Mobilitazione di lungo corso

di Francesco Piccioni | da il Manifesto

Sciopero-generaleUn anno lavorativo che si era aperto con un sciopero il 6 settembre si va chiudendo con un altro a fine giugno. Peraltro con mobilitazioni, presìdi e proteste già in cantiere per i prossimi giorni. Allora c’era Berlusconi che aveva appena ricevuto posta dalla Bce e aveva sfornato, per accontentarla, una «manovra d’agosto» comprensiva di quell’art. 8 che permette di andare «in deroga ai contratti e alle leggi» sul lavoro. Ora ci sono i tecnici stile Bce, in prima persona; con politiche dello stesso segno, solo un poco più crudeli e ferree. Scioperare non è un gioco. Costa a chi lo fa, si deve lasciare un altro pezzo di busta paga a poche distanza dal pagamento dell’Imu e del mutuo. Sarebbe però un errore pensare che uno sciopero «sindacalmente» minoritario (proclamato dalle sole sigle «di base») non conti nulla. Il blocco dei trasporti urbani sconsiglia di minimizzare. E il rapporto del Censis, due giorni fa, illustra bene come «l’antagonismo errante» di questi anni ha numeri alti, ma snobbati dai media.

Uno sciopero costa ma – esattamente come quello che la Fiom ha già proclamato per il giorno in cui il ddl Fornero verrà votato alla Camera – segna anche la linea che divide chi si oppone a una linea di politica economica antisociale e chi l’accetta. Oggi le proporzioni numeriche sembrano a sfavore dei primi; ma la storia è un film che scorre, non la fotografia di un attimo. Il malessere sociale cresce e chiede «che si faccia qualcosa». Chi quel «qualcosa» d’opposizione fa, semina per il futuro, prenota consensi anche non dichiarati subito, marca il terreno del conflitto a venire.

Certo, la logica astratta preferirebbe che il sindacalismo di base, la Fiom e i movimenti «specializzati» o monotematici riuscissero da subito a creare un fronte molto più compatto, forte, vincente. C’è una storia anche alle spalle che lo rende complicato. Ma quella futura è tutta da scrivere.