PESARO : IL PdCI E LA FIOM CON GLI OPERAI DELLA BERLONI

di Ambra Ruggeri, FGCI- Marche

berloni fotoSi è svolto venerdì 31 gennaio, a Pesaro, presso la Sala Rossa del Comune, un incontro sul tema “Il Caso Berloni e la crisi del lavoro nel pesarese”, iniziativa organizzata dal Partito dei Comunisti Italiani in collaborazione con il Gruppo Consiliare Regionale della Federazione della Sinistra -PdCI/PRC e con la FIOM pesarese. Ad aprire i lavori è il segretario della Federazione PdCI di Pesaro, Teodosio Auspici, che svolge una breve ma denza relazione basata sul parallelismo tra crisi del lavoro ( nel pesarese e a livello nazionale) e crisi sociale.

“La Berloni – dice Auspici – sino a due o tre anni fa aveva poco meno di 400 operai; oggi, dopo la vendita ad un’azienda di Taiwan (la Bch) oltre 200 lavoratori sono in cassa integrazione ( quasi conclusa) e poco più di 90 sono rimasti in produzione. Ma dietro l’oscura operazione di vendita all’azienda di Taiwan si materializza sempre più il percolo della delocalizzazione della fabbrica e del licenziamento, drammatico, di tutti i lavoratori”.


Il primo a prendere la parola è Marco Pierini, operaio, della RSU Berloni : ” La Berloni, la famosa azienda produttrice di cucine ( e, un tempo, di molto altro), è sempre stata, per i pesaresi e per tutti i marchigiani, quello che è stata la FIAT per Torino: un punto di riferimento sicuro per il lavoro. Come tanti altri, sono entrato in Berloni con davanti a me la certezza dell’occupazione. Oggi davanti a me la speranza del lavoro si è fatta flebile, un filo che si può rompere da un giorno all’altro”. Pierini ripercorre i fatti salienti che hanno segnato la vicenda Berloni: la crisi del 2008, il limbo che ne è seguito tra debiti con i fornitori e mensilità non pagate, la scelta da parte dei lavoratori di non protestare per il bene dell’azienda, il tentativo di rivolgersi alle istituzioni, l’ottenimento di un piccolo microcredito ed infine il concordato preventivo, la nascita di Berloni Group e l’opzione Taiwan come compratore. “Con Taiwan – prosegue Pierini- si è profilato, all’inizio, un orizzonte di garanzia del lavoro, ma questa possibilità mano a mano sta svanendo, tanti sono ancora i dubbi sulla sicurezza del nostro impiego e sul progetto aziendale. La lezione è che buona parte dell’ imprenditoria italiana non è più affidabile, sui tempi medi e lunghi, avendo perso coraggio e voglia di investimento, cercando il profitto o sulla pelle dei lavoratori o sulla svendita all’estero delle aziende”.

A proseguire nell’analisi è Giuseppe Lograno, FILLEA-CGIL Pesaro Urbino, che spiega come la Berloni sia stata la prima azienda nel territorio a ricorrere al “concordato preventivo”: una procedura concorsuale attraverso la quale si ricercano accordi con i creditori per evitare il fallimento e superare la crisi ma che ha purtroppo generato “una sorta di caos calmo all’interno della azienda, uno stato di apnea –spiega Lograno- dove nessuno sapeva esattamente cosa fare, con cospicui gruppi di lavoratori in cassa integrazione già dal 2010 a cui si aggiungevano ritardi nel ricevere gli ammortizzatori e a cui hanno fatto seguito ulteriori razionalizzazioni”. Lograno è piuttosto critico sull’efficacia di strumenti come il concordato: “Azienda nuova, problemi vecchi. Le cause vanno rintracciate anche nella totale assenza di investimenti in ricerca e innovazione e di piani industriali”. Lograno lamenta anche una scarsa attenzione da parte delle istituzioni, parla di “solitudine dei lavoratori” e di una politica che si limita all’aiuto e all’assistenzialismo senza risolvere il problema. “Ho seri dubbi a credere in una ripresa con questi scenari” conclude. Lo segue Alberto Barilari, presidente Cna di Pesaro Urbino, anch’egli molto critico sul futuro del mobile e su quello dell’Italia in generale: “Che paese è un paese che mette in fuga i giovani, ma anche i vecchi e con essi aziende e imprenditori? Il lavoro si crea anche con la fiducia, un elemento che oggi non c’è. Anche i piccoli imprenditori hanno paura di perdere tutto e faticano a rischiare. Il concordato preventivo cancella con un colpo di spugna i debiti e lascia i piccoli creditori sul lastrico e a volte li condanna al suicidio”. 

Interviene Marco Monaldi, FIOM CGIL: “Senza una politica industriale dello Stato non c’è soluzione per il mondo del lavoro. Occorre che le istituzioni, regionali e nazionali, di nuovo, come un tempo, riprendano decisamente a svolgere il loro ruolo guida nell’economia nazionale, non delegando più tutto all’imprendoria, ai padroni e alle loro spesso selvagge politiche industriali”. 

Pessimista è anche il consigliere regiona Raffaele Bucciarelli, Federazione della sinistra PdCI-PRC: “Che paese è, me lo chiedo anche io, dove ogni giorno ci viene sottratto un pezzo di democrazia nel silenzio generale. Oggi vince il capitale. Accusavano noi comunisti di essere antiquati nel difendere il lavoro e i lavoratori e oggi si tratta al ribasso. Ci si elogia per aver salvato 50 lavoratori mentre se ne perdono altri 200. Che cosa si è salvato? Grazie a noi Comunisti Italiani ci sono oggi ben due leggi regionali, che però non sono mai state applicate: una sulla possibilità per i lavoratori di mettersi in cooperativa e l’altra sulla delocalizzione, basata sul principio che chi delocalizza deve restituire i contributi ottenuti dalla Regione. Nel concordato preventivo i primi a ricevere sono le banche, per i lavoratori non c’è niente. Bucciarelli garantisce che presenterà un’interrogazione a risposta scritta e chiude: “Oggi la battaglia per il lavoro non è più solo in difesa dei lavoratori: essa è anche e sempre più una battaglia per la civiltà. Noi Comunisti pensiamo ancora di essere utili a questa società e io voglio continuare ad essere un punto di riferimento”. 

A trarre le conclusioni del convegno è Fosco Giannini, segretario regionale PdCI Marche: “I dati sulla povertà la dicono lunga sul livello di miseria e di inquietudine esistenziale che ci circondano. La concentrazione della ricchezza è sempre più ristretta nelle mani di pochi ( il 12% degli italiani detiene il 46% dell’intero patrimonio nazionale), mentre la maggioranza della popolazione si impoverisce sempre più drammaticamente e rapidamente. C’è un preciso attacco sociale e allo stesso tempo culturale in tutto questo, che tende a svuotare le coscienze. Eppure – continua Giannini- non ci si chiede il perché di questa sofferenza sociale, che ha basi materiali tanto chiare e verificabi quanto “rimosse” dalla cultura dominante: 1) la competizione internazionale tra poli imperialisti, che spinge i capitalisimi nazionali ad abbattere il costo delle merci attraverso l’abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale;2) le politiche reazionarie, antioperaie e iperliberiste dell’Unione europea, che impongono ai governi e ai popoli d’Europa misure ferocente antisociali; 3) la natura da “nanocapitalsimo” della maggior parte della grande e media imprenditoria italiana, che punta a difendere il proprio saggio di profitto solo attraverso un continuo giro di vite sulle condizioni materiali dei lavoratori, rinunciando a priori agli investimenti industriali e produttivi, sulla ricerca e la scienza. Noi, del PdCI, siamo convinti che a tutto ciò c’è una sola risposta: la ripresa piena del conflitto sociale, che può ripartire solo se costruiamo una grande unità tra i comunisti e l’intera sinistra italiana, un’unità che risvegli anche il movimento sindacale, compresa la CGIL, dal suo torpore. Intorno alla Berloni aleggia lo stesso spettro di tante altre aziende, ovvero quello della delocalizzazione, contro la quale il PdCI si impegna a proporre, sia a livello regionale che a livello nazionale, nuove e più dure leggi, volte a colpire il cinismo selvaggio dei “delocalizzatori”. Poichè non siamo nel socialsimo e, dunque, i padroni fanno ciò che vogliono, almeno tiriamo sù piccole dighe in difesa dei lavoratori: chi delocalizza deve restituire tutti i soldi presi dalle istituzioni; deve, per legge, lasciare nel territorio le macchine e le strutture produttive; deve pagare più tasse, in relazione ai profitti dati dalla delocalizzazione stessa e dallo sfruttamento “animale” sulla forza lavoro dei paesi poveri nei quali viene delocalizzata l’azienda. Antonio Gramsci diceva : “Odio gli indifferenti”. Rispetto al dramma sociale di massa che tutti noi abbiamo davanti, nessuno può più permettersi di essere indifferente. Occorre, come ultima possibilità per evitare il dominio assoluto della reazione e per evitare la consunzione finale della democrazia, una grande unità di popolo, che abbia come avanguardia l’unità dei comunisti e dell’intera sinistra italiana”.

Grandi e sinceri applausi finali dalla platea, gremitisima, con una presenza significativa degli operai della Berloni e di dirigenti politici e sindacali della sinistra pesarese, tra i quali l’ex segretario regionale del PRC Marche Marco Savelli, che si congratula caldamenti con i compagni del PdCI ” per il loro serio lavoro politico”.