
riceviamo e pubblichiamo
di Rodrigo Rivas
I INTRODUZIONE, PRIMA PARTE: “SULL’INVASIONE EUROPEA E ALCUNI INVASATI”
Il 12 ottobre 1492 ha inizio l’invasione europea delle Americhe.
Trascorsi 532 anni, ambienti poco aggiornati la chiamano ancora “scoperta”, senza accorgersene che persino la corte reale spagnola ha sostituito il termine con “incontro tra popoli”, un altro concetto equivoco.
Un genocidio non è mai un incontro. Con molta benevolenza potremmo dire “acerrimo scontro”, “encontronazo” nei Caraibi.
Oppure, sono “incontri tra i popoli” persino le due guerre mondiali del ‘900. Presumo che a Marzabotto, e non solo, qualcuno potrebbe incazzarsi.
Il 12 ottobre 1492 è stato aperto uno dei capitoli più tenebrosi della storia.
Lo sterminio, l’encomienda, la mita, le malattie importate e lo scontro culturale hanno prodotto una carneficina.
A metà del ‘600, erano sopravvissuti circa 3,5 milioni di indigeni dei 70-90 milioni che, si stima, ci fossero nel 1492.
La drastica diminuzione della popolazione indigena scatenava un altro crimine: la tratta e la schiavitù di persone sequestrate in Africa per trasformarle in manodopera nelle piantagioni.
Tra il ‘500 ed il ‘600 sono stati portati via dall’Africa non meno di 12 milioni di esseri umani ai quali bisogna aggiungere le vittime delle razzie e guerre scatenate per impossessarsi di quel “capitale.umano” (per approfondimenti vedere Basil Davidson, “Madre nera: L’Africa nera e il commercio degli schiavi”, 1997).
Secondo Aimée Césaire, poeta e politico originario della Martinica, “il nazismo ha applicato all’Europa procedure colonialiste che fino ad allora erano state riservate esclusivamente agli aborigeni dell’America latina, agli arabi d’Algeria, ai coolie dell’India e ai neri d’Africa” (“Discours sur le colonialisme”, Discorso sul colonialismo, 1955). Secondo lo psichiatra Frantz Fanon, pure lui martinicano, “cos’è il fascismo se non il colonialismo messo in atto in un paese tradizionalmente colonialista?” (“I dannati della terra”, 1961).
Il loro approccio equipara grossolanamente l’Olocausto al colonialismo, ma contiene un’intuizione fruttuosa: il legame genetico tra i crimini nazisti e il passato imperiale dell’Europa.
Umberto Eco precisa: “L’Ur-Fascismo, il Fascismo eterno, cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza.
Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi.
L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione”
(Columbia University, 25 aprile 1995. In “Cinque scritti morali”).
Se Cédaire, Fanon ed Eco hanno ragione, Hernán Cortés, Francisco Pizarro e compagnia cantante erano dei fascisti ante litteram.
Tuttavia, la trascendenza dell’avvenimento è innegabile. Poiché oltre ad essere brutali gli europei erano portatori insani dei valori della nascente società capitalista, l’invasione diede inizio alla mondializzazione.
Il plusvalore storico generato permise lo sviluppo del capitalismo moderno in Europa occidentale ed ebbe come conseguenza la divisione del mondo così come lo conosciamo (per approfondimenti vedere Michael Barratt Brown, “Storia economica dell’imperialismo”, 1977).
Se buona parte degli europei e delle classi dirigenti latinoamericane possono celebrare il 12 ottobre, gli indigeni, i neri ed i poveri, nulla hanno da celebrare. A non celebrare non sono solo “i bocciati in terza media”, come scrivono dei Soloni insonni in queste lande abbandonate da Minerva, ma il 90% della popolazione.
Tuttavia, questo “piccolo genere umano” come lo definì Bolívar, rivendica tutta la sua eredità: la modernità arrivata come appendice dall’Europa, e le resistenze contro gli oppressori presenti da oltre cinque secoli (sulle lotte indigeni vedere José Bengoa, “Viaje a Caral: Crónicas acerca de la larga historia de América y la resistencia de los pueblos indígenas”, Viaggio a Caral. Cronache della lunga storia d’America e della resistenza dei popoli indigeni, 2024).
Non si tratta di giudicare con i valori del XXI secolo avvenimenti del XVI, del XVIII e neppure del XX secolo bensì di capire come si siano articolati il colonialismo e la dipendenza industrial-finanziaria dopo l’indipendenza politica dell’America latina e, poiché gli oppressori prosperano sull’ignoranza, cito un brano della cronaca scritta nel 1542 da un testimone di eccezione, il vescovo del Chiapas, Bartolomé de las Casas.
“Nell’Isola Hispaniola (ora divisa tra Haiti e Repubblica Dominicana), i cristiani con i loro cavalli, spade e lance, iniziarono a compiere stragi e crudeltà.
Entravano nei paesi, non lasciavano bambini né vecchi, né donne in gravidanza né partorienti che non sventrassero e facessero a pezzi, come se avessero trovato degli agnelli nei loro ovili.
Facevano scommesse su chi avrebbe aperto un uomo a metà con una coltellata, o su chi riusciva a tagliargli la testa con i suoi picchetti o a lasciargli le viscere allo scoperto.
Prendevano le creature dalle tette delle madri, cogliendole dalle gambe, e fraccassavano le loro teste sulle rocce.
Altri le portavano sulle spalle fino ai fiumi e, mentre sprofondavano nell’acqua, ridendo e prendendoli in giro dicevano loro: “Fai delle bollicine, corpo di un tale”.
Oppure appoggiavano altre creature sulla spada insieme alle loro madri e a tutti coloro che si trovassero vicini.
Costruivano pure forche larghe che quasi quasi univano i piedi alla terra, e da tredici in tredici, una volta appiccicata la legna e acceso il fuoco gli bruciavano vivi in segno di onore e di fedeltà al Nostro Redentore e ai dodici apostoli.
Altri erano bruciati dopo averli legati o dopo avere avvolto tutto il loro corpo con della paglia secca che poi accendevano.
Ad altri, a tutti coloro che volevano catturare per trasformarli in esempi viventi, gli tagliavano le mani e dopo avergliele legate addosso, dicevano loro: Andate in giro con queste, vostre lettere: Portate le notizie alle genti scappate sui monti.
Normalmente i signori ed i nobili venivano uccisi così: facevano dei cumuli di legnetti su delle falci, li legavano sopra e ne accendevano sotto un fuoco dolce per far si che, poco a poco, urlando come ossessi per le torture, disperati, venissero fuori le loro anime.
Una volta ho visto che, mentre mantenevano e bruciavano in questi bracieri quattro o cinque dignitari e signori, perché questi urlavano molto forte affliggendo il capitano o impedendogli di conciliare il sonno, costui diede l’ordine di affogarli.
Il commissario, che era peggio del boia che gli bruciava, si rifiutò di affogarli e con le sue stesse mani mise dei legnetti nelle loro bocche perché non emettessero suoni e ravvivò il fuoco fin quando si sono arrostiti piano piano come lui voleva.
Io ho visto tutte le cose che ho appena raccontate e molte, infinite, altre”.
Il 1″ ottobre 2024 Claudia Sheinbaun, presidenta del Messico, non ha invitato alla trasmissione del mando Filippo VI, re di Spagna, “per maleducato”. In seguito ha scritto su X: “Colombo ha scoperto l’America per gli europei, ma nel nostro continente è specificatamente in ciò che oggi chiamiamo Messico, c’erano grandi civiltà e culture delle quali ci sentiamo orgogliosi. Nessuno ci ha scoperto”.
La lingua spagnola è la seconda al mondo per diffusione. Il Messico è il paese di lingua spagnola più importante per popolazione ed economia ma, in Italia, dello schiaffo di Claudia i media non se ne sono accorti.
In Spagna, salvo Podemos, dai comunisti (ex e aggiornati) ai fascisti (semper fedelis), la classe politica ha protestato addiratamente. Essendo unanimemente ancorata all’idea di progresso e all’eterno concetto di superiorità razziale. merita l’inclusione nella prossima edizione della enciclopedia universale dell’infamia.
Nella UE, il regno del silenzio quando non stuzzicato dagli USA, nessuno disse nulla, neppure “Manolito”, il “socialista” spagnolo responsabile della politica estera comunitaria.
Lo chiamo Manolito perché questo figlio di profughi repubblicani spagnoli che misero un commercio a Buenos Aires, mi ricorda Il furbo ragazzino coi capelli a spazzola che vende alimentari scaduti a metà prezzo nelle strisce di Mafalda..
Non solo in Spagna c’è gente apparentemente normale ancorata al tempo in cui i colonialisti si facevano portare in amaca o in risciò come nel 1899, quando Rudyard Kipling diffondeva impunemente i suoi deliri sul “fardello dell’uomo bianco” (“The White Man’s Burden”).
Kipling godeva di grande stima nei circoli che contano, come dimostra la motivazione con cui la giuria gli assegnò il Premio Nobel per la letteratura nel 1907: “In considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, della forza delle idee e del notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo.”
Ma, presumo, “nessuno scriveva ai giurati di Stoccolma”.
Scrive Charles McGrath sul “New Yorker”: “Kipling è stato variamente etichettato come colonialista, sciovinista, razzista, antisemita, misogino, guerrafondaio e imperialista di destra; e, anche se alcuni studiosi hanno sostenuto che le sue opinioni erano più complicate di quanto gli sia stato attribuito, in una certa misura era davvero tutte queste cose” (“Rudyard Kipling in America”).
L’astio è comprensibile: Kipling sviluppò una teoria secondo la quale “oltre la Manica sono nate solo razze inferiori”.
Kipling era indubbiamente uno scrittore talentoso. Lo provano “Il libro della giungla” e diverse poesie, anzitutto “If” (Se).
Non so se anche tra I nostalgici della “scoperta” e del “fardello dell’uomo bianco” vi siano poeti senza poesia. Ma non si è mai sentito dire che ci fossero dei talenti.
D’altronde, non deve essere facile appoggiare il Mac sul tavolino rococo, compatibilizzare il serale “whisky on the rock” con la cocoa in polvere del mattino, la passione per Elon Musk con il disegno mattutino del neo sulla guancia, l’accurata tintura del ciuffo alla Donald e lo sniffare tabacco in polvere per turarsi il naso …
Purtroppo, ignoranza, mascalzonaggine, stoltezza e vetustà mentale sono diffuse e, mi temo, contagiose.
Chiudo riportando storie che.sarebbero piaciute a Salgari e sicuramente piacciono a Paco Taibo II, raccontate dal poeta Luis Palés Matos è cantate da Ray Brown, entrambi orgogliosamente portoricani.
“Aires bucaneros”, arie da bucanieri, illustra la complicata storia che crea un’identità nazionale portoricana caratterizzata da profonde radici africane, riscattando, come fa Nicolás Guillén a Cuba, lo specifico antillano in osmosi con lo africano.
La loro “afroantiglianità” unisce alle caratteristiche onomatopeiche e musicali che caratterizzano la poesia nera, la ribellione contro la soggezione coloniale imposta dagli Stati Uniti.
A chi interessino questi aspetti suggerisco le sue ‘’Sacra ira’’ e “Preludio en boricúa”. Boricúa è il gentilizio di Borinquen, il nome indigeno dell’isola che oggi denominiamo Portorico è che nella lirica latinoamericana diventa “Borinquén, la terra dell’Eden”.
Pioniere letterario della opposizione “all’americanizzazione”, Palés Matos riscatta la realtà che circondava (e circonda), che era (ed è) in costante agguato sulla società portoricana.
Del lungo testo, in spagnolo sul video che accompagna la musica, ho tradoto l’inizio e la fine.
Bucanieri eroi popolari? Perché no?
Dipende dal contesto storico.
Paco Taibo II ci regalò nel 2010 il delizioso “Ritornano le tigri della Malesia. Più antimperialisti che mai”. Protagonisti, Sandokan, Yanez ed i tigrotti, ma dentro ci finiscono persino una reduce della Comuna di Parigi e il dottore Mortimer di Conan Doyle.
Mi è venuto in mente mentre passeggiavo tra le rovine della Portobelo distrutta dal pirata Henry Morgan nel 1668.
Morgan saccheggio’ la colonia per circa due mesi. Oltre alla fama ci guadagnò 200.000 reali spagnoli e, successivamente, un premio vitalizio concessogli dal capo pirata in persona: a Londra, Charles II Stuart, re d’Inghilterra, di Scozia e d’Irlanda, lo nominò “Governatore della Giamaica”.
Davanti a Portobelo c’è l’isola Francis Drake. Qui morì eroicamente il pirata che, da buon inglese, non poteva che crepare di dissenteria o, più volgarmente detto, di diarrea.
Arie da bucanieri
Per il bucaniere carne bucanata,
Il lungo moschetto, di polvere da sparo nera,
la rossa camicia, la rustica botte,
e il torrido punch di rhum ben pepato.
Ahi batatali della Tortuga,
cacao in chiccari di Nueva Reyna,
uhi i caimani di Maracaibo,
vomito oscuro di Cartagena.
Uhi, agrumetti della Spagnola,
tapioca tenera del Venezuela.
Uhi, pescecani di Portobelo,
scorbuto violaceo della Cruz Vera.
(…)
Per la strada di Terra ferma
scampanellando viene la processione.
Cinquanta mule venezuelane
portano il tesoro delle Americhe
Polvere aurifere della montagna,
fine vigogne dell’altopiano,
torrido miele della pianura,
resine magiche della selva.
Boschi e fiumi, mari e monti
sulle mule il loro carico ribaltano.
Oro idolatrico del grande inca,
argento liturgico del nobile azteco.
La guardia altezzosa dei vicere
copre i fianchi e al fondo chiude.
Ahi, carovana che si affida
alla spagnola lancia guerriera.
Contro di lei irrompono i bucanieri,
mannaia in mano, pallotola in canna,
e il bottino passa dal leone ispano
al tigre astuto delle Americhe.
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