8 marzo

di Delfina Tromboni, Direzione nazionale PdCI
 

bambina scelgoledonneScrive il “Corriere della Sera” del 6 marzo che la bassissima percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle aziende di diversi Paesi, tra cui l’Italia, danneggia la possibilità delle stesse aziende di stare competitivamente sul mercato, tanto che l’Unione Europea sta pensando ad una direttiva che imponga le discusse (e discutibili) “quote rosa” per tali organismi.

E’ davvero curioso che anche in un periodo di crisi gravissima come quella che stiamo attraversando, la questione della presenza di donne nei posti “che contano” , venga portata all’ attenzione degli attori primi di ogni possibile fuoriuscita dalla crisi, le aziende, soltanto in occasione della tradizionale ricorrenza dell’8 marzo. Noi comunisti e comuniste del PdCI abbiamo scritto nel nostro documento congressuale che una maggior presenza di donne nelle attività produttive e, soprattutto, il calcolo del valore del lavoro delle donne nella società, a partire da quello che tutte fanno, cioè il lavoro riproduttivo, alzerebbe il PIL del Paese, di fatto portandolo in una fascia di rischio meno elevato nell’economia europea e mondiale.

Non ce lo siamo inventato, lo scrivono economisti ed economiste di grido. Di quelli/e di cui, evidentemente, il “tecnico” governo Monti non ritiene utile avvalersi, avendo peraltro affidato ad un ministro (perdonate, uso il maschile perchè davvero il femminile non le si addice…) come Fornero, le tematiche del welfare, in cui magicamente, da qualche tempo rientra anche l’organizzazione del mercato del lavoro, ridotta ormai solo alle tutele “compatibili” per i lavoratori e le lavoratrici (o aspiranti tali), massacrati/e dalla precarietà e dalla iperflessibilità del liberismo selvaggio che tanto sta a cuore al capitalismo odierno. La stessa Fornero, ministro pure delle Pari Opportunità, “scopre” come per incanto la drammatica realtà delle violenze famigliari sulle donne (una ogni 4 ore – avete letto giusto: ore in una regione simbolo del Nord Est, il Veneto…), dello stolking e dei femminicidi, proprio a cavallo della Giornata Internazionale delle donne, nonostante le denuncie di chi di donne si occupa tutti i giorni (dalle Case per le donne maltrattate alle Questure di tutt’Italia) si susseguano da anni, nell’indifferenza generale. Che si tramuta in ipocrita scandalo appena si avvicina una data – simbolo: oggi l’8 marzo, ieri il 25 novembre. 

Brutto vezzo in un Paese che non riesce quasi più ad applicare una legge dello Stato, la 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, confermata peraltro da due referendum popolari stra-vinti, non avendo mai voluto discutere seriamente di provvedimenti che rendano l’obiezione di coscienza uno strumento vero di rispetto dei convincimenti individuali e non (com’è ora) un grimaldello per far saltare la possibilità di abortire in strutture pubbliche per le donne e la possibilità di esercitare al meglio la propria professione, senza essere trasformati in “cottimisti” dell’aborto e senza dover pagare un prezzo altissimo in termini di carriera, per i medici e per il personale parasanitario. Per contro, regioni come il Piemonte del Governatore leghista Cota ( ma anche di altro colore…) legiferano per inserire associazioni antiabortiste nei consultori, che “dissuadano” le donne dall’interruzione di gravidanza e magari prospettino soluzioni “all’americana”, come l’adozione preventiva (praticamente l’adozione dei feti…) per chi si lasci convincere ad accettare 250 euro al mese per condurre a termine una gravidanza, del cui frutto godrà un’altra donna, un’altra coppia. E’ troppo “femminista” dichiarare che così si trasformano le donne in uteri ambulanti? in macchine per figliare?

Non so dirlo. Quel che so è che è diventata insopportabile la tiritera sulla “questione femminile” che carsicamente si riscopre ad ogni 8 marzo, senza che nulla muti tra chi avrebbe il potere di mutare le cose, per il resto dell’anno.

C’è però un altro “vezzo” che accompagna la Giornata Internazionale delle donne e che si sta facendo, se possibile, anche più insopportabile: l’elenco infinito di ciò che alle donne ancora manca, cahiers de doléances (letteralmente: quaderni dei punti dolenti), tirati fuori dalla naftalina appena all’orizzonte si prospetta l’arrivo della “data-simbolo” per eccellenza. E giù ad elencare: le donne sono le più tartassate dalla crisi, perdono di più il lavoro, hanno meno opportunità di trovarne un altro anche a termine, sono sottoposte al ricatto delle lettere di dimissioni in bianco o della non riassunzione se incinte, alle molestie sessuali sul luogo di lavoro, allo stolking e al mobbing padronale, devono sobbarcarsi più lavoro familiare e riproduttivo man mano che lo stato sociale viene meno (ora viene anche dichiarato, sempre dai nostri “tecnici” ministri, superato come concetto nell’intera Europa…), si ritrovano sulle spalle bambini, anziani, malati, handicappati, figli, fratelli, mariti disoccupati o in cassa integrazione o in mobilità, sono le più penalizzate dalla “riforma” delle pensioni, rischiano grosso, persino la vita, non quando escono di casa, ma quando ci entrano, dato che in un anno ne uccide più la famiglia che la mafia (170 circa le vittime di mafia nel 2011 contro 200 circa vittime di violenze famigliari nello stesso anno). Tutto vero. Verissimo. Ma come mai la politica prima di tutto, l’informazione in seconda battuta (cartacea o mediatica che sia), il senso comune infine, dimenticano sempre di dire cosa le donne invece hanno? cosa sono nella realtà? cosa sono diventate per la società di oggi e per se stesse? Come sono arrivate ad essere così come sono?

Forse è questa la domanda vera che dobbiamo/possiamo porci in questo 8 marzo 2012, noi partito di comunisti, partito di marxisti, donne e uomini che mirano a liberare tutti e tutte dalle catene che restano, donne comuniste e femministe insieme.

Se ce la poniamo, possiamo cominciare a rispondere, per esempio, che riconoscere ciò che le donne hanno sarebbe altamente sovversivo per la società italiana (ed europea, e mondiale), per la politica, per i rapporti sociali tra i sessi, per i rapporti, persino, tra gli Stati. Perchè da questo riconoscimento non potrebbero non discendere conseguenze concrete, pratiche: come negare l’accesso ad un incarico ad una donna che si riconosce più brava tra quanti, uomini e donne, aspirano a quel medesimo incarico? Come non progettare città dai tempi e dalle strutture a misura di donne (e quindi di bambini, di anziani, ecc. ecc. ecc.) se si riconosce alle donne una maggior competenza, maturata in millenni di supplenza allo Stato, sociale o no che fosse? Come non ripensare servizi, scuole, università se si tiene conto della maggior presenza di donne in questi settori sociali, in termini quantitativi e a diversi livelli di operatività e direzione? Come non riscrivere le regole del sistema produttivo e del sistema finanziario se si riconosce che il mondo si regge sul lavoro riproduttivo che viene compiuto soprattutto dalle donne? Come non finirla di “regolare” i conflitti attraverso le guerre, se si assume il principio di tutte le madri di ogni Paese, secondo cui “i figli NON sono della guerra”? Questa mi sembra la questione.

Il problema oggi è certo, anche, segnalare ciò che manca e cercare di porvi rimedio, ma è forse di più riconoscere ciò che è in campo: un modo differente di tante donne di guardare al mondo, la sapienza femminile, la capacità delle donne di “fare ponte”, costruire rapporti e relazioni che tengono in piedi tutto il nostro incasinatissimo edificio sociale.

Vale per la società, vale per la politica, vale per i partiti. Per il nostro, di comunisti italiani, più ancora che per gli altri.

Buon 8 marzo.