No all’abrogazione dell’art.18

articolo-18 fondo-magazine

Associazione Giuristi democratici

Le Camere si accingono a discutere un disegno di legge di riforma del mercato del lavoro che viene propagandata come inevitabile, e viene giustificata con il fatto che ad oggi in Italia un imprenditore in gravi difficoltà economiche non possa ridurre il proprio personale.

Quali deputati e senatori del Pd, saprete sicuramente che quanto sopra non corrisponde a verità, in quanto il nostro ordinamento prevede espressamente la possibilità di licenziare per motivi economici, essendo previsto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (fino a 5 dipendenti) o collettivo (oltre i 5 dipendenti) e che la stessa Ocse pone l’Italia al di sotto della media europea per quanto attiene agli indici della rigidità in uscita. La nuova formulazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori non introduce alcuna nuova causa di licenziamento, ma incide solo sul trattamento sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, quelli senza giusta causa e giustificato motivo, stabilendo tetti massimi (irrisori) ai risarcimenti che vanno dai 6 mesi (paradossalmente per la violazione più palese, il licenziamento privo di motivazione), fino a 24 mesi.

La reintegrazione viene di fatto abolita, sia per il licenziamento (strumentalmente definito) disciplinare, dove rimane limitata a casi marginali, che per il licenziamento (strumentalmente definito) economico – nel quale il reintegro previsto sulla carta è del tutto impraticabile – così come per i licenziamenti collettivi illegittimi, aprendo la strada ad espulsioni di massa di forza lavoro (la Cgia di Mestre quantifica in 60 mila i posti che andranno persi nei primi 10 mesi di applicazione: 2 mila licenziamenti al giorno). L’attuale art.18 è una norma a costo zero per il datore di lavoro corretto, in quanto interviene solo nei confronti di chi non rispetta la legge.

Questa riforma non ha alcuna attinenza con il rilancio dell’economia, come attestano tutti gli studi sul punto e come ha più volte affermato lo stesso Pierluigi Bersani. È una riforma, quindi, che nasce solo per primeggiare in Europa nella gara a chi si conforma prima e di più alle previsioni del Patto Euro Plus firmato il 25 marzo 2011 dal governo Berlusconi (poi divenuto Fiscal Compact lo scorso 2 marzo 2012), ovverosia proprio quell’accordo contro cui Hollande ha vittoriosamente impostato la propria campagna elettorale, e su cui la socialdemocrazia tedesca ha già annunciato che, senza sostanziali modifiche in termini di diritti sociali, non darà la propria approvazione parlamentare. 

Per questo scriviamo ai parlamentari del Pd, convinti come siamo che la consonanza con le altre famiglie riformiste europee possa consentirvi di comprendere ed apprezzare il profondissimo errore di aderire acriticamente a un testo che toglie l’ultimo architrave del diritto del lavoro che l’opinione pubblica e la lotta di milioni di lavoratori avevano salvato dal ventennio berlusconiano. Se Il Pd approverà questa riforma si assumerà una responsabilità politica storica di fronte a milioni di lavoratrici e lavoratori – che pure ritengono di essere ancora rappresentati dal vostro partito – ponendo una pesantissima ipoteca alla possibilità che l’Italia possa contribuire a delineare un percorso di uscita dalle macerie prodotte dal lungo governo della destra europea, e aprendo così uno scenario che rischia di condurci davvero verso il modello Grecia e non verso Francia o Germania. Per questo vi chiediamo di non approvare questa legge, che non porterebbe alcun giovamento alle ragioni della buona impresa e alle esigenze dei lavoratori, ma aumenterebbe solo l’illegalità, la precarizzazione e la sottoccupazione generalizzata, la disperazione sociale e la disaffezione alla politica e alla partecipazione.