, di costituire uno Stato nazionale, pone però al di sopra di tutto l’unione dei proletari di tutte le nazioni ed esamina ogni rivendicazione nazionale, ogni separazione nazionale dal punto di vista della lotta di classe degli operai; infine, in relazione all’atteggiamento da tenere nei confronti delle borghesie nazionali: «in quanto la borghesia della nazione oppressa lotta contro la borghesia della nazione che opprime, noi siamo sempre, in tutti casi, più risolutamente di ogni altro, in favore di questa lotta, perché siamo i nemici più implacabili e più coerenti dell’oppressione. Viceversa, in quanto la borghesia della nazione oppressa difende il proprio nazionalismo borghese, noi siamo contro di essa. Lotta contro i privilegi e le violenze della nazione che opprime; nessuna debolezza per l’aspirazione della nazione oppressa a conquistare dei privilegi».

Con l’essere un grande politico e dirigente rivoluzionario, Lenin è, allo stesso tempo, teorico marxista di primaria importanza, capace di delineare in maniera precisa il ruolo della teoria nel pensiero-prassi e ai fini del movimento rivoluzionario e di offrire in maniera incisiva un contributo filosofico profondo all’avanzamento del marxismo. Sin dal Che fare?, Lenin aveva posto la questione centrale della teoria come forma specifica, non astratta, del movimento di lotta e del complesso delle contraddizioni e degli antagonismi che si sviluppano sul piano economico, sociale, politico, nonché della lotta contro lo schematismo e il dogmatismo: «senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario».

«Il movimento rivoluzionario (socialdemocrazia) è per sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbiamo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica l’esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare criticamente e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo e come si è articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria) sia necessaria per adempiere questo compito». Vi si delinea, in maniera compiuta, il principio leniniano, essenziale e imprescindibile, della «analisi concreta della situazione concreta».

In Materialismo ed empiriocriticismo (1909), Lenin introduce poi alcuni importantissimi contenuti filosofici (di teoria filosofica), in relazione a tre ambiti: lo sviluppo del materialismo storico e dialettico; la teoria della conoscenza (gnoseologia); l’estetica. Com’è noto, il libro viene scritto in polemica con la posizione filosofica di Aleksander Bogdanov che Lenin considera come una variante dell’empiriocriticismo di Richard Avenarius e di Ernst Mach. Secondo Lenin, la proprietà fondamentale della materia è che si tratta di una datità reale, cioè «una realtà oggettiva che esiste fuori della nostra coscienza […]. Le nostre sensazioni, la nostra coscienza, sono solo l’immagine del mondo esterno», formata attraverso i sensi e attraverso la mediazione tra azione pratica e generalizzazione (non astrazione) teorica. La realtà quindi non è «una forma organizzatrice dell’esperienza», ma è la datità effettiva dell’oggetto, che è a sua volta oggetto di conoscenza da parte del soggetto, una conoscenza mediata dai sensi, e configurata nel cervello umano, che è a sua volta «materia organizzata in un certo modo», che segue le stesse leggi della materia. È questa la base della teoria del «rispecchiamento», nella quale si delinea e attraverso la quale viene enucleato un conseguimento teorico e politico rilevantissimo: non si tratta solo di un concetto gnoseologico, in termini di teoria filosofica e di teoria della conoscenza, di primaria importanza, ma si tratta anche di uno dei caratteri di base del realismo socialista, e, in generale, uno dei temi fondamentali dell’estetica marxista.

Maksim Gor’kij (1868-1936), il grande scrittore russo e sovietico, lo avrebbe formulato nei termini più chiari e le conclusioni del Primo congresso degli scrittori sovietici (1934) ne avrebbero compendiato la formulazione nei termini (il realismo socialista) di «un metodo fondamentale della letteratura creativa e della critica letteraria sovietica, che esige dall’artista la rappresentazione veridica, storicamente concreta, della realtà nel suo sviluppo rivoluzionario. Col che la veridicità e la concretezza storica della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di una trasformazione ideale e dell’educazione dei lavoratori nello spirito del socialismo».

Nelle sue pagine, Gor’kij mette in luce proprio la natura di classe del processo e del contenuto della creazione artistica: «In uno Stato fondato sulle sofferenze insensate e umilianti della stragrande maggioranza del popolo, è normale che il credo della volontà soggettiva, irresponsabile nelle parole e nelle azioni, sia il principio guida e rivendicativo. Idee quali “l’uomo è despota per natura”, “ama essere un tormento”, “è preso appassionatamente dalla sofferenza”, che vede il significato della vita e della felicità proprio nella volontà soggettiva, nella libertà illimitata, che solo questa gli porterà il suo “più grande vantaggio”, e che “il mondo intero perisca finché io possa bere il mio tè” – sono le idee che il capitalismo ha inculcato e sostenuto nel bene e nel male».

Viceversa, «dobbiamo comprendere che è il contributo delle masse a costituire l’organizzatore fondamentale della cultura e il creatore di tutte le idee, sia quelle che nel corso dei secoli hanno minimizzato l’importanza decisiva del lavoro – la fonte della nostra conoscenza – sia quelle di Marx, Lenin e Stalin che nel nostro tempo stanno promuovendo un senso rivoluzionario di giustizia tra i proletari di tutti i paesi e che nel nostro paese stanno elevando il lavoro al livello di una potenza che serve da base per l’attività creativa della scienza e dell’arte. […] Come eroe principale dei nostri libri dovremmo scegliere il lavoro, cioè una persona, organizzata dai processi del lavoro, che nel nostro paese è attrezzata di tutta la potenza della tecnica moderna, una persona che, a sua volta, organizza il lavoro in modo tale da renderlo più facile e produttivo, elevandolo al livello di arte. Dobbiamo imparare a intendere il lavoro come creazione. La “creazione” è un concetto che noi scrittori usiamo fin troppo liberamente, anche se non ne abbiamo il diritto. La creazione è un grado di tensione raggiunto nel lavoro della memoria, in cui la velocità del suo funzionamento trae, dalle riserve di conoscenze e di impressioni, i fatti, le immagini, i dettagli più salienti, notevoli e caratteristici, e li rende nelle parole più precise, vivide e comprensibili».

Quali sono allora, in conclusione, gli elementi di sintesi, in primo luogo metodologica, di approccio e di orientamento, che, a maggior ragione in occasione del centenario, si possono trarre dalla grandezza dell’opera di Lenin?

Lenin pone e studia le questioni teoriche e di dottrina sempre a partire dalle specifiche questioni di ordine concreto e politico che si trova a risolvere: avanza e sviluppa, cioè, un nucleo propriamente “egemonico”, a partire dall’unione di teoria e prassi, dall’individuazione del nucleo fondativo della «filosofia della prassi» e, per questa via, dall’influenza determinante sul corso successivo del marxismo sia in Oriente, sia in Occidente (Gramsci e altri). Avvia, inoltre, una poderosa innovazione del marxismo, attrezzandolo sia in relazione alla nuova fase storica e politica, a partire dall’analisi dell’imperialismo quale odierna configurazione del capitalismo nella fase attuale del suo sviluppo, sia in relazione alle specifiche differenze nazionali. Introduce, infine, modi di analisi, categorie di interpretazione, poderose sintesi politiche e culturali, sviluppate nel cimento del conflitto e della lotta politica, fondamentali per l’iniziativa politica dei comunisti nel tempo presente.

Riferimenti:

V.I.U. Lenin, I compiti dei socialdemocratici russi (1898).

V.I.U. Lenin, Che cosa sono gli “amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici (1894).

V.I.U. Lenin, Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento (1902).

V.I.U. Lenin, Tesi di AprileSui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (1917).

V.I.U. Lenin, Stato e Rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione (1917).

V.I.U. Lenin, Per il pane e per la pace (1917, pubblicato nella Jugend-Internationale, maggio 1918).

V.I.U. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1917).

V.I.U. Lenin, Sul diritto delle nazioni all’autodecisione (Sul diritto di autodeterminazione dei popoli), 1914.

V.I.U. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo: note critiche su una filosofia reazionaria (1909).

I.V.D. Stalin, Principi del leninismo. Lezioni tenute all’Università Sverdlov (1924).

Maksim Gorkij, Soviet Literature (1934) in: Gorkij, Radek, Bucharin, Ždanov et al. “Soviet Writers’ Congress 1934”, Lawrence & Wishart, London, 1977.

Palmiro Togliatti, Lenin e il nostro partito, Rinascita, n. 5, 1960.

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