Un’analisi della Riforma Fornero sull’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori attraverso la lente della Law & Economics

di Luca Vanzini

fornero riformaCome introduzione a quest’articolo è necessaria una piccola premessa. La Law & Economics, detta in italiano Analisi Economica del Diritto, è una materia che si è evoluta negli Stati Uniti nel corso del secondo dopoguerra. Essa cerca di utilizzare la teoria economica per calcolare gli effetti della legge e stabilire quale sia la legge migliore, a prescindere da concetti di equità e giustizia. Nonostante sia un approccio discutibile, esso è uno strumento importante per chiunque. Infatti il nostro Governo, come la stessa Unione Europea, legifera in base alla Law & Economics e la stessa riforma Fornero è stata motivata in questa maniera. E’ quindi necessario padroneggiare bene questa materia per poter rispondere colpo su colpo sul loro stesso terreno. Purtroppo molti termini tecnici sono in inglese e quindi nel corso dell’articolo saranno presentati affiancati a non sempre esaustive traduzioni. Ci si scusa anche se l’articolo potrà sembrare difficile, eterodosso e oscuro e quindi si consiglia una breve lettura preliminare su Wikipedia per avere un’infarinatura del gergo e del modus operandi. Buona lettura.

Negli ultimi mesi, il Governo presieduto dal Professor Monti è stato particolarmente impegnato nel lavorare su numerose riforme finalizzate ad uscire dalla recessione. Tra queste, una delle più controverse riguarda l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Infatti, il Governo afferma, tra le altre ragioni, che questa parte di giurisprudenza del lavoro danneggia le aziende e riduce la loro volontà di assumere. Tuttavia questa affermazione è molto controversa e apertamente criticata da alcuni sindacati e da parte della popolazione. Dall’altro lato, Confindustria ha espresso la propria insoddisfazione per l’eccessiva timidezza della riforma. Il dibattito è quindi molto acceso, ma in massima parte mancante di fondamenta teoriche. Nonostante ciò, c’è un’interessante rivendicazione da parte di Franco De Benedetti sul Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria. Infatti, per l’autore, la riforma cambierà finalmente le regole sui licenziamenti da property right (diritto di proprietà) a liability right (diritto all’indennizzo) in quanto il posto di lavoro non è posseduto dal lavoratore1. Questa è stata dunque un’affermazione unica che potrebbe dare al dibattito le basi teoriche necessarie. L’obbiettivo di questo articolo è di conseguenza investigare tale proposizione attraverso un’adeguata analisi dell’attuale diritto del lavoro e attraverso la lente della Law & Economics. In tale indagine, il primo passo è analizzare quale sia l’impatto della nuova riforma sulla regolamentazione dei licenziamenti. Tuttavia, per effettuare una migliore e obiettiva analisi, si procederà prima con un modello base di licenziamento e poi si introdurranno le sue varianti, un approccio comparabile a quello delle derivate parziali in economia. Per licenziamento qui si intende l’interruzione unilaterale del contrattato di lavoro da parte del datore di lavoro come è regolato dagli articoli 18 della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e dall’articolo 2118 del Codice Civile. In particolare, questo secondo articolo, che sancisce la libertà del datore di lavoro di licenziare dato preavviso, non viene toccato dalla riforma. Quindi la legge permette i licenziamenti con o senza la riforma. Altri articoli successivi regolano poi tutti le altre categorie di licenziamento, dove le più importanti sono l’individuale e il collettivo. Tuttavia, poiché questi altri articoli non sono toccati, li si può ignorare in questa analisi. Perciò, è possibile dire, a questo stadio, che il lavoratore non ha né property right né liability right sul suo posto di lavoro, che non è un entitlement (oggetto di diritti). Infatti, si può sostenere che nei licenziamenti il vero entitlement è il futuro flusso di lavoro dal lavoratore al datore di lavoro insieme al corrispondente flusso futuro di denaro procedente in senso opposto. Quindi il licenziamento può essere visto come una opzione put esercitata dal datore di lavoro che obbliga il lavoratore a riacquistare il suo futuro flusso di lavoro in cambio del futuro flusso di denaro, annullando quindi le posizioni reciproche. Tuttavia, questo riguarda appunto i futuri flussi di lavoroe denaro e non il posto di lavoro per il quale non c’è né compensazione, né scambio, né accordo. Anche la compensazione per i licenziamenti senza previa notifica è più tort law che diritto contrattuale. Quindi si deve affermare chiaramente di nuovo che il posto di lavoro non è un entitlement. Detto questo, l’analisi deve quindi procedere con l’articolo 18, che regola i licenziamenti discriminatori, per verificare cosa De Benedetti intendesse realmente. Qui il Governo ha proposto numerosi cambiamenti, riguardanti specialmente il processo di reintegrazione, che verranno brevemente riassunti secondo la categoria sotto la quale il licenziamento discriminatorio è motivato ufficialmente2. Nei licenziamenti individuali discriminatori non c’è alcun cambiamento. Dall’altro lato, nei licenziamenti individuali per giustificato motivo soggettivo o giusta causa ce ne sono molti. La reintegrazione, prima certa e obbligatoria, diventa limitata a tre precise e rare fattispecie (il lavoratore non ha commesso il fatto, il fatto non sussiste, il contratto stabilisce sanzioni minore per lo stesso fatto) e condizionale alla discrezione del giudice. In ogni altro caso la riforma afferma che deve essere attribuita una compensazione monetaria che deve essere, non più uguale all’intero salaria perduto come prima, ma non maggiore di 12 mensilità da cui andrebbe dedotto il salario ipotetico che il lavoratore avrebbe potuto guadagnare se si fosse applicato diligentemente nella ricerca di un altro lavoro (invece di far causa). Similmente, nei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (anche chiamati per motivi economici), la reintegrazione diventa una mera possibilità e solo nel caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, mentre ogni altro caso viene risolto con una compensazione monetaria. Riguardo poi la procedura dei licenziamenti individuali, il Governo ha reso obbligatorio il precedentemente solo opzionale passaggio attraverso la Commissione di Conciliazione e ha reso il rigetto della proposta di conciliazione da parte del lavoratore un pregiudizio negativo a suo sfavore nel processo. Riguardo poi i licenziamenti nulli o inefficaci per vizi di forma o procedura, il Governo ha sostituito la reintegrazione con una compensazione dimezzata, che il lavoratore può rifiutare per andare a processo secondo quanto scritto sopra. Come può facilmente apparire ad una prima vista, questo passaggio dalla reintegrazione alla compensazione in così tanti casi può tranquillamente sembrare un passaggio da property rights a liability rights nella regolamentazione dei licenziamenti. Tuttavia, è stato dimostrato prima come nel licenziamento nella sua forma pura non ci siano né property rights né liability rights sul posto di lavoro che il lavoratore non possiede; gli unici entitlement sono i due flussi futuri di lavoro e denaro, ma, come si è visto, essi non cambiano. Dunque, se nell’universale (licenziamento puro) non c’è entitlement sul posto di lavoro, non ci può essere entitlement nemmeno nelle sue sottocategorie. Quindi il passaggio apparente nei licenziamenti discriminatori non si riferisce al licenziamento in sé. E’ quindi necessario approfondire l’analisi guardando all’articolo 18 da un’altra prospettiva. Infatti, se, invece di vederlo come legiferante sui licenziamenti che comprendono discriminazione, lo si considera come legiferante su casi di discriminazione che comprendono licenziamenti, tutto sarà più facile. Detto in altre parole, usando una metafora matematica, se l’articolo 18 è una funzione z di x (licenziamenti) e y (discriminazione), il metodo adeguato di analizzare i cambiamenti non è la derivata rispetto a x, ma rispetto a y. E’ quindi possibile capire come il vero passaggio avvenga nella discriminazione e riguardi una transizione da diritto inalienabile a liability right. Infatti, prima della riforma, l’articolo 18 dava ai lavoratori un diritto inalienabile sulla discriminazione e, usando la optional law, una put condizionale sulle loro dimissioni attivata dal licenziamento discriminatorio. La ragione dietro ciò è la differenza in potere tra lavoratore e datore di lavoro, dove il primo è la parte debole e quindi meritevole di protezione in quanto lo scopo primo della legge è evitare un mondo dove sia la forza a dettare la ragione (“might makes right”).Più in dettaglio, l’inalienabilità protegge la parte debole che in condizione di bisogno potrebbe altrimenti essere obbligata a cedere il proprio diritto di uguaglianza (contratto quindi entrato sotto bisogno o minaccia), mentre la put gli permette di scappare da un ambiente discriminatorio (il lavoratore vede il suo diritto di uguaglianza riaffermato, ma, poiché l’ambiente di lavoro è divenuto discriminatorio a causa della azioni del datore di lavoro, il lavoratore può dimettersi e ottenere una compensazione monetaria per il costo di cercare un lavoro nuovo e non discriminatorio; reintegrazione e dimissioni si annullano a vicenda). Dall’altro lato invece, la riforma supporta una visione completamente diversa dell’argomento. Infatti, con liability rights sulla discriminazione, il diritto di uguaglianza diventa espropriabile. Tuttavia questo porta ad un mondo dove la forza detta ragione (“might makes right”), quando per forza (might) possiamo intendere anche forza finanziaria, cioè il denaro. E’ quindi possibile concludere che la riforma ha due risultati. Il primo è un passaggio dall’inalienabilità con una put a liability rights sulla discriminazione e quindi sull’uguaglianza. Il secondo è un indebolimento degli entitlement e quindi un passo in avanti verso un mondo governato dalla forza, bruta, economica o di qualsiasi altro tipo. Infine, ci sono due ultime considerazioni. Prima di tutto, la riforma non riguarda i licenziamenti, come proclamato dal Governo, ma l’uguaglianza e la discriminazione. In secondo luogo, tale riforma è incostituzionale poiché la Costituzione Italiana stabilisce chiaramente che l’uguaglianza è un diritto inalienabile (art. 2 e art. 3, ma anche art. 1 e art. 4 sono coinvolti).

Luca Vanzini

NOTE

1 Franco De Benedetti, I veri effetti e quelli invisibili, Il Sole 24 ore, 23.03.2012
2 Piergiorgio Desantis, L’articolo 18 flessibile dopo la (contro) riforma del lavoro, Marx21, 17.04.2012


A Law and Economics approach to the reform of art.18 of the Statute of Workers In the last months the Italian Government chaired by Professor Monti has been particularly busy in dealing with many reforms aimed at escaping the recession. Among these, one of the most controversial involves the article 18 of the Statute of the Workers. The Government indeed states, among several reasons, that this piece of legislation harms the firms and reduces their willingness to hire. Nevertheless this statement is highly controversial and openly criticised by trade unions and large part of the population. On the other hand, Confindustria expressed its dissatisfaction as there are not enough step onwards. The debate is hence very heated, but mostly lacking theoretical groundings. Nevertheless there is an interesting claim by Franco De Benedetti on Confindustria’s newspaper that the reform will finally shift rules on dismissal from property to liability as the job place is not owned by the worker1. This has been an unique statement that may give the basis needed. This paper aims hence at investigating such proposition through a proper analysis of the current labour law and using the law and economics approach. In such investigation, the first step is so to analyse which is the effect of the new reform on dismissal regulation. However, to perform a better and unbiased investigation, it will proceed with a basic model of dismissals first and then will introduce its variations, an approach comparable to the use of partial derivatives in economics. For dismissal here it is intended the unilateral interruption of the job contract by the employer that is regulated by article 18 of law 300/1970 (The Statute of Workers) and by article 2118 of the Civil Code. In particular, this second article, stating that the employer is free to fire upon notice, is not changed. Hence the law allows dismissals with or without the reform. Other further articles regulate then all the different categories of dismissal, where the most important are individual and collective. However, since they are not touched by the reform, they can be ignored in this analysis. Therefore, it is possible to say, at this stage, that the worker has no right, neither of property nor of liability, to his job place, which is not an entitlement. Indeed, it can be argued that in dismissals the real entitlement is the future stream of work from the employee to the employer together with the corresponding future cash flow going the other way round. Hence the dismissal can be seen as a put option exercised by the employer who compels the employee to buy back its future stream of work in exchange for the future cash flow, where the things clear each other’s position. However this involves the future stream of work and cash and not the job place for which there is no compensation or exchange or agreement. Even the compensation for dismissal without notice is tort law rather than contract law. Hence it must be stated clearly again that the job place is not an entitlement. Said this, the analysis must hence proceed with the art.18 which deals with discriminatory dismissals to check what De Benedetti really meant. Here the Government proposed many changes, regarding especially the reintegration process, that will be briefly summarized according to the category under which the discriminatory dismissal is officially filed2. On individual discriminatory dismissals there is no change. On the other hand, on individual dismissals for justified subjective reason or proper reason there are many. Reintegration, that was before compulsory in case of discrimination, becomes limited to three specific cases (the worker didn’t do himself the fact used to fire, the fact never happened, the contract stated different and lower sanction for that behaviour) and conditional to the judge’s discretion. In any other case the reform states a monetary compensation must be awarded, no more equal to the whole lost wage, but just up to twelve months and depending on the expected wage the worker could have earned if he would have diligently looked for another job (hence lessening the burden of the guilty employer). Similarly, on individual dismissals for justified objective reason (also called economicallyjustified), reintegration becomes a possibility and only in case of overt absence of the cause of the dismissal, while any other case is closed with a compensation. Regarding then the procedure of individual dismissals, the Government made compulsory the previously optional passage through the Conciliation Commission and made rejection of the conciliation proposal by the worker a negative bias for him in the trial. Regarding then dismissals null and void by “forma” or procedure, the Government substituted reintegration with a halved compensation, the worker can refuse to proceed with a trial as in the cases above. As it can easily appear at first sight, this shift from reintegration to compensation in so many cases well resemble a shift from property rights to liability rights in dismissal regulation. However, it was demonstrated before that in the pure dismissal there is neither property rights nor liability rights on the job place as the worker is not entitled with it; the only entitlements are the two future streams of cash and work, but it has been shown that they do not change. Therefore, if in the universal (pure dismissal) there is no entitlement on the job place, then there cannot be any entitlement also in its sub-categories. Hence the apparent shift in discriminatory dismissals does not refer to the dismissal. It is so necessary to deepen the analysis, looking at the article 18 from another perspective. Indeed, if, instead of seeing it as ruling over dismissals involving discrimination, it is considered as ruling over discrimination involving dismissals, everything will be far easier. Namely, using a mathematical metaphor, if the article 18 is a function z of x (dismissals) and y (discrimination), the proper method to analyse the change is not the derivative respect to x, but to y with x constant. It is hence possible to understand that the true shift happens in discrimination and involves a transition from inalienability rule to liability right. Indeed, before the reform, article 18 gave workers an inalienability rule on discrimination and, using optional law, a conditional put on their resignation activated by the discriminatory dismissal. The rational behind this is the difference in power between employee and employer, where the former is the weaker party and hence is deserving protection as the law must avoid a “might makes right” world. More in detail, the inalienability rule protects the weaker party that in condition of need may be otherwise forced to cede his right of equality (contract hence entered under duress or need), while the put allows him to escape a discriminatory environment (the worker sees his equality enforced, but, as the working environment has changed and become openly discriminatory because of employers actions, he can resign and obtain a monetary compensation for the cost of looking for a non-discriminatory job; reintegration and resignation then cancel each other). On the other hand, the reform openly enforces a completely different view of the topic. Indeed, with a liability rule on discrimination, the right to equality becomes dispossessable. However this leads to a “might makes right” world, where for might it can be meant also financial might, namely money. It is hence possible to conclude that the reform has two outcomes. The first one is a shift from inalienability rule with a put to liability rule on discrimination and, hence, equality. The second one is a weakening of entitlements and hence a step towards a “might makes right” world. Finally, there are also two last considerations. First of all, the reform does not regard dismissals as claimed by the Government, but discrimination. Secondly, there are serious and grounded issues of unconstitutionality as the Italian Constitution itself states clearly that equality is an inalienable right (art. 2 and art. 3, but also art. 1 and art. 4 are involved in this case).
 

1 Franco De Benedetti, I veri effetti e quelli invisibili, Il Sole 24 ore, 23.03.2012
2 Piergiorgio Desantis, L’articolo 18 flessibile dopo la (contro) riforma del lavoro, Marx21, 17.04.2012