di Loretta Boni, Sezione T.Modotti PdCI Ancona
Campeggiava bello grande in Piazza del Popolo, alla manifestazione del 12 ottobre 2013 “LA VIA MAESTRA” in difesa e per l’applicazione della Costituzione: “VERGOGNA: ILFEMMINICIDIO USATO PER REPRIMERE IL DISSENSO… è questo in sintesi quello che penso del D.L 93 cosiddetto del femmincidio..e invece c’è dentro: disposizioni finanziarie per gli enti locali, progetti pilota per territori a rischio, disposizioni riguardanti i Vigili del Fuoco, disposizioni circa l’uniforme e la bandiera del dipartimento della protezione civile e altre norme sempre in materia di protezione civile, requisiti di sicurezza per gli articoli pirotecnici, norme circa la frode informatica, contrasto al furto di componenti metalliche su infrastrutture e norme in materia di ordine pubblico, di prevenzione e contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale….. cioè l’uso dell’esercito contro i NOTAV. Vi pare una cosa seria? Non è una cosa seria è una ipocrisia e un inganno cui ci hanno abituato da tempo e che le donne subiscono in prima persona.
Si vuol parlare di violenza sulle donne con un approccio securitario senza scalfire di un minimo la cultura dentro la quale tutti i giorni opera quella stessa violenza. Violenza che la crisi del sistema capitalista ha moltiplicato/ingigantito. La violenza ha molte facce e non tutte riconoscibili, dove giocano una parte importante e si intrecciano sentimenti ed emozioni, rapporti economici ineguali, sterotipi, discriminazioni e relazioni di possesso, commercio e sfruttamento di corpi. Si è legiferato sull’onda dell’emergenza e dell’orrore degli episodi continui di donne ammazzate, utilizzando varie aggravanti del reato di violenza. E’ grave che il Governo, presentando il D.L. , abbia in fretta interrotto il dibattito già avviato in Parlamento sulla violenza contro le donne che aveva già coinvolto molte associazioni e reti di associazione che da sempre lavorano con le donne.
E’ come quando parlano di pace e poi continuano a costruire e vendere armi e a finanziare la guerra…
Abbiamo già delle leggi, la realtà è che le denuncie dei reati subiti rimangono inascoltate, minimizzate o addirittura vengono respinte oppure a seguire non vengono attuate misure cautelari a protezione della donna. Lo voglio dire, femminicidio non può essere una parola di cui ci si riempie la bocca per rappresentare le donne come vittime, incapaci, da tutelare, un nuovo pretesto per mettere in campo politiche di ordine pubblico; le donne vogliono uscire da questa trappola e hanno cominciato a rompere gli schemi mandando in frantumi molte sicurezze maschili a partire da quella di avere il corpo della donna a disposizione. In questo la legge 194/73 sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata un grande passo in avanti tant’è che fanno di tutto per non applicarla. Le donne lavorano per l’autodeterminazione e per il riconoscimento. La strada è ancora lunga e questo decreto non segna un passo avanti, anzi. All’ultimo momento nella discussione in Parlamento, in commissione Giustizia è stato aggiunto uno stanziamento per i centri antiviolenza, unici con competenze in materia capaci di una relazione con le donne che vogliono uscire da un rapporto violento. Lo stanziamento è demagogico e ridicolo, 10 milioni di euro non servono forse neanche ad evitare che chiudano le case rifiugio. Servono invece risorse per il potenziamento dei centri antiviolenza, dei centri per uomini maltrattanti, dei consultori e della rete dei servizi. Già la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia a giugno di quest’anno indica la strada: prevenzione, informazione, sensibilizzazione, progetti nelle scuole, formazione degli operatori giuridici, sanitari e forze dell’ordine. Con che soldi? In questo decreto c’è invece una definizione sbagliata degli atti di violenza domestica che vengono definiti tali solamente quando “gravi o non episodici” (art.3) e soprattutto rimane la non revocabilità della querela (art.1). E’ questo per me l’aspetto più controverso: la pretesa di imporre alla donna l’irrevocabilità della querela nei casi gravi, e di concederla in quelli meno gravi e sempre comunque sotto giudizio del magistrato la ritengo una prevaricazione. Il movimento delle donne su questo discute molto e si divide anche. Penso che solo la donna, colpita, malmenata ma solo lei può decidere perché purtroppo, troppo spesso per le donne denunciare la violenza ha significato l’inizio di un calvario che è finito con la fine della vita, se appunto attorno a lei mancano strutture, comprensione, sicurezza. Su questa norma si dovrà monitorare e verificare se la irrevocabilità della querela aiuta veramente le donne o se al contrario produce solo un calo delle denuncie. Per le donne migranti poi, per le quali è ancora più difficile sottrarsi alla violenza, si crea un percorso ad ostacoli per ottenere il permesso di soggiorno: l’art. 4 infatti complica l’accesso al permesso di soggiorno limitandolo ai soli casi di violenza domestica (sempre quella con episodi “gravi o non episodici”), lasciando fuori, ad esempio i casi di violenza del datore di lavoro.
Ancora una volta insomma si parla di violenza sulle donne per rimettere a posto qualcos’altro e… per onorare le larghe intese!