Elezioni europee: un voto contro la guerra e per il multipolarismo

di: Associazione Politico Culturale Marx21

Le elezioni del Parlamento europeo cadono in un periodo difficile per tutto il mondo, le guerre che segnano questo passaggio storico si accompagnano ad una grave crisi economica sempre più vicina a divenire recessione. Il primo dato che emerge è la differenza fra questa drammatica situazione e lo scenario politico italiano, impegnato spesso in scontri verbali totalmente avulsi dalla realtà.

Il non voto

Questo distacco fra popolo e istituzioni si tradurrà nell’ennesimo calo dei votanti. Questa è una tendenza che ha segnato la politica italiana degli ultimi 3-4 decenni. Il dato che i comunisti devono cogliere è che questa astensione non riguarda la “gente” genericamente intesa ma è un’astensione di classe.

In Italia l’emblema dell’offensiva padronale si ebbe all’inizio degli anni ‘90 quando all’abolizione della scala mobile si accompagnò la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario. Se da un lato si colpiva la classe lavoratrice tagliando i salari, dall’altro le si toglieva rappresentanza politica. Il modello statunitense è quello che vuole la politica ristretta alle classi ricche, possiamo definire questa situazione come “neo censuale”: mentre nell’Ottocento il voto veniva vietato ai poveri, oggi formalmente è concesso, ma si è costruito un sistema istituzionale per espellere le istanze popolari dalle istituzioni.

L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è stata compensata dal forte intervento dei privati: negli Stati Uniti l’elezione del Presidente costa centinaia di milioni se non miliardi di dollari e anche in Italia la politica diventa sempre più un “affare per ricchi”. La società che tende alla polarizzazione tra un pugno di super ricchi e ricchi e il resto del popolo non può essere una società democratica. Da qui la tendenza al rafforzamento del potere esecutivo – ieri tentativi di riforma costituzionale di Berlusconi (bocciata nel 2006) e Renzi (bocciata nel 2016), oggi il premierato –, il controllo dell’informazione, le leggi elettorali maggioritarie e lo svuotamento del Parlamento. La protesta cresce anche nel “non voto” ma rimane una protesta individuale, perché non ci sono partiti o forze politiche in grado di accumulare queste energie. Il grande partito unico del capitale non ha bisogno di essere legittimato dal voto popolare: nel Regno italiano post-unitario votava circa il 2% della popolazione ma questo non impediva alle classi proprietarie di perseguire i propri interessi. L’obiettivo, ampiamente raggiunto, è rendere la politica impotente davanti al grande capitale finanziario.

Le grandi battaglie del movimento operaio hanno insegnato che la politica può modificare i rapporti di forza fra le classi sociali, ma i partiti politici potenzialmente portatori delle istanze delle classi popolari sono oggi ridotti a gusci vuoti, comitati elettorali disarticolati e privi di nerbo, il che fa sì che leggi e norme di forte impatto economico, sociale, politico, passino al vaglio del mercato e non della politica.

La situazione sociale

La situazione del lavoro dipendente in Italia è drammaticamente peggiorata negli ultimi 30 anni, il nostro è l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti a fronte di un complessivo aumento del costo della vita a partire, ad esempio, da quello della casa. L’aumento del costo della vita si deve anche al taglio di spesa pubblica sociale, alla crescente contrazione dello Stato sociale. La sanità è il settore in cui i tagli (bipartisan) hanno prodotto i peggiori effetti, con milioni di italiani che non si curano perché non possono permetterselo. Anche in questo caso l’Italia si modella sul sistema statunitense! Sono ridicole le inchieste giornalistiche che denunciano i tagli e i problemi in questo settore: sono gli stessi organi d’informazione che esaltavano i tagli del governo Monti.

La classe operaia italiana si ritrova duramente colpita dalle politiche neoliberiste, senza rappresentanti politici e con sindacati che il più delle volte non sono riusciti a promuovere lotte efficaci; i sindacati confederali, in modi e misura diversi, hanno in diverse occasioni, avallato, attraverso la “concertazione”, le politiche neoliberiste. Al generale ristagno dei salari e alla crisi del welfare state si sono aggiunti negli ultimi anni altri fattori negativi.

Per primo, la crisi del 2007-08, arrivata in Europa nel 2010-11 su spinta degli Stati Uniti sotto forma di crisi del debito. In realtà, l’aumento del debito è stata la conseguenza di uno sbilancio commerciale, ma hanno ripetuto il mantra che la crisi era dovuta al debito per convincere a tagliare salari e servizi sociali.

Sulla “crisi del debito” ancora irrisolta si è innestato, colpendo ulteriormente modi e livello di vita delle masse popolari, il COVID e le modalità in cui la pandemia è stata gestita. Oltre che ad un problema di salute il governo avrebbe dovuto dare risposte alla questione sociale: se si precarizza il rapporto di lavoro e si chiudono molte attività, la conseguenza è consegnare alla povertà una fascia rilevante della popolazione.

Infine, è arrivata la crisi ucraina, o meglio, la gestione che l’Occidente collettivo ne ha fatto.

I comunisti e la guerra

La lotta di classe del proletariato e delle classi oppresse e sfruttate oggi non può non includere e mettere al centro la lotta contro l’imperialismo statunitense, che è, come la storia, e in particolare la storia post 1989 ha ampiamente e incontrovertibilmente mostrato (dall’Iraq alla Jugoslavia, dall’Afghanistan al Medio Oriente e Nord Africa), il principale fomentatore e artefice di guerra. Gli USA e il loro sistema di satelliti, a partire dalla NATO che essi dirigono e controllano, costituiscono oggi il principale fattore di instabilità e di disordine mondiale. Il caso ucraino, se ci si attiene ad una puntuale ricostruzione storica degli eventi post 1991, è da questo punto di vista esemplare (lo colse icasticamente papa Francesco quando nel maggio 2022 disse al direttore del Corriere della Sera che la Nato aveva abbaiato troppo nel cortile di casa della Russia).

Oggi la priorità è la lotta per la pace, la guerra rappresenta un pericolo e un abominio e, come sempre nella storia, viene fatta pagare ai lavoratori e alle classi subalterne.

Nella nuova fase storica che si è aperta intorno agli anni 10 del terzo millennio, con la crisi della pretesa USA di essere gli unici arbitri dei destini del mondo (come avevano affermato nella dottrina strategica degli anni 90, formulata nel primo decennio post-sovietico) e l’emergere di nuovi poli economici, politici culturali, con strategie di sviluppo in cooperazione paritaria con i paesi del mondo (in particolare la proposta della Repubblica Popolare Cinese, formulata insieme al più grande progetto di sviluppo mondiale di tutti i tempi, la “Nuova via della seta”, di operare e muoversi per una comunità di destino condiviso per tutta l’umanità), la lotta per la pace non può essere disgiunta da una nuova concezione dei rapporti internazionali tra Paesi e popoli, il “mondo multipolare”. Il multipolarismo è la vera posta in gioco strategica, di lungo periodo, dell’attuale guerra ucraina. L’assunzione della visione del mondo multipolare può dare alla lotta per la pace una prospettiva solida, concreta, strategica di lungo periodo, per ridisegnare i rapporti tra i diversi paesi e popoli del mondo, nel rispetto delle loro diverse storie millenarie e delle loro civiltà.

I pericoli di guerra vengono dagli Stati Uniti d’America. Non condividiamo le letture di chi presenta il conflitto come scontro fra opposti imperialismi. La contrapposizione è fra chi vuole mantenere un mondo unipolare a guida USA (cioè privilegi e vantaggi per una minoranza, con la negazione e la sopraffazione dei diritti della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta) e chi rivendica un sistema internazionale multipolare e democratico. Quella che si combatte oggi non è una guerra fra Russia e Ucraina o fra Russia e Nato, ma una guerra fra il vecchio e il nuovo mondo. Non è possibile l’equidistanza, tantomeno essa è possibile di fronte al genocidio che l’imperialismo sionista sta compiendo contro il popolo palestinese.

In vista delle elezioni europee non si può tacere sulla politica dell’Ue asservita agli interessi statunitensi. Gli USA, attraverso la guerra in Ucraina, iniziata nel 2014 dopo il colpo di Stato filo Nato, vogliono colpire non solo la Russia ma anche l’Europa, dividendola dalla Russia e ponendola in totale contrapposizione ad essa. Il sabotaggio del North Stream è stato un chiaro messaggio, ampiamente preannunciato, per chiarire che i rapporti commerciali con la Russia, tra cui l’importantissimo settore energetico, devono finire. Questo porta molti paesi europei ad approvvigionarsi dagli Stati Uniti ad un prezzo superiore, portando così la propria industria a perdere competitività. Dirigenti politici e media mainstream accusano la Cina di concorrenza sleale, ma non dicono nulla di fronte agli incentivi che gli USA offrono alle imprese europee per andare a produrre oltre Atlantico. Il paradosso dell’Unione europea è quello di chi continua a pagare per fare una guerra contro i propri interessi.

Le elezioni

Se da una parte Washington ha raggiunto il suo obiettivo strategico di separare e contrapporre Germania e Russia, dall’altra, come emerge da tutti i documenti ufficiali, gli USA indicano nella Cina il nemico strategico, tanto più se continua a svilupparsi in tutti i campi (dall’economico al politico) e rafforza il suo asse con la Russia – che invano la Nato e gli Usa cercano di spezzare – mentre i due paesi consolidano le loro relazioni, come perno di uno schieramento mondiale favorevole alla pace e al multipolarismo. L’Indo-Pacifico diventerà centrale nello scontro globale nei prossimi decenni.

Se questa è, brevemente, la situazione internazionale, non può sfuggire a nessuno che a fronte di un grande malessere sociale la politica è totalmente impreparata. Rispettiamo sinceramente l’impegno di quanti sono impegnati in vario modo nel movimento contro la guerra, ivi compreso il duro lavoro di raccolta delle firme per la presentazione di liste per la pace. Ma non possiamo non registrare, in Italia, una grande debolezza non solo delle forze comuniste e antimperialiste, ma più in generale di uno schieramento coerente e unitario contro la guerra capace di incidere effettivamente sulla politica italiana.

È in questo contesto che si inseriscono le elezioni europee, le prime che avvengono nel pieno di una guerra nel cuore dell’Europa. E per quanto le principali forze atlantiste nel paese facciano di tutto per espungere questo tema dal dibattito politico, esso rappresenta invece il cuore del problema. Perché non potrà mai esserci alcun ruolo politico del Parlamento europeo e dei singoli stati nazionali se non ci si libera dall’abbraccio mortale dell’atlantismo e dal suo sistema di guerra. Né il nostro paese potrà mai sviluppare una propria politica estera autonoma, né una politica commerciale votata alla cooperazione internazionale, se non esce fuori da tale sistema.

Una presenza comunista unitaria, che sia parte dinamica di un fronte sociale e politico contro la guerra che lotta per l’uscita dell’Italia dal sistema di guerra e dalla Nato, manca proprio quando essa sarebbe più necessaria, sia sul piano politico che elettorale.

Ma non per questo è accettabile una posizione astensionista o di disinteresse rispetto alle imminenti elezioni. Perché chi si astiene non incide in alcun modo sulle contraddizioni che pure esistono tra le forze politiche e all’interno di esse, sia nel centro-destra che nel centro-sinistra. Perché riteniamo indispensabile che gli elettori usino il voto come un’arma politica per colpire il partito unico della guerra, ossia l’insieme delle forze politiche che, pur distribuendosi nell’arco parlamentare nazionale tra “maggioranza” ed “opposizione”, hanno un identico programma atlantista e guerrafondaio.

Per queste ragioni, nel quadro dato, riteniamo importante votare per candidati che sentiamo vicini alle nostre posizioni, non solo sulla pace ma anche sull’idea di mondo multipolare: la loro eventuale elezione nel Parlamento Europeo sarebbe decisamente positiva e, comunque, il loro impegno anche dopo il voto dentro il movimento contro la guerra, è importante.

L’obbiettivo di fase resta quello della costruzione di un fronte unito e plurale contro la guerra. Un fronte ampio, in grado di coinvolgere associazioni di massa e movimenti locali, singoli rappresentanti istituzionali e realtà di movimento, consapevoli che la battaglia centrale oggi deve avere come obbiettivo non un make up estetico delle istituzioni europee né una qualche campagna –seppur nobile– in difesa dei diritti individuali, ma la fuoriuscita dell’Italia dal sistema di guerra.