Nokia Siemens Catania: superqualificati e licenziati

di Patrizia Maltese | da www.zenzeroquotidiano.it

Quelli che le avevano già programmate, hanno cancellato le vacanze. E come rischi di privarti di soldi con i quali potresti tirare a campare un altro mese? E con quale stato d’animo ci vai in vacanza se la tua vita e la tua famiglia stanno per essere sconvolte?

Il padrone licenzia, delocalizza, va ad assumere lavoratori là dove il costo del lavoro è più basso. Modello Marchionne: l’odio di classe nei confronti dei lavoratori. E chi se ne frega se sono molto più qualificati di altri. E che lo siano quelli della Nokia Siemens di Catania – 35, ai quali bisogna aggiungerne altri 15 dell’indotto – è provato: non solo perché sono laureati in ingegneria informatica, in elettronica, in scienze dell’informazione e parlano da due a tre lingue a testa, ma perché – come ci hanno raccontato Valerio Trigilia e Antonio Altana, rsu Fiom – la loro bravura viene riconosciuta ufficialmente dagli operatori ai quali forniscono servizi in tutto il bacino del Mediterraneo, clienti che misurano la qualità del lavoro e “ci danno voti molto alti”. In più, in tredici anni di lavoro costante sempre per la stessa azienda, hanno perfezionato le loro competenze e ne hanno acquisite di nuove.

Eppure la Nokia all’improvviso ha deciso di avviare le procedure di mobilità, che si concluderanno in settembre con i licenziamenti, e non ha voluto sentire ragioni: nessun rapporto con i sindacati, nessun tavolo tecnico, nessuna intenzione di aderire alle proposte del Ministro dello Sviluppo economico che ha prospettato anche la possibilità di finanziamenti nazionali ed europei. Figuriamo se accetterà la convocazione della prefettura di Catania, che oggi è impegnata in questo senso con i lavoratori in sciopero. Se ne va e basta. Va ad assumere in Portogallo, dove con 800 euro uno l’hai strapagato anche se non è qualificato o forse soprattutto per questo e anche a costo – spiegano Trigilia e Altana – di “pagare lo scotto di operatori arrabbiati e disservizi”. Per ora vanno in Portogallo, ma per i due rsu aziendali l’obiettivo della dirigenza Nokia è di svilupparsi in India, dove il lavoro costa ancora meno e però – secondo il quality manager – anche la qualità è molto più bassa.

I licenziamenti in realtà sono già partiti con i lavoratori dell’indotto: a fine luglio smetteranno di lavorare le ragazze della reception; la stessa sorte toccherà a quelli che lavorano nel laboratorio per conto di un’azienda esterna alla quale non è stato rinnovato il contratto: “Partono da loro che sono i più deboli”, commentano i due sindacalisti.

Poi toccherà ai più forti, a quelli qualificati: quelli di Catania (fra i quali quattro palermitani trasferiti recentemente e inutilmente) sono tutti giovani, ma non più giovanissimi, tutti sposati, con bambini piccoli, qualcuno con un bimbo in arrivo. Perché quando lavori da tanti anni e hai uno stipendio decente è normale pensare anche a fare dei figli. E la domanda è: “E adesso come facciamo?”. Perché c’è chi ha la moglie che lavora ma non guadagna abbastanza per mantenere un’intera famiglia, chi è monoreddito, chi ha una madre rimasta sola che non può lasciare. E tutti sanno che dovranno andare a cercare lavoro fuori, in Italia o addirittura all’estero, con quel che ne consegue per la tenuta delle famiglie. Perché fuori, dove tutto è più caro, con uno stipendio solo si vive ancora peggio che in Sicilia; perché dovresti chiedere a tua moglie di lasciare il posto che ha qui, ma sapendo che non ha competenze per trovarne uno altrove; perché andrà a finire che uno parte e l’altro resta e la famiglia va a farsi benedire.

Con buona pace di un governo di parrucconi presunti familisti che ha distrutto il mondo del lavoro e le famiglie dei lavoratori. Perché loro ne sono consapevoli: “Vivremo sulla nostra pelle la riforma degli ammortizzatori sociali”. Cioè toccherà loro l’Aspi: quella porcheria pensata da Elsa Fornero – il peggior ministro del Lavoro degli ultimi 150 anni, che ha cancellato l’articolo 1 della Costituzione italiana affermando che il lavoro non è un diritto – con la quale si riducono le tutele sociali per i disoccupati.

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