ANTISEMITISMO E SIONISMO

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di Norberto Natali

Siccome non sono un “tuttologo” ed anzi non ho neanche una grande istruzione, finora ero convinto che il sionismo (e l’obiettivo di un’occupazione della Palestina da parte degli ebrei provenienti da vari continenti) fosse un movimento sorto alla fine dell’800, tra i ranghi di alcune comunità ebraiche europee, per sfuggire all’antisemitismo e alle persecuzioni diffuse in tanta parte d’Europa.

Invece “l’idea” che gli ebrei europei avessero “diritto a un ritorno” in Palestina  indicata come loro “antica patria” fu partorita fin dal 1600 da governanti e potenti dei principali imperi e regni europei, soprattutto i britannici.  La tesi che quasi duemila anni fa gli ebrei abitanti in Palestina furono cacciati o deportati dai romani è dunque storicamente recente -funzionale alla teoria del “ritorno”- e non trova affatto concorde il mondo accademico e scientifico. Ancor di più, molti studiosi contestano la pretesa che gli ebrei che hanno recentemente colonizzato la Palestina siano i lontani successori proprio di quelli. 

Solo per fare un esempio, lo scrittore ebreo (antifascista militante) anglo-ungherese A. Koestler, quasi mezzo secolo fa, pubblicò “la tredicesima tribù”, documentando come molti ebrei dell’epoca più recente potevano provenire dalla popolazione dei cazari che dominarono parte del Caucaso e si convertirono all’ebraismo nell’VIII° secolo. 

In realtà la borghesia europea voleva liberarsi degli ebrei, “scaricandoli” in Palestina. Questa linea si consolidò progressivamente nel ‘700 e nella prima metà dell’800. Illustri ministri ed intellettuali accompagnavano i loro testi sull’argomento definendo apertamente gli ebrei “teste di legno umanamente degradate”, altri -più astutamente- accompagnavano le loro indicazioni sottolineando come l’arrivo di molti di loro avrebbe favorito una rigogliosa agricoltura in Palestina.

All’inizio dell’800, la possibilità di “usare”  gli ebrei in funzione di nuovi e più marcati interessi strategici britannici nel Medio Oriente diede luogo all’avvio di quei disegni vagheggiati già da un paio di secoli. 

In breve. 

Nel 1838 fu aperto a Gerusalemme il primo consolato inglese in Medio Oriente, con il compito principale di favorire l’insediamento degli ebrei britannici in quella terra.

Il ministro liberale degli esteri inglese (poi anche primo ministro che promosse la guerra in Crimea), il visconte Palmerston, nel 1840 scrisse una lettera all’ambasciatore britannico ad Istanbul, chiedendogli di rivolgersi al capo dell’impero ottomano per propiziare il “ritorno” degli ebrei in Palestina. Astutamente, l’ambasciatore avrebbe dovuto evidenziare la “convenienza” di tale proposito per gli interessi del sultano: per esempio avrebbe potuto tassare le ricchezze che essi avrebbero portato con sé ed anche utilizzarli nella difesa del  confine dell’impero ottomano insidiato da qualche tempo dai ribelli egiziani. In verità, nell’acutizzazione del contrasto strategico tra impero inglese ed ottomano, i primi intendevano avvantaggiarsi del trasferimento degli ebrei europei per farli divenire -nel tempo- un ulteriore fattore di disgregazione per i turchi. 

Nel 1841 a Gerusalemme fu anche insediato il primo vescovado anglicano della regione: il suo primo titolare era un ebreo convertito, il quale scrisse chiaramente che la colonizzazione ebraica della Palestina doveva coincidere con il trasferimento altrove della popolazione indigena (cioè i palestinesi). 

Nel 1843, infine, fu aperta la prima chiesa anglicana, la christ church, sempre a Gerusalemme, presso la porta di Jaffa.

In quel quinquennio di oltre 180 anni fa, era già chiaro agli strateghi inglesi che la Palestina era un crocevia strategico dei traffici nord-sud ed est-ovest e da lì si potevano dominare i collegamenti fra tre continenti: diventava quindi un interesse prioritario dell’impero. 

Solo mezzo secolo dopo ci fu la prima ondata organizzata di immigrati ebrei europei, ispirati dal nascente sionismo, che diedero vita alle prime colonie. 

L’ideologia del “ritorno all’antica patria in Palestina”, dunque il sionismo, scaturisce da concezioni e programmi del più classico antisemitismo imperiale europeo dei due secoli precedenti anziché essere una scelta antagonista a questo. In realtà, questa ideologia è appunto la combinazione di due fattori diversi: il pregiudizio antiebraico (che voleva eliminare gli ebrei dall’Europa già molto prima del nazismo) e gli intrighi coloniali ed espansionistici dell’impero britannico -a volte in combutta con altri stati coloniali, più spesso in concorrenza con essi- che voleva mettere le mani sul centro nevralgico del Medio Oriente.

Si pensi che le prime idee di Herzl (uno dei principali fondatori del sionismo alla fine dell’800) non erano rivolte tanto al “diritto al ritorno” in Palestina quanto alla necessità -per gli ebrei- di avere un territorio proprio nel quale vivere autonomamente: per esempio, egli propose agli stati europei il trasferimento anche in Argentina o in Uganda, non solo in Palestina. Furono gli sporchi interessi inglesi (più in generale dell’imperialismo nel ‘900) che non avevano alcun interesse a “mandare” gli ebrei altrove se non lì. 

Tanto più quando si profilò l’enorme affare del petrolio e delle risorse energetiche, il controllo di quella zona divenne ancor più strategico anche ai fini della rivalità con altre potenze imperialistiche: non c’è spazio qui, per esempio, per dire del rapporto di “amore-odio” con gli USA nel Medio Oriente (grosso modo tra il 1920 e gli anni ’50 di quel secolo) oppure del fatto che Giacomo Matteotti aveva acquisito -prima di essere ucciso- prove sui fascisti corrotti da un’importante compagnia petrolifera inglese. 

È così che si arriva alla vergognosa dichiarazione Balfour (altro ministro degli esteri inglese) del 1917: proclamava la necessità di uno stato ebraico in Palestina. Per semplificare, si può dire che quello fu il punto di inizio di tutte le tragedie che ancora si susseguono in quella zona. Insomma, la dichiarazione Balfour non è una sorta di “cedimento” al sionismo e al processo di colonizzazione della Palestina bensì sono questi ultimi ad essere scaturiti dai disegni e dalle istanze del colonialismo europeo. 

Tutto ciò mi ha giovato per essere meglio informato in una giornata come quella odierna, nella quale gli stessi “inventori” dell’antisemitismo e precursori della barbarie nazista hanno dedicato al ricordo dei campi di concentramento e dello sterminio operato dai nazifascisti. 

Come miliardi di altri uomini e donne, esprimo nuovamente tutto il mio rispetto per gli ebrei, i comunisti e tutti gli antifascisti, gli slavi, i nomadi, gli omosessuali e tutti quanti hanno subito il cinismo e la crudeltà dei campi di concentramento e dei nazisti; non di meno aggiungo la mia riconoscenza ed ammirazione per l’Armata Rossa, i popoli sovietici, tutti i Partigiani del mondo, per aver combattuto e vinto la barbarie nazifascista e contribuito a liberare i pochi superstiti dei campi di sterminio. È chiaro che tutti costoro non hanno alcuna colpa per l’attuale genocidio del popolo palestinese e i crimini del governo razzista israeliano. 

Non commento, non ce n’è bisogno, due notizie che si intrecciano proprio in questi giorni: il parlamento europeo (e il “compagno” Ignazio Marino) ha deciso di vietare l’uso della falce e martello -ossia il simbolo di quella parte di eroiche forze senza le quali oggi avremmo ancora il nazismo al potere- e l’intenzione del capo “dell’occidente libero” di cacciare due milioni di palestinesi dalla loro terra ed annullarne l’identità disperdendoli all’estero. Come abbiamo visto anche qui un’idea non proprio originale e nuovissima.

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