Una piazza per la guerra

europa filospinato

di Francesco Galofaro, Università IULM di Milano

Sabato 15 marzo ero a Roma per lavoro. Ho incrociato alcuni partecipanti alla manifestazione per l’Europa. Di fronte al circolo ufficiali accanto alla biblioteca nazionale, uno di loro ha scherzato: “se vogliamo fare la rivoluzione, è necessario avere contatti politici con l’esercito”. Quante volte ho sentito questa battuta? Tuttavia, all’epoca militavo in Rifondazione comunista: le nostre manifestazioni chiedevano più sanità, più scuola, non più armi.

Poco più tardi, in metropolitana, una signora con la maglietta per la Pace diceva a una compagna che avrebbe gradito “dire due parole” a uno dei tanti politici che avrebbero parlato dal palco. Altri si aggiornavano dopo lungo tempo, raccontavano dei figli, del lavoro … Si trattava chiaramente di persone perbene, genuinamente idealiste. Che abbiano sbagliato manifestazione?

Più ascoltavo le chiacchiere della sinistra europeista e più mi convincevo che Michele Serra e gli altri promotori della manifestazione dovrebbero essere incriminati per circonvenzione di incapace. Una manipolazione consapevole, dato che Serra ha invitato i politici “ad essere più stupidi, come i manifestanti accorsi in piazza”. Una piazza in cui persone che si considerano pacifiste, o addirittura rivoluzionarie, hanno manifestato con Calenda, secondo cui “la pace deve essere garantita da un’Europa forte anche militarmente”.

Quel giorno, Repubblica è uscita con una copertina di Altan: gli operai marciano compatti e sorridenti verso la manifestazione europea. Era difficile però non vedere in loro un drappello di eroi diretti al fronte a passo dell’oca, come nella buona, vecchia propaganda di guerra.

Ora, la comunicazione spesso è in grado di rovesciare la realtà. La composizione eterogenea e contraddittoria di quella piazza è stata usata per accreditare l’idea di una manifestazione che unisce; in realtà ha diviso: chi ha aderito portando la propria bandiera, lo ha fatto per differenziarsi. C’è una sinistra che vota per il riarmo e una che vota contro; una parte del mondo cattolico si ritrova sotto le bandiere arcobaleno e una parte appoggia il militarismo stolido di Mattarella.

La stessa Unione Europea è un esempio di realtà rovesciata. La metropolitana di Roma è tappezzata da manifesti sulla Next Generation EU “per una sanità più accessibile”. In realtà le politiche restrittive della Commissione e il patto di stabilità sono il motivo per cui, negli anni, lo Stato italiano e le regioni hanno disinvestito nella sanità, non hanno assunto medici e personale sanitario. Se i cittadini devono attendere mesi per esami e interventi essenziali possono ringraziare la “sanità più accessibile” della UE. È questa, mi chiedo, l’Europa per la quale questi cittadini manifestano?

La giustificazione del riarmo e di chi vuole proseguire la guerra a oltranza oppone le democrazie liberali alle autocrazie. Gli USA, fino a ieri catalogati tra le prime, sono passati nel gruppo delle seconde. Ma è davvero possibile considerare una democrazia l’Unione europea? La Commissione europea è un ente di secondo grado i cui membri sono nominati dagli Stati dell’Unione sulla base di rapporti di forza; le massime istituzioni europee sono espressioni degli Stati; il Parlamento europeo, l’unico a venire eletto, non ha il potere di iniziativa legislativa e sembra più sensibile agli interessi delle lobby che a quelli degli elettori.

Forse è tempo che la sinistra si renda conto che gli ideali europeisti hanno perso la propria “spinta propulsiva”. Dopo la caduta del comunismo, il compimento dell’Unione europea ha fornito alla sinistra una valida utopia alternativa nel nome della quale si sono imposti sacrifici. In questo modo si è smantellata la socialdemocrazia italiana. I cittadini sono stati derubati della proprietà pubblica. La qualità dell’istruzione e del nostro sistema sanitario è stata pregiudicata. Quello che si è ottenuto non è un’altra Europa; è questa Europa. Non l’Europa dei popoli, ma l’Unione europea della conservazione, dell’ordoliberismo, dell’austerità, del riarmo. Non l’Europa senza frontiere, ma i confini militarizzati dell’Unione europea. Non l’Europa della pace, ma l’Unione europea delle guerre e dei conflitti che, dai Balcani all’Ucraina, da venticinque anni compromettono la stabilità mondiale. Non è questa l’Europa per cui da giovani abbiamo lottato, per la quale ci siamo lasciati illudere. Noi avevamo ordinato una pizza con pomodorini, bufala e basilico fresco; quella che è arrivata è al pollo, mais e ananas. Non dobbiamo difenderla, perché una pizza vale l’altra; dobbiamo rispedirla al mittente.

Una seconda manifestazione alternativa, per la pace, con parole d’ordine più semplici e chiare, è stata indetta per il 5 aprile. Mi chiedo se i tanti pacifisti che sono andati a Roma il 15 marzo torneranno in piazza. Il messaggio “prima l’Unione europea, poi, eventualmente, la pace” è devastante. 

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