Relazione dell’assemblea “Il caso Marlane-Marzotto: quando il lavoro uccide”

di Giorgio Langella

vicenza 240212 web24 febbraio 2012

La Marlane-Marzotto è un esempio eclatante di un modello di sviluppo che punta a una sola “crescita”, quella dello sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente. Lo stabilimento di Praia nasce con consistenti contributi statali (la cassa del mezzogiorno). Il primo proprietario è il piemontese conte Rivetti, viene poi venduto alla Lanerossi (IMI e ENI) e, infine, passa alla Marzotto nel 1987 quando questa acquista la Lanerossi (e, di conseguenza, la Marlane) per 173 miliardi di lire.

La Marlane è l’unica fabbrica della zona e, questo, comporta il poter agire in una specie monopolio. Prendere o lasciare. E per “prendere” bisogna subire, adeguarsi, perdere la dignità. Le condizioni di lavoro sono quelle stabilite dal proprietario. I lavoratori rimangono sempre sotto ricatto occupazionale. Da quello che può leggere nelle rare pubblicazioni che ne scrivono e da ciò che i testimoni ci fanno conoscere, le condizioni di lavoro sono pessime. I fumi invadono lo stabilimento, tolgono il respiro. Gli accertamenti sanitari non vengono fatti o sono assolutamente superficiali. I lavoratori sono comandati a interrare i rifiuti e gli scarti di lavorazione nel terreno circostante la fabbrica.

I risultati sono disastrosi. Tantissimi lavoratori si ammalano di tumore. Decine muoiono (stime attendibili ne segnalano molti più di ottanta, forse oltre cento). Il tutto passa sotto silenzio. Omertà, connivenze (anche di chi dovrebbe vigilare e mobilitarsi), ricatti. Il silenzio è uno degli aspetti caratteristici di questa vicenda. L’indifferenza, imposta anche dall’assenza di notizie e nel non promuovere indagini giornalistiche, porterebbe chiunque alla rassegnazione. A Praia a Mare non è così. Soprattutto un ex-operaio (anch’egli ammalato di cancro), Luigi Pacchiano, inizia la battaglia per la verità e la giustizia. Siamo nella seconda metà degli anni ’90. Raccoglie informazioni, le mette in relazione tra loro, mobilita i lavoratori, le famiglie … inizia la lotta. Viene affiancato e sostenuto da “piccoli sindacati” (COBAS), da qualche ambientalista, da qualche giornalista e scrittore che “non segue gli schemi” (Francesco Cirillo, Giulia Zanfino). Si costruisce con pazienza il germe di quella coscienza che è necessaria per poter contrastare lo strapotere padronale e la “politica del silenzio” che avvolge lo stabilimento di Praia a Mare. Per tre volte il “caso Marlane” viene archiviato. Pacchiano continua con ostinazione la battaglia. Nel frattempo (è il 2004) la fabbrica viene chiusa. Le lavorazioni vengono spostate all’estero (Nova Mosilana nella Repubblica Ceca e in Romania). Non “conviene” più tenerle in Italia. I lavoratori restano senza lavoro. Vengono “scartati”, pezzi di ricambio che non servono più. Poi la svolta. Circa tre anni fa il “caso Marlane” viene riaperto. Si procede con le indagini. Si stabilisce che … si … Pacchiano, i lavoratori della Marlane e le famiglie di chi è deceduto hanno ragione. Alla Marlane è evidentemente successo qualcosa di molto strano, di estremamente anomalo. Una percentuale di ammalati e di morti enorme in relazione al totale dei lavoratori (circa 1050 in quasi 40 anni di attività). Un disastro ambientale poco misurabile viste le dimensioni.

A Vicenza il Partito dei Comunisti Italiani, tre anni fa, ha iniziato una battaglia. Il tentativo di rendere pubblico quello che era successo lontano, in Calabria, in uno stabilimento di proprietà della Marzotto.
 

Si vorrebbero coinvolgere gli organi di informazione, i partiti politici, le istituzioni locali, i sindacati vicentini. La risposta è il silenzio. Qualche sussurro appena. In sostanza si raccoglie solo “indifferenza”. L’unico che si getta anima e corpo in questa battaglia è Vicenzapiù (un giornale on-line e quindicinale cartaceo). Vicenzapiù permette di avere una voce, di mantenere viva la speranza di poter capire, di conoscere quello che è successo e di ottenere, anche per questo, cose che dovrebbero essere normali: verità e giustizia.
 

Il 12 novembre 2010 vengono rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla omissione delle cautele sul lavoro, lesioni colpose gravissime, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e disastro ambientale doloso, Vincenzo Benincasa, Lorenzo Bosetti, Salvatore Cristallino, Antonio Favrin, Giuseppe Ferrari, Ernesto Fugazzola, Jean De Jaegher, Carlo Lomonaco, Pietro Marzotto, Lamberto Priori, Attilio Rausse e Silvano Storer. Nomi illustri, “gente che conta”. Cognomi e personaggi ben noti nel vicentino. Ma il silenzio, l’assenza di quelle forze politiche e sindacali che (almeno per “tradizione”) dovrebbero partecipare alla battaglia, non fosse che per “tradizione”, continua.
 

Il 19 aprile 2011 avrebbe dovuto iniziare il processo. Una data storica per la Marzotto e Valdagno. Il 19 aprile del 1968 i lavoratori vicentini abbatterono la statua di Gaetano Marzotto che si ergeva nella piazza di Valdagno. Ma il 1968 è lontano nel tempo e nella volontà di lottare per i diritti di tutti. Continui rinvii dovuti a vizi di forma, errori di notifica ed eccezioni procedurali presentate dagli avvocati degli imputati hanno impedito che ciò avvenisse. Oggi, 24 febbraio 2012, lo sciopero degli avvocati ha provocato un ulteriore rinvio al 30 marzo. Quello della Marlane-Marzotto di Praia a Mare è “il processo che non inizia”.
 

Dopo il “rinvio di fine anno” (30 gennaio 2011) il PdCI di Vicenza ha deciso di scrivere un appello per “chiedere” che il processo abbia finalmente luogo. L’appello viene firmato da persone conosciute e riconosciute della cultura, della scienza, dell’informazione, dello spettacolo, della politica e dei sindacati. Viene sottoscritto da parenti delle vittime della Marlane, da lavoratori in lotta in altre parti d’Italia, da chi sta lottando per ottenere una giustizia ancora negata (mi riferisco alla Tricom di Tezze sul Brenta). Il risultato è che della Marlane si comincia a parlare. Cresce, con la conoscenza e la diffusione delle notizie, la speranza di vedere riconosciuti i diritti dei lavoratori e della famiglie e di condannare i responsabili di quanto successo. Non è vendetta. Nessuno la vuole. Si lotta solo per avere Giustizia. Una cosa che dovrebbe essere normale in un paese civile.
 

I rapporti che sono nati tra il profondo nord e il profondo sud, quel ponte costruito tra Vicenza e Praia a Mare, dimostrano una cosa: esiste ancora la solidarietà tra i lavoratori. Una coscienza di classe che cancella le distanze, le “appartenenze”, le pigrizie e che ci fa lottare non per “convenienza” ma perché è giusto. Cose d’altri tempi? Per chi vuole cancellare i diritti dei lavoratori certamente. Ma questo è il futuro. Il nostro futuro. Quello che possiamo costruire con le nostre mani e le nostre intelligenze. Una lotta comune contro le storture di un modello di sviluppo sbagliato e spaventoso che deve essere cambiato dalle radici. Il ponte creato tra Vicenza e Praia a Mare unisce lotte iniziate e condotte in solitudine. Unirle è servito a squarciare il velo dell’indifferenza.
 

Quanto successo alla Marlane riassume tante cose che combattiamo: sfruttamento dell’uomo sull’uomo, disastro ambientale, condizioni di lavoro disastrose, licenziamenti in punto di morte, costrizioni e ricatti, chiusura della fabbrica perché non più “conveniente”, delocalizzazione. E … silenzio. Un silenzio umiliante dell’informazione. Del Giornale di Vicenza in primo luogo, che non scrive nulla. Che censura persino il nome “marzotto” se associato a quello della “marlane”. Che crede che si possa far finta che non sia successo nulla. Anche di fronte alle malattie, alle vite spezzate, al dolore.
 

Io accuso gli indifferenti, chi, per servilismo, nasconde i fatti, chi, per convenienza, gira gli occhi da un’altra parte. Io accuso chi tace.
 

La Marlane-Marzotto è l’esempio di un capitalismo cialtrone che sposta sempre più in basso i livelli della sicurezza e dei diritti. Quando “non si può più” o “non conviene più” sfruttare e inquinare, il lavoro viene “spostato” là dove quei livelli si possono ulteriormente abbassare. Non c’è nulla che possa far pensare a un sano e giusto sviluppo. Ogni cosa viene fatta per guadagnare di più non importa come. Importa solo “quanto”. Si esporta sfruttamento e si importa disoccupazione. Le aziende sorte con i contributi statali, vengono distrutte. I lavoratori vengono spremuti e infine scartati. Si lasciano solo macerie. Rottami.
 

Voglio finire con un appello, l’ennesimo. NON LASCIATECI SOLI. Da soli forse potremo resistere, denunciare, difenderci strenuamente, iniziare qualche lotta … ma sarà comunque una lotta sterile. Non ci basta. Noi vogliamo vincere.
 

Diceva Saturnino Huillca, vecchio sindacalista analfabeta peruviano: “Nessuno dà importanza a un fiumiciattolo. È facile da passare. Ma quando i fiumi sono diversi, quando sono tanti, non lo si può più fare. Quando ci rivoltammo a Vilcanota, unendoci tutti, fu impossibile batterci. Se sapremo essere un grande fiume di vasta portata, nelle nostre acque cadranno e si perderanno i nemici. Essi potranno chiedere aiuto, potranno gridare, ma non potranno reagire. Così avviene quando c’è la forza dell’unità. Diversamente, quando frana una vetta, questa non potrà tornare al suo stato iniziale. Per queste ragioni tutti dobbiamo unirci, tenendoci stretti con forza, per essere invincibili.”
 

Chiediamo a chi non è indifferente di aiutarci a passare all’attacco. Lo potremo fare se avremo la forza di unire le nostre debolezze. Facciamolo non per ottenere qualche poltrona o per tornaconto personale. Facciamolo perché è giusto. È importante che il sussurro dei singoli diventi l’urlo di una moltitudine. Uniti possiamo costruire una società migliore e giusta, senza più “Marlane”, “Tricom” o “Eternit”. A testa alta e con la schiena diritta.