Editoriale. III parte

di Andrea Catone

Per l’analisi della struttura economico-sociale della Russia post-sovietica riportiamo anche la traduzione del Programma del Partito comunista della Federazione russa, adottato nel 2008 e tuttora in vigore. Abbiamo inteso con questo fornire alla conoscenza e riflessione dei comunisti e dei marxisti del nostro Paese un documento ufficiale, frutto dell’elaborazione collettiva dei militanti del partito russo; un partito che ha saputo sapientemente riorganizzarsi dopo la catastrofe del 1991, quando era stato messo al bando, e riemergere nel 1993. Una riorganizzazione che si è avvalsa di una fondamentale rielaborazione teorica che ha fatto i conti con la crisi e il crollo dell’Urss, individuandone alcuni nodi fondamentali e si è dotato di una nuova linea strategica che, tenendo ben salda la bussola del marxismo-leninismo, del riconoscimento del ruolo fondamentale di Stalin nella costruzione del socialismo sovietico, ha elaborato più in profondità la questione nazionale russa.

Il Pcfr ha collegato bene questione nazionale e questione sociale, ha radicato più profondamente la prospettiva del socialismo nella storia e cultura russe. Ha individuato una via nazionale russa al socialismo. Il Pcfr e il suo segretario Zjuganov hanno radicato la prospettiva socialista nella storia e cultura russe, non diversamente da quel che cominciò a fare Mao Zedong con la sinizzazione del marxismo, o come fece Ho Chi minh, che seppe cogliere l’essenza della questione nazionale vietnamita, unificare il popolo e guidarlo alla vittoria prima contro il colonialismo francese, poi contro il più potente stato del mondo, gli Usa. Leggiamo nel Programma che “la questione russa è diventata estremamente acuta negli anni della restaurazione del capitalismo. Oggi i russi sono diventati il popolo più diviso del pianeta. È un vero e proprio genocidio di una grande nazione. Il numero di russi diminuisce. La cultura e la lingua storicamente sviluppate vengono distrutte. Il compito di risolvere la questione russa e la lotta per il socialismo coincidono nella sostanza”.

La propaganda di El’cin si basava principalmente sulla contrapposizione degli interessi nazionali russi a quelli delle altre repubbliche sovietiche, colpevoli, secondo il demagogo russo, di sottrarre risorse alla Russia. Era un’operazione di nazionalismo di destra, che contrapponeva la propria nazione alle altre, in funzione antisovietica. Il nazionalismo antisovietico fu il grimaldello per rompere l’Urss. Totalmente diverso è il patriottismo del Pcfr che non ha mai contrapposto la Russia agli altri popoli. Il Pcfr è profondamente internazionalista, e proprio in quanto tale profondamente radicato sul terreno nazionale. Da alcuni anni è stata costituita l’Unione dei Partiti Comunisti – Skp-Kpss – associazione di partiti comunisti operanti negli Stati costituiti sul territorio di quella che fu l’Unione sovietica.

Nell’attuale duro scontro di classe in campo internazionale, che vede contrapporsi i Paesi che guardano a un nuovo ordine mondiale fondato sul riconoscimento della compresenza di diversi poli, e l’Occidente abbarbicato nella difesa dei suoi privilegi economici e finanziari, derivanti dal precedente colonialismo e dall’attuale dominio imperialistico, la Russia è oggi schierata sulla prima linea del fronte. Al suo interno, il Pcfr svolge un ruolo fondamentale di azione politica e orientamento ideologico-culturale. Le posizioni del Pcfr – che, con i suoi 160mila iscritti (dati del 2019), e gli oltre 10 milioni e mezzo di voti (quasi il 19%) e 57 deputati su 450 nelle elezioni del 2021, è il più grande partito comunista del continente europeo (dato che l’Europa non si riduce alla Ue posta sotto tutela e controllo Usa) – non sono molto note in Italia, o, quando ci si riferisce ad esse, vengono il più delle volte riportate in modo deformato o erroneo, salvo alcune meritorie eccezioni. Per colmare parzialmente questa lacuna, presentiamo qui in traduzione italiana risoluzioni e interventi politici del Partito, a partire dal documento base, il Programma. Seguono poi documenti più recenti, quali l’Appello delle forze patriottiche di sinistra russe (novembre 2021); Venti misure urgenti per trasformare la Russia (marzo 2022); In Ucraina la Russia combatte il neonazismo. Note in merito all’articolo del Dipartimento Internazionale del CC del KKE (16 maggio); e tre interventi di G. Zjuganov: Dobbiamo fare di tutto per avere successo in Ucraina (6 giugno), Combattiamo per gli ideali del potere sovietico (7 giugno), Propongo un dialogo costruttivo! (21 giugno).

L’impatto della guerra economica

Una sezione importante di questo volume è dedicata all’esame dell’altro fronte di guerra, quello economico, dove l’Occidente ha intrapreso “la guerra nucleare finanziaria” – l’espressione è di Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti – contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale. La Ue si è lanciata a corpo morto – e anche qui il ruolo di Draghi è stato particolarmente influente – nella risoluzione (fortemente caldeggiata da Zelensky e dai suoi padrini americani) di troncare quanto prima ogni acquisto di petrolio e gas dalla Russia. Sul tema, l’Associazione Marx21 organizzò un webinar con Demostenes Floros, Senior Energy Economist presso il Centro Europa Ricerche di Roma. Il testo preparato per la Conferenza, nonostante siano trascorsi alcuni mesi dal momento in cui fu presentato, non ha perso un briciolo di attualità. Dati e tabelle illustrati e commentati dall’autore mostravano implacabilmente il vicolo cieco in cui la servile politica verso gli Usa degli oltranzisti euro-atlantici nostrani avrebbe portato l’Italia e i Paesi Ue. Emergeva chiaramente come le dichiarazioni dei principali governi dei Paesi della Ue, e in particolare del governo italiano, di sottrarsi in tempi brevi alla dipendenza dalle importazioni del gas russo fossero ad un tempo velleitarie e mistificanti. L’annunciato ricorso ad importazioni del gas liquefatto dagli Usa sarebbe assolutamente insufficiente, oltre ad incidere con maggiori costi economici (si ipotizza un 30% in più) ed ecologici (i gravi danni che la tecnica di estrazione del fracking provoca all’ecosistema).

Di arma a doppio taglio delle sanzioni, che provocano enormi danni ai Paesi europei, accentuando la crisi dei sistemi politici, con la crescente separazione tra dirigenti e diretti, parla esplicitamente Vladimir Putin nel suo importante intervento al XXV Forum economico internazionale tenutosi a giugno a San Pietroburgo. Ne pubblichiamo la traduzione integrale (basandoci sulle versioni ufficiali in lingua russa e inglese), per la rilevanza dei temi trattati, che travalicano la sfera puramente economica, per delineare una strategia globale dei Paesi e popoli che cercano una propria via autonoma di sviluppo non subalterna ai diktat dell’imperialismo Usa e dei suoi satelliti. Il presidente russo inizia con un’affermazione netta: è finita l’era dell’ordine mondiale unipolare. Ma le classi dirigenti dell’Occidente cercano di invertire il corso della storia e utilizzano ogni mezzo per punire e cancellare chi non si sottomette ai loro diktat. Ieri Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, oggi la Russia, attaccata da una campagna russofobica e da molteplici e pesantissime sanzioni, che il Paese ha però saputo fronteggiare, stabilizzando relativamente il quadro economico. Le cause dell’attuale crisi inflazionistica mondiale risiedono non nella politica russa e nell’operazione militare in Donbass (“Forse sarebbe anche bello sentirsi dire che siamo così potenti e onnipotenti da poter far esplodere l’inflazione in Occidente”, dice ironicamente), ma nelle politiche macroeconomiche irresponsabili perseguite dai Paesi del G7, con l’emissione incontrollata di un’enorme massa di moneta riversatasi nell’acquisto di beni dei Paesi terzi. In opposizione a questa più sofisticata politica neocoloniale predatoria si avviano percorsi di de-dollarizzazione. Putin illustra poi le linee strategiche di sviluppo dell’economia russa nelle condizioni della “nuova era”, con l’individuazione delle priorità. In conclusione, egli afferma, “la tendenza a favore di un modello di crescita multipolare al posto della globalizzazione è sempre più marcata”.

Anche il webinar di Marx21 con Vladimiro Giacché, filosofo-economista marxista, risale al mese di aprile, e anche in questo caso contraddizioni, implicazioni, linee di tendenza risultano chiaramente delineate. La “bomba nucleare” del blocco dello SWIFT ha innescato un processo di “disaccoppiamento” che può accelerare la costruzione di sistemi multilaterali o bilaterali di pagamento alternativi. L’euro, presentato nel 2000 come potenziale alternativa al dollaro, registra il suo fallimento, a causa dell’appiattirsi – antistorico e contrario agli interessi strategici dei Paesi europei – della Ue sugli Usa. Per strangolarla economicamente, gli Usa hanno congelato le riserve della Russia in dollari detenute all’estero, ponendo però una seria ipoteca sul ruolo del dollaro come moneta fiduciaria, grazie a cui essi vivono al di sopra delle loro capacità economiche. Al momento, la manovra degli Usa (sanzioni alla Russia; stop alle ambizioni della Germania di fare da cerniera tra Europa e Asia; cuneo tra Europa e Russia) pare aver successo, ma si è innescato un processo al termine del quale uno degli elementi chiave della dominanza statunitense, quello finanziario, potrebbe risultare fortemente ridimensionato. La vittoria tattica è probabilmente degli Usa, ma essa potrebbe preparare una sconfitta strategica. La Ue, invece, appare destinata a subire sia la sconfitta tattica che quella strategica.

Così, schiacciata sull’oltranzismo Usa, la Ue, nata col peccato originale di un europeismo subordinato all’atlantismo, si suicida. Le sue classi dirigenti sembrano essersi postemasochisticamente al servizio di Washington. Alle politiche oltranziste del blocco euro-atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti – scrive nel suo articolo Ruggero Giacomini – “va opposto un fronte comune delle forze comuniste, progressiste e pacifiste, che trovi la sua base nell’unione dei lavoratori europei. La prospettiva della comune distruzione delle classi in lotta non è la nostra. Ci sono temi e battaglie che richiedono un coordinamento propulsivo sovranazionale, a partire da un confronto e da un impegno comune dei partiti comunisti e delle forze progressiste e pacifiste. L’Europa della Finanza e della Nato non ha niente a che vedere con gli ideali europeisti, spesso a sproposito evocati, di Altiero Spinelli. È auspicabile che sorga su quelle radici e prenda piede un europeismo antimperialista, per un’Europa dei lavoratori, fuori dai blocchi, aperta a relazioni su un piano di uguaglianza con tutti i Paesi, che sia fattore di pace. Il che postula un ribaltamento delle attuali classi dirigenti asservite all’imperialismo nord-americano”.

La cronologia 1989-2022 occupa un numero di pagine molto consistente di questo volume. Si tratta di una cronologia ragionata, che non si limita ad indicare solo date ed eventi, ma ha selezionato anche alcuni passaggi fondamentali nei rapporti internazionali, nella politica interna ucraina (ad esempio le leggi di discriminazione della popolazione russa e russofona dell’Ucraina; le leggi di privatizzazione e svendita della terra su cui mettono le mani le grandi multinazionali come Monsanto; le misure di messa al bando degli oppositori – in primis il Partito comunista ucraino, che prima del golpe del 2014 aveva un peso elettorale con punte del 25% – e poi anche tutti gli altri partiti che non appartenessero al nucleo dirigente di Zelensky). Il lettore può seguire i momenti fondamentali e i passaggi attraverso cui, sin dai primi anni 90, l’Ucraina – che era nell’Urss la repubblica più ricca e popolosa dopo la Russia – entra nel mirino della strategia Usa di farne l’avamposto principale di contrapposizione e attacco alla Federazione russa. È un crescendo di interventi, che portano al colpo di stato di Majdan, dopo il quale la Nato è di fatto sempre più presente nel Paese. Un focus particolare in questa cronologia è dedicato agli eventi politici, diplomatici, economici che precedono la decisione russa del 24 febbraio di intervenire militarmente in Ucraina. Il lettore potrà seguire come vengano seccamente respinte da Usa e Nato le proposte russe, presentate il 15 dicembre 2021, di un trattato complessivo sulle garanzie di sicurezza. Si è prestata attenzione anche ai passaggi parlamentari che hanno reso – a stragrande maggioranza, salvo una piccola, meritoria, e purtroppo anche divisa in diversi microgruppi, pattuglia di opposizione – l’Italia de facto cobelligerante contro la Russia. La cronologia del 2022 (fino a metà agosto), è per ovvie ragioni, particolareggiata e dettagliata e occupa da sola quasi la metà dell’intera sezione.

Una nuova fase della storia mondiale.

La guerra è la questione principale del nostro tempo1

Dagli inizi del 2022 siamo entrati in una nuova fase della storia mondiale, caratterizzata da quella che papa Francesco ha definito la “guerra mondiale a pezzi”, di cui la guerra ucraina è il centro. Essa si svolge su diversi campi. Uno è sicuramente quello militare, ma coinvolge anche il piano economico-finanziario (sanzioni ed economia di guerra) e quello ideologico-culturale, che serve a nascondere la violenta competizione internazionale lanciata dagli Usa contro i Paesi emergenti, ammantata da scontro tra democrazia ed autocrazia.

Proprio perché figlia della fine del mondo unipolare, questa nuova fase può portare con sé ad uno sbocco progressivo: il riconoscimento e l’accettazione del multipolarismo, promosso da un insieme di Paesi che propone la coesistenza pacifica, la cooperazione win win ed il rispetto dei sistemi e della storia di ciascun Paese. Promotori di questa visione sono soprattutto i Brics (Cina, India, Russia, Sudafrica, Brasile) e i Paesi a loro affini, che lavorano alla costruzione di un mondo e di regole capaci di guardare all’interesse generale dell’umanità.

Tuttavia, lo sbocco progressivo non è l’unico possibile, anzi: oggi l’Occidente sembra aver imboccato la strada di uno sbocco reazionario ed estremamente pericoloso: crescono nella borghesia italiana le frazioni interventiste e belliciste a sostegno della guerra permanente che l’imperialismo Usa, potenza economica in declino, alimenta nel tentativo anacronistico di mantenere il dominio unipolare e fermare il corso della storia.

L’Italia, con il governo Draghi, ha perseguito lo sbocco regressivo, adottando la linea più oltranzista tra i Paesi fondatori della Ue, scegliendo – a qualunque prezzo – di intraprendere una guerra di lunga durata e a tutto campo contro la Russia, con l’obbiettivo irrinunciabile della piena “vittoria delle democrazie” e la disfatta e punizione delle “autocrazie”. È una linea che il governo italiano sta portando avanti anche ora, nonostante sia in carica solo “per gli affari correnti”.

Tutto questo avviene mentre all’orizzonte già si intravede una nuova escalation che ha come obbiettivo la guerra alla Cina. Per alcuni settori delle classi dirigenti atlantiche è iniziata una fase caratterizzata dalla guerra come elemento strutturale del presente e del futuro.

Infatti, oggi, la questione della guerra è la questione principale, da cui dipendono tutte le altre scelte politiche sul terreno economico, sociale e istituzionale. In guerra anche l’economia diventa economia di guerra e viene sacrificata ogni scelta in tema ambientale o economico-sociale, togliendo risorse alle spese sociali per dirottarle sulle spese militari. Questa strategia viene portata avanti, nonostante il prezzo sia l’aumento della povertà, deindustrializzazione e pesanti nuove esclusioni sociali. Infine, la guerra giustifica uno stato di emergenza, la trasformazione delle istituzioni, il passaggio a uno stato autoritario attraverso un esecutivo dotato di pieni poteri. Già oggi viene pesantemente stravolta la Carta costituzionale, non solo con riferimento all’art.11 ed all’uso (ripudiato in Costituzione) della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche nella parte relativa alle questioni sociali e del lavoro. Inoltre, vengono ridotti gli spazi e l’agibilità democratica sia sul piano pubblico e politico, sia su quello sindacale e sociale. Non è affatto un’eventualità remota la trasformazione in senso presidenzialistico della nostra Costituzione.

Occorre dunque lavorare per la costruzione di un fronte ampio di forze che ponga come elemento centrale la questione dell’uscita dalla guerra e della neutralità italiana: un “partito della pace” contrapposto al “partito unico dell’atlantismo”, costituito da tutti i partiti – dal Pd di Enrico Letta a FdI di Giorgia Meloni – che si sono posti saldamente all’interno del campo dell’oltranzismo atlantico (l’essenza della “Agenda Draghi”).

Fuori l’Italia dalla guerra!

Note:

1 Cfr. il Contributo di Marx21 in vista delle elezioni del 25 settembre: https://www.marx21.it/editoriali/alle-prossime-elezioni-fuori-litalia-dalla-guerra/.

di Andrea Catone

Per l’analisi della struttura economico-sociale della Russia post-sovietica riportiamo anche la traduzione del Programma del Partito comunista della Federazione russa, adottato nel 2008 e tuttora in vigore. Abbiamo inteso con questo fornire alla conoscenza e riflessione dei comunisti e dei marxisti del nostro Paese un documento ufficiale, frutto dell’elaborazione collettiva dei militanti del partito russo; un partito che ha saputo sapientemente riorganizzarsi dopo la catastrofe del 1991, quando era stato messo al bando, e riemergere nel 1993. Una riorganizzazione che si è avvalsa di una fondamentale rielaborazione teorica che ha fatto i conti con la crisi e il crollo dell’Urss, individuandone alcuni nodi fondamentali e si è dotato di una nuova linea strategica che, tenendo ben salda la bussola del marxismo-leninismo, del riconoscimento del ruolo fondamentale di Stalin nella costruzione del socialismo sovietico, ha elaborato più in profondità la questione nazionale russa.

Il Pcfr ha collegato bene questione nazionale e questione sociale, ha radicato più profondamente la prospettiva del socialismo nella storia e cultura russe. Ha individuato una via nazionale russa al socialismo. Il Pcfr e il suo segretario Zjuganov hanno radicato la prospettiva socialista nella storia e cultura russe, non diversamente da quel che cominciò a fare Mao Zedong con la sinizzazione del marxismo, o come fece Ho Chi minh, che seppe cogliere l’essenza della questione nazionale vietnamita, unificare il popolo e guidarlo alla vittoria prima contro il colonialismo francese, poi contro il più potente stato del mondo, gli Usa. Leggiamo nel Programma che “la questione russa è diventata estremamente acuta negli anni della restaurazione del capitalismo. Oggi i russi sono diventati il popolo più diviso del pianeta. È un vero e proprio genocidio di una grande nazione. Il numero di russi diminuisce. La cultura e la lingua storicamente sviluppate vengono distrutte. Il compito di risolvere la questione russa e la lotta per il socialismo coincidono nella sostanza”.

La propaganda di El’cin si basava principalmente sulla contrapposizione degli interessi nazionali russi a quelli delle altre repubbliche sovietiche, colpevoli, secondo il demagogo russo, di sottrarre risorse alla Russia. Era un’operazione di nazionalismo di destra, che contrapponeva la propria nazione alle altre, in funzione antisovietica. Il nazionalismo antisovietico fu il grimaldello per rompere l’Urss. Totalmente diverso è il patriottismo del Pcfr che non ha mai contrapposto la Russia agli altri popoli. Il Pcfr è profondamente internazionalista, e proprio in quanto tale profondamente radicato sul terreno nazionale. Da alcuni anni è stata costituita l’Unione dei Partiti Comunisti – Skp-Kpss – associazione di partiti comunisti operanti negli Stati costituiti sul territorio di quella che fu l’Unione sovietica.

Nell’attuale duro scontro di classe in campo internazionale, che vede contrapporsi i Paesi che guardano a un nuovo ordine mondiale fondato sul riconoscimento della compresenza di diversi poli, e l’Occidente abbarbicato nella difesa dei suoi privilegi economici e finanziari, derivanti dal precedente colonialismo e dall’attuale dominio imperialistico, la Russia è oggi schierata sulla prima linea del fronte. Al suo interno, il Pcfr svolge un ruolo fondamentale di azione politica e orientamento ideologico-culturale. Le posizioni del Pcfr – che, con i suoi 160mila iscritti (dati del 2019), e gli oltre 10 milioni e mezzo di voti (quasi il 19%) e 57 deputati su 450 nelle elezioni del 2021, è il più grande partito comunista del continente europeo (dato che l’Europa non si riduce alla Ue posta sotto tutela e controllo Usa) – non sono molto note in Italia, o, quando ci si riferisce ad esse, vengono il più delle volte riportate in modo deformato o erroneo, salvo alcune meritorie eccezioni. Per colmare parzialmente questa lacuna, presentiamo qui in traduzione italiana risoluzioni e interventi politici del Partito, a partire dal documento base, il Programma. Seguono poi documenti più recenti, quali l’Appello delle forze patriottiche di sinistra russe (novembre 2021); Venti misure urgenti per trasformare la Russia (marzo 2022); In Ucraina la Russia combatte il neonazismo. Note in merito all’articolo del Dipartimento Internazionale del CC del KKE (16 maggio); e tre interventi di G. Zjuganov: Dobbiamo fare di tutto per avere successo in Ucraina (6 giugno), Combattiamo per gli ideali del potere sovietico (7 giugno), Propongo un dialogo costruttivo! (21 giugno).

L’impatto della guerra economica

Una sezione importante di questo volume è dedicata all’esame dell’altro fronte di guerra, quello economico, dove l’Occidente ha intrapreso “la guerra nucleare finanziaria” – l’espressione è di Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti – contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale. La Ue si è lanciata a corpo morto – e anche qui il ruolo di Draghi è stato particolarmente influente – nella risoluzione (fortemente caldeggiata da Zelensky e dai suoi padrini americani) di troncare quanto prima ogni acquisto di petrolio e gas dalla Russia. Sul tema, l’Associazione Marx21 organizzò un webinar con Demostenes Floros, Senior Energy Economist presso il Centro Europa Ricerche di Roma. Il testo preparato per la Conferenza, nonostante siano trascorsi alcuni mesi dal momento in cui fu presentato, non ha perso un briciolo di attualità. Dati e tabelle illustrati e commentati dall’autore mostravano implacabilmente il vicolo cieco in cui la servile politica verso gli Usa degli oltranzisti euro-atlantici nostrani avrebbe portato l’Italia e i Paesi Ue. Emergeva chiaramente come le dichiarazioni dei principali governi dei Paesi della Ue, e in particolare del governo italiano, di sottrarsi in tempi brevi alla dipendenza dalle importazioni del gas russo fossero ad un tempo velleitarie e mistificanti. L’annunciato ricorso ad importazioni del gas liquefatto dagli Usa sarebbe assolutamente insufficiente, oltre ad incidere con maggiori costi economici (si ipotizza un 30% in più) ed ecologici (i gravi danni che la tecnica di estrazione del fracking provoca all’ecosistema).

Di arma a doppio taglio delle sanzioni, che provocano enormi danni ai Paesi europei, accentuando la crisi dei sistemi politici, con la crescente separazione tra dirigenti e diretti, parla esplicitamente Vladimir Putin nel suo importante intervento al XXV Forum economico internazionale tenutosi a giugno a San Pietroburgo. Ne pubblichiamo la traduzione integrale (basandoci sulle versioni ufficiali in lingua russa e inglese), per la rilevanza dei temi trattati, che travalicano la sfera puramente economica, per delineare una strategia globale dei Paesi e popoli che cercano una propria via autonoma di sviluppo non subalterna ai diktat dell’imperialismo Usa e dei suoi satelliti. Il presidente russo inizia con un’affermazione netta: è finita l’era dell’ordine mondiale unipolare. Ma le classi dirigenti dell’Occidente cercano di invertire il corso della storia e utilizzano ogni mezzo per punire e cancellare chi non si sottomette ai loro diktat. Ieri Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, oggi la Russia, attaccata da una campagna russofobica e da molteplici e pesantissime sanzioni, che il Paese ha però saputo fronteggiare, stabilizzando relativamente il quadro economico. Le cause dell’attuale crisi inflazionistica mondiale risiedono non nella politica russa e nell’operazione militare in Donbass (“Forse sarebbe anche bello sentirsi dire che siamo così potenti e onnipotenti da poter far esplodere l’inflazione in Occidente”, dice ironicamente), ma nelle politiche macroeconomiche irresponsabili perseguite dai Paesi del G7, con l’emissione incontrollata di un’enorme massa di moneta riversatasi nell’acquisto di beni dei Paesi terzi. In opposizione a questa più sofisticata politica neocoloniale predatoria si avviano percorsi di de-dollarizzazione. Putin illustra poi le linee strategiche di sviluppo dell’economia russa nelle condizioni della “nuova era”, con l’individuazione delle priorità. In conclusione, egli afferma, “la tendenza a favore di un modello di crescita multipolare al posto della globalizzazione è sempre più marcata”.

Anche il webinar di Marx21 con Vladimiro Giacché, filosofo-economista marxista, risale al mese di aprile, e anche in questo caso contraddizioni, implicazioni, linee di tendenza risultano chiaramente delineate. La “bomba nucleare” del blocco dello SWIFT ha innescato un processo di “disaccoppiamento” che può accelerare la costruzione di sistemi multilaterali o bilaterali di pagamento alternativi. L’euro, presentato nel 2000 come potenziale alternativa al dollaro, registra il suo fallimento, a causa dell’appiattirsi – antistorico e contrario agli interessi strategici dei Paesi europei – della Ue sugli Usa. Per strangolarla economicamente, gli Usa hanno congelato le riserve della Russia in dollari detenute all’estero, ponendo però una seria ipoteca sul ruolo del dollaro come moneta fiduciaria, grazie a cui essi vivono al di sopra delle loro capacità economiche. Al momento, la manovra degli Usa (sanzioni alla Russia; stop alle ambizioni della Germania di fare da cerniera tra Europa e Asia; cuneo tra Europa e Russia) pare aver successo, ma si è innescato un processo al termine del quale uno degli elementi chiave della dominanza statunitense, quello finanziario, potrebbe risultare fortemente ridimensionato. La vittoria tattica è probabilmente degli Usa, ma essa potrebbe preparare una sconfitta strategica. La Ue, invece, appare destinata a subire sia la sconfitta tattica che quella strategica.

Così, schiacciata sull’oltranzismo Usa, la Ue, nata col peccato originale di un europeismo subordinato all’atlantismo, si suicida. Le sue classi dirigenti sembrano essersi postemasochisticamente al servizio di Washington. Alle politiche oltranziste del blocco euro-atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti – scrive nel suo articolo Ruggero Giacomini – “va opposto un fronte comune delle forze comuniste, progressiste e pacifiste, che trovi la sua base nell’unione dei lavoratori europei. La prospettiva della comune distruzione delle classi in lotta non è la nostra. Ci sono temi e battaglie che richiedono un coordinamento propulsivo sovranazionale, a partire da un confronto e da un impegno comune dei partiti comunisti e delle forze progressiste e pacifiste. L’Europa della Finanza e della Nato non ha niente a che vedere con gli ideali europeisti, spesso a sproposito evocati, di Altiero Spinelli. È auspicabile che sorga su quelle radici e prenda piede un europeismo antimperialista, per un’Europa dei lavoratori, fuori dai blocchi, aperta a relazioni su un piano di uguaglianza con tutti i Paesi, che sia fattore di pace. Il che postula un ribaltamento delle attuali classi dirigenti asservite all’imperialismo nord-americano”.

La cronologia 1989-2022 occupa un numero di pagine molto consistente di questo volume. Si tratta di una cronologia ragionata, che non si limita ad indicare solo date ed eventi, ma ha selezionato anche alcuni passaggi fondamentali nei rapporti internazionali, nella politica interna ucraina (ad esempio le leggi di discriminazione della popolazione russa e russofona dell’Ucraina; le leggi di privatizzazione e svendita della terra su cui mettono le mani le grandi multinazionali come Monsanto; le misure di messa al bando degli oppositori – in primis il Partito comunista ucraino, che prima del golpe del 2014 aveva un peso elettorale con punte del 25% – e poi anche tutti gli altri partiti che non appartenessero al nucleo dirigente di Zelensky). Il lettore può seguire i momenti fondamentali e i passaggi attraverso cui, sin dai primi anni 90, l’Ucraina – che era nell’Urss la repubblica più ricca e popolosa dopo la Russia – entra nel mirino della strategia Usa di farne l’avamposto principale di contrapposizione e attacco alla Federazione russa. È un crescendo di interventi, che portano al colpo di stato di Majdan, dopo il quale la Nato è di fatto sempre più presente nel Paese. Un focus particolare in questa cronologia è dedicato agli eventi politici, diplomatici, economici che precedono la decisione russa del 24 febbraio di intervenire militarmente in Ucraina. Il lettore potrà seguire come vengano seccamente respinte da Usa e Nato le proposte russe, presentate il 15 dicembre 2021, di un trattato complessivo sulle garanzie di sicurezza. Si è prestata attenzione anche ai passaggi parlamentari che hanno reso – a stragrande maggioranza, salvo una piccola, meritoria, e purtroppo anche divisa in diversi microgruppi, pattuglia di opposizione – l’Italia de facto cobelligerante contro la Russia. La cronologia del 2022 (fino a metà agosto), è per ovvie ragioni, particolareggiata e dettagliata e occupa da sola quasi la metà dell’intera sezione.

Una nuova fase della storia mondiale.

La guerra è la questione principale del nostro tempo1

Dagli inizi del 2022 siamo entrati in una nuova fase della storia mondiale, caratterizzata da quella che papa Francesco ha definito la “guerra mondiale a pezzi”, di cui la guerra ucraina è il centro. Essa si svolge su diversi campi. Uno è sicuramente quello militare, ma coinvolge anche il piano economico-finanziario (sanzioni ed economia di guerra) e quello ideologico-culturale, che serve a nascondere la violenta competizione internazionale lanciata dagli Usa contro i Paesi emergenti, ammantata da scontro tra democrazia ed autocrazia.

Proprio perché figlia della fine del mondo unipolare, questa nuova fase può portare con sé ad uno sbocco progressivo: il riconoscimento e l’accettazione del multipolarismo, promosso da un insieme di Paesi che propone la coesistenza pacifica, la cooperazione win win ed il rispetto dei sistemi e della storia di ciascun Paese. Promotori di questa visione sono soprattutto i Brics (Cina, India, Russia, Sudafrica, Brasile) e i Paesi a loro affini, che lavorano alla costruzione di un mondo e di regole capaci di guardare all’interesse generale dell’umanità.

Tuttavia, lo sbocco progressivo non è l’unico possibile, anzi: oggi l’Occidente sembra aver imboccato la strada di uno sbocco reazionario ed estremamente pericoloso: crescono nella borghesia italiana le frazioni interventiste e belliciste a sostegno della guerra permanente che l’imperialismo Usa, potenza economica in declino, alimenta nel tentativo anacronistico di mantenere il dominio unipolare e fermare il corso della storia.

L’Italia, con il governo Draghi, ha perseguito lo sbocco regressivo, adottando la linea più oltranzista tra i Paesi fondatori della Ue, scegliendo – a qualunque prezzo – di intraprendere una guerra di lunga durata e a tutto campo contro la Russia, con l’obbiettivo irrinunciabile della piena “vittoria delle democrazie” e la disfatta e punizione delle “autocrazie”. È una linea che il governo italiano sta portando avanti anche ora, nonostante sia in carica solo “per gli affari correnti”.

Tutto questo avviene mentre all’orizzonte già si intravede una nuova escalation che ha come obbiettivo la guerra alla Cina. Per alcuni settori delle classi dirigenti atlantiche è iniziata una fase caratterizzata dalla guerra come elemento strutturale del presente e del futuro.

Infatti, oggi, la questione della guerra è la questione principale, da cui dipendono tutte le altre scelte politiche sul terreno economico, sociale e istituzionale. In guerra anche l’economia diventa economia di guerra e viene sacrificata ogni scelta in tema ambientale o economico-sociale, togliendo risorse alle spese sociali per dirottarle sulle spese militari. Questa strategia viene portata avanti, nonostante il prezzo sia l’aumento della povertà, deindustrializzazione e pesanti nuove esclusioni sociali. Infine, la guerra giustifica uno stato di emergenza, la trasformazione delle istituzioni, il passaggio a uno stato autoritario attraverso un esecutivo dotato di pieni poteri. Già oggi viene pesantemente stravolta la Carta costituzionale, non solo con riferimento all’art.11 ed all’uso (ripudiato in Costituzione) della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche nella parte relativa alle questioni sociali e del lavoro. Inoltre, vengono ridotti gli spazi e l’agibilità democratica sia sul piano pubblico e politico, sia su quello sindacale e sociale. Non è affatto un’eventualità remota la trasformazione in senso presidenzialistico della nostra Costituzione.

Occorre dunque lavorare per la costruzione di un fronte ampio di forze che ponga come elemento centrale la questione dell’uscita dalla guerra e della neutralità italiana: un “partito della pace” contrapposto al “partito unico dell’atlantismo”, costituito da tutti i partiti – dal Pd di Enrico Letta a FdI di Giorgia Meloni – che si sono posti saldamente all’interno del campo dell’oltranzismo atlantico (l’essenza della “Agenda Draghi”).

Fuori l’Italia dalla guerra!

1 Cfr. il Contributo di Marx21 in vista delle elezioni del 25 settembre: https://www.marx21.it/editoriali/alle-prossime-elezioni-fuori-litalia-dalla-guerra/.

di Andrea Catone

Per l’analisi della struttura economico-sociale della Russia post-sovietica riportiamo anche la traduzione del Programma del Partito comunista della Federazione russa, adottato nel 2008 e tuttora in vigore. Abbiamo inteso con questo fornire alla conoscenza e riflessione dei comunisti e dei marxisti del nostro Paese un documento ufficiale, frutto dell’elaborazione collettiva dei militanti del partito russo; un partito che ha saputo sapientemente riorganizzarsi dopo la catastrofe del 1991, quando era stato messo al bando, e riemergere nel 1993. Una riorganizzazione che si è avvalsa di una fondamentale rielaborazione teorica che ha fatto i conti con la crisi e il crollo dell’Urss, individuandone alcuni nodi fondamentali e si è dotato di una nuova linea strategica che, tenendo ben salda la bussola del marxismo-leninismo, del riconoscimento del ruolo fondamentale di Stalin nella costruzione del socialismo sovietico, ha elaborato più in profondità la questione nazionale russa.

Il Pcfr ha collegato bene questione nazionale e questione sociale, ha radicato più profondamente la prospettiva del socialismo nella storia e cultura russe. Ha individuato una via nazionale russa al socialismo. Il Pcfr e il suo segretario Zjuganov hanno radicato la prospettiva socialista nella storia e cultura russe, non diversamente da quel che cominciò a fare Mao Zedong con la sinizzazione del marxismo, o come fece Ho Chi minh, che seppe cogliere l’essenza della questione nazionale vietnamita, unificare il popolo e guidarlo alla vittoria prima contro il colonialismo francese, poi contro il più potente stato del mondo, gli Usa. Leggiamo nel Programma che “la questione russa è diventata estremamente acuta negli anni della restaurazione del capitalismo. Oggi i russi sono diventati il popolo più diviso del pianeta. È un vero e proprio genocidio di una grande nazione. Il numero di russi diminuisce. La cultura e la lingua storicamente sviluppate vengono distrutte. Il compito di risolvere la questione russa e la lotta per il socialismo coincidono nella sostanza”.

La propaganda di El’cin si basava principalmente sulla contrapposizione degli interessi nazionali russi a quelli delle altre repubbliche sovietiche, colpevoli, secondo il demagogo russo, di sottrarre risorse alla Russia. Era un’operazione di nazionalismo di destra, che contrapponeva la propria nazione alle altre, in funzione antisovietica. Il nazionalismo antisovietico fu il grimaldello per rompere l’Urss. Totalmente diverso è il patriottismo del Pcfr che non ha mai contrapposto la Russia agli altri popoli. Il Pcfr è profondamente internazionalista, e proprio in quanto tale profondamente radicato sul terreno nazionale. Da alcuni anni è stata costituita l’Unione dei Partiti Comunisti – Skp-Kpss – associazione di partiti comunisti operanti negli Stati costituiti sul territorio di quella che fu l’Unione sovietica.

Nell’attuale duro scontro di classe in campo internazionale, che vede contrapporsi i Paesi che guardano a un nuovo ordine mondiale fondato sul riconoscimento della compresenza di diversi poli, e l’Occidente abbarbicato nella difesa dei suoi privilegi economici e finanziari, derivanti dal precedente colonialismo e dall’attuale dominio imperialistico, la Russia è oggi schierata sulla prima linea del fronte. Al suo interno, il Pcfr svolge un ruolo fondamentale di azione politica e orientamento ideologico-culturale. Le posizioni del Pcfr – che, con i suoi 160mila iscritti (dati del 2019), e gli oltre 10 milioni e mezzo di voti (quasi il 19%) e 57 deputati su 450 nelle elezioni del 2021, è il più grande partito comunista del continente europeo (dato che l’Europa non si riduce alla Ue posta sotto tutela e controllo Usa) – non sono molto note in Italia, o, quando ci si riferisce ad esse, vengono il più delle volte riportate in modo deformato o erroneo, salvo alcune meritorie eccezioni. Per colmare parzialmente questa lacuna, presentiamo qui in traduzione italiana risoluzioni e interventi politici del Partito, a partire dal documento base, il Programma. Seguono poi documenti più recenti, quali l’Appello delle forze patriottiche di sinistra russe (novembre 2021); Venti misure urgenti per trasformare la Russia (marzo 2022); In Ucraina la Russia combatte il neonazismo. Note in merito all’articolo del Dipartimento Internazionale del CC del KKE (16 maggio); e tre interventi di G. Zjuganov: Dobbiamo fare di tutto per avere successo in Ucraina (6 giugno), Combattiamo per gli ideali del potere sovietico (7 giugno), Propongo un dialogo costruttivo! (21 giugno).

L’impatto della guerra economica

Una sezione importante di questo volume è dedicata all’esame dell’altro fronte di guerra, quello economico, dove l’Occidente ha intrapreso “la guerra nucleare finanziaria” – l’espressione è di Gal Luft, consulente senior del Consiglio per la sicurezza energetica degli Stati Uniti – contro la Russia e il nuovo ordine finanziario globale. La Ue si è lanciata a corpo morto – e anche qui il ruolo di Draghi è stato particolarmente influente – nella risoluzione (fortemente caldeggiata da Zelensky e dai suoi padrini americani) di troncare quanto prima ogni acquisto di petrolio e gas dalla Russia. Sul tema, l’Associazione Marx21 organizzò un webinar con Demostenes Floros, Senior Energy Economist presso il Centro Europa Ricerche di Roma. Il testo preparato per la Conferenza, nonostante siano trascorsi alcuni mesi dal momento in cui fu presentato, non ha perso un briciolo di attualità. Dati e tabelle illustrati e commentati dall’autore mostravano implacabilmente il vicolo cieco in cui la servile politica verso gli Usa degli oltranzisti euro-atlantici nostrani avrebbe portato l’Italia e i Paesi Ue. Emergeva chiaramente come le dichiarazioni dei principali governi dei Paesi della Ue, e in particolare del governo italiano, di sottrarsi in tempi brevi alla dipendenza dalle importazioni del gas russo fossero ad un tempo velleitarie e mistificanti. L’annunciato ricorso ad importazioni del gas liquefatto dagli Usa sarebbe assolutamente insufficiente, oltre ad incidere con maggiori costi economici (si ipotizza un 30% in più) ed ecologici (i gravi danni che la tecnica di estrazione del fracking provoca all’ecosistema).

Di arma a doppio taglio delle sanzioni, che provocano enormi danni ai Paesi europei, accentuando la crisi dei sistemi politici, con la crescente separazione tra dirigenti e diretti, parla esplicitamente Vladimir Putin nel suo importante intervento al XXV Forum economico internazionale tenutosi a giugno a San Pietroburgo. Ne pubblichiamo la traduzione integrale (basandoci sulle versioni ufficiali in lingua russa e inglese), per la rilevanza dei temi trattati, che travalicano la sfera puramente economica, per delineare una strategia globale dei Paesi e popoli che cercano una propria via autonoma di sviluppo non subalterna ai diktat dell’imperialismo Usa e dei suoi satelliti. Il presidente russo inizia con un’affermazione netta: è finita l’era dell’ordine mondiale unipolare. Ma le classi dirigenti dell’Occidente cercano di invertire il corso della storia e utilizzano ogni mezzo per punire e cancellare chi non si sottomette ai loro diktat. Ieri Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, oggi la Russia, attaccata da una campagna russofobica e da molteplici e pesantissime sanzioni, che il Paese ha però saputo fronteggiare, stabilizzando relativamente il quadro economico. Le cause dell’attuale crisi inflazionistica mondiale risiedono non nella politica russa e nell’operazione militare in Donbass (“Forse sarebbe anche bello sentirsi dire che siamo così potenti e onnipotenti da poter far esplodere l’inflazione in Occidente”, dice ironicamente), ma nelle politiche macroeconomiche irresponsabili perseguite dai Paesi del G7, con l’emissione incontrollata di un’enorme massa di moneta riversatasi nell’acquisto di beni dei Paesi terzi. In opposizione a questa più sofisticata politica neocoloniale predatoria si avviano percorsi di de-dollarizzazione. Putin illustra poi le linee strategiche di sviluppo dell’economia russa nelle condizioni della “nuova era”, con l’individuazione delle priorità. In conclusione, egli afferma, “la tendenza a favore di un modello di crescita multipolare al posto della globalizzazione è sempre più marcata”.

Anche il webinar di Marx21 con Vladimiro Giacché, filosofo-economista marxista, risale al mese di aprile, e anche in questo caso contraddizioni, implicazioni, linee di tendenza risultano chiaramente delineate. La “bomba nucleare” del blocco dello SWIFT ha innescato un processo di “disaccoppiamento” che può accelerare la costruzione di sistemi multilaterali o bilaterali di pagamento alternativi. L’euro, presentato nel 2000 come potenziale alternativa al dollaro, registra il suo fallimento, a causa dell’appiattirsi – antistorico e contrario agli interessi strategici dei Paesi europei – della Ue sugli Usa. Per strangolarla economicamente, gli Usa hanno congelato le riserve della Russia in dollari detenute all’estero, ponendo però una seria ipoteca sul ruolo del dollaro come moneta fiduciaria, grazie a cui essi vivono al di sopra delle loro capacità economiche. Al momento, la manovra degli Usa (sanzioni alla Russia; stop alle ambizioni della Germania di fare da cerniera tra Europa e Asia; cuneo tra Europa e Russia) pare aver successo, ma si è innescato un processo al termine del quale uno degli elementi chiave della dominanza statunitense, quello finanziario, potrebbe risultare fortemente ridimensionato. La vittoria tattica è probabilmente degli Usa, ma essa potrebbe preparare una sconfitta strategica. La Ue, invece, appare destinata a subire sia la sconfitta tattica che quella strategica.

Così, schiacciata sull’oltranzismo Usa, la Ue, nata col peccato originale di un europeismo subordinato all’atlantismo, si suicida. Le sue classi dirigenti sembrano essersi postemasochisticamente al servizio di Washington. Alle politiche oltranziste del blocco euro-atlantico egemonizzato dagli Stati Uniti – scrive nel suo articolo Ruggero Giacomini – “va opposto un fronte comune delle forze comuniste, progressiste e pacifiste, che trovi la sua base nell’unione dei lavoratori europei. La prospettiva della comune distruzione delle classi in lotta non è la nostra. Ci sono temi e battaglie che richiedono un coordinamento propulsivo sovranazionale, a partire da un confronto e da un impegno comune dei partiti comunisti e delle forze progressiste e pacifiste. L’Europa della Finanza e della Nato non ha niente a che vedere con gli ideali europeisti, spesso a sproposito evocati, di Altiero Spinelli. È auspicabile che sorga su quelle radici e prenda piede un europeismo antimperialista, per un’Europa dei lavoratori, fuori dai blocchi, aperta a relazioni su un piano di uguaglianza con tutti i Paesi, che sia fattore di pace. Il che postula un ribaltamento delle attuali classi dirigenti asservite all’imperialismo nord-americano”.

La cronologia 1989-2022 occupa un numero di pagine molto consistente di questo volume. Si tratta di una cronologia ragionata, che non si limita ad indicare solo date ed eventi, ma ha selezionato anche alcuni passaggi fondamentali nei rapporti internazionali, nella politica interna ucraina (ad esempio le leggi di discriminazione della popolazione russa e russofona dell’Ucraina; le leggi di privatizzazione e svendita della terra su cui mettono le mani le grandi multinazionali come Monsanto; le misure di messa al bando degli oppositori – in primis il Partito comunista ucraino, che prima del golpe del 2014 aveva un peso elettorale con punte del 25% – e poi anche tutti gli altri partiti che non appartenessero al nucleo dirigente di Zelensky). Il lettore può seguire i momenti fondamentali e i passaggi attraverso cui, sin dai primi anni 90, l’Ucraina – che era nell’Urss la repubblica più ricca e popolosa dopo la Russia – entra nel mirino della strategia Usa di farne l’avamposto principale di contrapposizione e attacco alla Federazione russa. È un crescendo di interventi, che portano al colpo di stato di Majdan, dopo il quale la Nato è di fatto sempre più presente nel Paese. Un focus particolare in questa cronologia è dedicato agli eventi politici, diplomatici, economici che precedono la decisione russa del 24 febbraio di intervenire militarmente in Ucraina. Il lettore potrà seguire come vengano seccamente respinte da Usa e Nato le proposte russe, presentate il 15 dicembre 2021, di un trattato complessivo sulle garanzie di sicurezza. Si è prestata attenzione anche ai passaggi parlamentari che hanno reso – a stragrande maggioranza, salvo una piccola, meritoria, e purtroppo anche divisa in diversi microgruppi, pattuglia di opposizione – l’Italia de facto cobelligerante contro la Russia. La cronologia del 2022 (fino a metà agosto), è per ovvie ragioni, particolareggiata e dettagliata e occupa da sola quasi la metà dell’intera sezione.

Una nuova fase della storia mondiale.

La guerra è la questione principale del nostro tempo1

Dagli inizi del 2022 siamo entrati in una nuova fase della storia mondiale, caratterizzata da quella che papa Francesco ha definito la “guerra mondiale a pezzi”, di cui la guerra ucraina è il centro. Essa si svolge su diversi campi. Uno è sicuramente quello militare, ma coinvolge anche il piano economico-finanziario (sanzioni ed economia di guerra) e quello ideologico-culturale, che serve a nascondere la violenta competizione internazionale lanciata dagli Usa contro i Paesi emergenti, ammantata da scontro tra democrazia ed autocrazia.

Proprio perché figlia della fine del mondo unipolare, questa nuova fase può portare con sé ad uno sbocco progressivo: il riconoscimento e l’accettazione del multipolarismo, promosso da un insieme di Paesi che propone la coesistenza pacifica, la cooperazione win win ed il rispetto dei sistemi e della storia di ciascun Paese. Promotori di questa visione sono soprattutto i Brics (Cina, India, Russia, Sudafrica, Brasile) e i Paesi a loro affini, che lavorano alla costruzione di un mondo e di regole capaci di guardare all’interesse generale dell’umanità.

Tuttavia, lo sbocco progressivo non è l’unico possibile, anzi: oggi l’Occidente sembra aver imboccato la strada di uno sbocco reazionario ed estremamente pericoloso: crescono nella borghesia italiana le frazioni interventiste e belliciste a sostegno della guerra permanente che l’imperialismo Usa, potenza economica in declino, alimenta nel tentativo anacronistico di mantenere il dominio unipolare e fermare il corso della storia.

L’Italia, con il governo Draghi, ha perseguito lo sbocco regressivo, adottando la linea più oltranzista tra i Paesi fondatori della Ue, scegliendo – a qualunque prezzo – di intraprendere una guerra di lunga durata e a tutto campo contro la Russia, con l’obbiettivo irrinunciabile della piena “vittoria delle democrazie” e la disfatta e punizione delle “autocrazie”. È una linea che il governo italiano sta portando avanti anche ora, nonostante sia in carica solo “per gli affari correnti”.

Tutto questo avviene mentre all’orizzonte già si intravede una nuova escalation che ha come obbiettivo la guerra alla Cina. Per alcuni settori delle classi dirigenti atlantiche è iniziata una fase caratterizzata dalla guerra come elemento strutturale del presente e del futuro.

Infatti, oggi, la questione della guerra è la questione principale, da cui dipendono tutte le altre scelte politiche sul terreno economico, sociale e istituzionale. In guerra anche l’economia diventa economia di guerra e viene sacrificata ogni scelta in tema ambientale o economico-sociale, togliendo risorse alle spese sociali per dirottarle sulle spese militari. Questa strategia viene portata avanti, nonostante il prezzo sia l’aumento della povertà, deindustrializzazione e pesanti nuove esclusioni sociali. Infine, la guerra giustifica uno stato di emergenza, la trasformazione delle istituzioni, il passaggio a uno stato autoritario attraverso un esecutivo dotato di pieni poteri. Già oggi viene pesantemente stravolta la Carta costituzionale, non solo con riferimento all’art.11 ed all’uso (ripudiato in Costituzione) della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche nella parte relativa alle questioni sociali e del lavoro. Inoltre, vengono ridotti gli spazi e l’agibilità democratica sia sul piano pubblico e politico, sia su quello sindacale e sociale. Non è affatto un’eventualità remota la trasformazione in senso presidenzialistico della nostra Costituzione.

Occorre dunque lavorare per la costruzione di un fronte ampio di forze che ponga come elemento centrale la questione dell’uscita dalla guerra e della neutralità italiana: un “partito della pace” contrapposto al “partito unico dell’atlantismo”, costituito da tutti i partiti – dal Pd di Enrico Letta a FdI di Giorgia Meloni – che si sono posti saldamente all’interno del campo dell’oltranzismo atlantico (l’essenza della “Agenda Draghi”).

Fuori l’Italia dalla guerra!

Note:

Unisciti al nostro canale telegram

1 Cfr. il Contributo di Marx21 in vista delle elezioni del 25 settembre: https://www.marx21.it/editoriali/alle-prossime-elezioni-fuori-litalia-dalla-guerra/.