di Francesco Piccioni | da il Manifesto
Il governo ha ignorato il documento ufficiale che l’istituto previdenziale aveva preparato prima del «salva Italia» sull’aumento dell’età pensionabile
C’è sbaglio e sbaglio. Quello commesso dal ministro del welfare, Elsa Fornero, è indegno persino di un ragazzo che abbia studiato all’«avviamento» invece che alle normali scuole medie…
La Relazione Inps al ministero del lavoro parla infatti di 390.200 persone che avrebbero diritto di andare in pensione secondo le vecchie regole ma intanto hanno perso il lavoro o hanno visto scadere il periodo coperto dagli ammortizzatori sociali. Si tratta insomma di persone che non hanno più un reddito e nemmeno la guadagnatissima pensione: «esodati», è la definizione appiccicata loro. Ma per Fornero, che ha fatto da poco approvare un decreto apposito, sono soltanto 65.000. Non pochi, perché si tratta di lavoratori che si sono visti stracciare in faccia dallo Stato un diritto di legge (e la legge non può mai essere retroattiva). La differenza è però grande quanto i residenti a Firenze, pari quasi al 5% dell’intera popolazione al lavoro attualmente in Italia.
La Relazione è stata firmata il 22 maggio dal direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, ed è molto dettagliata su causali e cifre. Non è insomma un’indiscrezione. Gli errori macroscopici del governo riguarderebbero soprattutto il bacino della «prosecuzioni volontarie» (i nati dal 1946 in poi autorizzati a effettuare versamenti volontari secondo un certo piano contributivo) e i cosiddetti «cessati», ovvero quanti sono usciti dal lavoro per licenziamento, dimissioni o altro tra il 2009 e il 2011; ma che non hanno trovato un altro lavoro e hanno più di 53 anni. I primi sono 133.00, i secondi 180.000. Le previsioni di Fornero parlavano di 10.250 e 6.890.
Anche i lavoratori in mobilità erano stati mal calcolati (in modo sorprendente, visto che è il ministero del lavoro a firmare gli accordi relativi): 45.000 invece di 29.050. Scarti minori per altre categorie meno popolate.
Come già accaduto altre volte, l’Inps è stata costretta o convinta a diramare una «nota» per «precisare» che comunque «il numero dei salvaguardati» resta quello di 65.000. E qui è scattata la reazione sindacale che chiede di farla finita con il «balletto delle cifre», garantendo una «soluzione previdenziale» per tutti. Come da legge.
Le incertezze sulle stime, anche da parte dei sindacati che fin da subito avevano parlato di «oltre 100.000 persone», salendo poi col passare delle settimane, dipendono dal fatto si scopre di essere «esodati» quando si esce dal lavoro in base ad accordi firmati mesi o anni prima. Tipico il caso delle «mobilità lunghe” decise per alcune grandi aziende come Alitalia, Fiat, ecc.
Al di là dei pasticci, comunque, resta il fatto lampante di un governo che di «tecnico» ha soltanto la fama; e che di fronte all’indubbia complessità stratificata della normativa esistente si è comportato come la versione comica di Alessandro Magno, calando la spada su «nodi» tragicamnete composti di persone, aspettative, leggi. È insomma una pessima prova sul fronte delle «competenze» che si è riproposta pari pari sulla vicenda dell’Imu. Anche qui, di fronte alle difficoltà di calcolo evidenziate da Caf e commercialisti (è stata reintrodotta la tassa sulla casa e contemporaneamente innalzata la rendita catastale), segnale di norme scritte di fretta e indifferenza al «merito» concreto del problema, il governo ha deciso di tirare dritto e non prolungare i termini.
In qualsiasi paese liberale a noi vicino – Francia, Germania, Austria, scegliete voi – un ministro che commette di questi svarioni si sarebbe dimesso anche senza un invito esplicito. Fornero no. In ogni caso, il Parlamento potrebbe a questo punto bloccare l’approvazione del terzo colpo di scure sulla coesione sociale (la cosiddetta «riforma del mercato del lavoro, che cancella l’art. 18 e smantella gra parte dell’efficacia degli ammortizzatori). Sarebbe un gesto di saggezza. Non «tecnica». Solo politica. Persino un po’ umana.