«Di sicuro noi faremo un corteo» Intervista a Giorgio Airaudo

di Francesco Piccioni | su il Manifesto

 

Democrazia a rischio: Alemanno e la questura blindano il divieto di manifestare a Roma. I metalmeccanici non intendono «cedere alla paura» Contatti con il ministero dell’interno e con il Comune di Roma per la manifestazione nazionale dei lavoratori Fiat e Fincantieri, venerdì. La Fiom non rinuncia.

 

airaudo

Difficile ricordare una situazione del genere, per la Fiom. Ma Giorgio Airaudo, segretario nazionale con la delega per l’auto, ne ha viste tante e non si scompone.

 

Allora, confermate la manifestazione?

 

Certo! Mai pensato di non farla. I lavoratori degli stabilimenti Fiat hanno diritto di ricevere risposte. Sia quelli che vengono ora esternalizzati, come alla Irisbus di Grottaminarda; sia quanti sono da tempo in cassa integrazione in vari stabilimenti e chiedono di sapere quando e con quali prodotti ricominceranno a lavorare; sia quelli, come a Pomigliano, che hanno già subito un pesante taglio dei diritti.

 

Eppure la politica insiste nel divieto…

 

L’idea che ci si spaventi e si rinuncia a manifestare sarebbe un ulteriore risultato regalato a chi sabato ha sabotato una grande manifestazione, una negazione del diritto di protesta a quanti stanno ora subendo e pagando la crisi. Questa classe politica è due volte debole. Non sa rispondere alle domande dei giovani indignati che guardano al futuro e non sa rispondere nemmeno ai lavoratori che devono difendere il proprio lavoro.

 

Quindi farete un corteo?

 

Di sicuro faremo un corteo. Noi siamo rispettosi delle leggi e delle istituzioni, ma quando le istituzioni sbagliano nel prendere decisioni glielo diciamo. Il sindaco di Roma, Alemannno, appartiene a una classe politica che non sa come rispondere alla crisi e si rifugia nei divieti. Chissà se farà lo stesso con quelli di Casa Pound… Noi non vogliamo che su una vicenda importante come la libertà di manifestare possano sparire le ragioni dei lavoratori Fiat e di Fincantieri. Questa ragioni riguardano 70.000 persone e famiglie e vogliamo renderle visibili, venerdì.

 

Fiat e Fincantieri, trasporto su gomma e navi…

 

Noi vogliamo sollevare la questione della mobilità sostenibile. Sta andando in crisi l’aeronautica (Alenia), la cantieristica, la produzione di treni, bus, auto… Rischiamo di perdere la produzione di tutto ciò che fa «trasporta» il paese e di dover poi acquistare quel che serve da turchi, francesi o altri.

 

Ponete il problema di una politica industriale?

 

Sì, ma non generica. Facciamo proposte concrete: produrre qui tutto quel che serve a far muove collettivamente il paese, magari in modo meno energivoro. Vogliamo una torsione al modello di sviluppo, perché perdere o svendere determinate produzioni significa impoverire il paese. Potremmo dire che manifestiamo a difesa del «made in Italy» nel trasporto.

 

Ma questa classe politica è in grado di realizzarne una?

 

Se la piattaforma dei lavoratori deve comprendere anche la difesa del diritto di manifestare, è segno della paura la classe politica di fronte alla crisi. Se l’unico modello che sa proporre è quello del divieto, non si va lontano.

 

Tu sei torinese e domenica si pone lo stesso problema anche in Val Susa…

 

Intanto non si può accostare la lotta della Valle ai comportamenti intolleranti e violenti. Lì abbiamo un movimento inascoltato da quindici anni. Che si è chiesto se conviene o no trasportare le merci con l’alta velocità, se i soldi ci sono o no e se, con la crisi, finiranno a metà strada; se è utile o dannoso dal punto di vista ambientale ed energetico. L’unico interesse che è stato difeso dalle istituzioni è quello dei costruttori di grandi opere. Ma non si può trasformare in problema di «ordine pubblico» tutto quello che non si sa come risolvere. La Valle ha molti argomenti, anche scientifici a proprio favore. Deve e saprà farlo senza cadere in trappole.