di Giorgio Langella
Sostiene Renzi, in una nota del 19 marzo, che “la realtà vince sulle bugie: chi parla di Jobs Act come di un fallimento dovrebbe fare i conti con la realtà”. E snocciola alcuni dati: “più 913.000 contratti a tempo indeterminato; più 468.000 occupati permanenti; più 221.000 occupati totali”. Sono dati diffusi da INPS e ISTAT che dimostrerebbero i risultati eccezionali raggiunti grazie al Jobs Act. Sono dati parziali non confrontati con altri.
Sostiene Renzi che chi interpreta in maniera diversa da quella governativa i risultati esposti dice bugie.
Sarà …
Ma ci sono alcune cose da chiarire. Innanzitutto i nuovi contratti sono “a tempo indeterminato” e gli occupati sono “permanenti” solo perché sono definiti così. Nei fatti, grazie al Jobs Act, si può essere licenziati in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione (senza giusta causa) senza possibilità di essere reintegrati nel lavoro anche di fronte all’assenza della giusta causa. La permanenza nel posto di lavoro è, quindi, tutta da dimostrare.
E poi i dati bisogna leggerli tutti, anche quelli negativi. Bisogna capire che se i disoccupati calano e i rassegnati crescono, forse c’è qualcosa che non va. Che se gli occupati crescono ma ci sono sempre più inattivi qualcosa non va. Che se i giovani non riescono a lavorare mentre i lavoratori oltre i 50 anni sono gli unici a crescere qualcosa non va. Bisogna capire che tanto non va se i giovani trovano soprattutto lavori precari. Se devono sottostare a orari massacranti pur di mantenere un lavoro instabile e peggio retribuito (poche centinaia di euro lorde al mese). Bisogna capire perché il numero dei voucher è cresciuto a dismisura rendendo il lavoro sempre più una merce che si può comprare al prezzo più basso. E bisogna capire che, grazie alle leggi volute da questo e dai precedenti governi, votate dai parlamentari del partito del quale Renzi è segretario, il lavoro non è più un diritto che deve essere garantito ma una elargizione padronale. Bisogna rendersi conto che il lavoro è diventato sempre più insicuro in ogni senso e i numeri, quelli che il governo e i principali organi di informazioni nascondono, lo dimostrano. Nel 2015 c’è stata una crescita di morti per infortuni sul lavoro. Crescita che viene confermata in questi primi mesi del 2016. E bisogna domandarsi perché non ci sono adeguate informazioni sui decessi per malattie professionali dovute a condizioni del lavoro sempre più precarie. Il dubbio che vengano diffuse solo le informazioni gradite al governo (e taciute le altre) per giustificare sempre maggiori cancellazioni di diritti diventa certezza.
Proprio mentre Renzi affermava che la realtà era quella che voleva lui, l’INPS diffondeva i dati relativi alle assunzioni e alle cessazioni di gennaio di quest’anno. I primi dati dopo la sostanziale riduzione degli incentivi previsti per il 2015. Dati che smentiscono l’ottimismo governativo dal momento che le nuove assunzioni a tempo indeterminato (che, poi, non sono per nulla stabili) sono 106.697 e registrano un calo di 69.542 unità (-39,5%) rispetto al gennaio del 2015 e di 49.446 unità (-31,7%) rispetto al gennaio del 2014. Le cessazioni in gennaio 2016 sono state 119.075 (superiori, quindi, alle nuove assunzioni). In Veneto le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono, nel gennaio 2016, 8.727 (-36,5% rispetto al gennaio 2015) mentre le cessazioni sono 10.045.
E i dati diffusi da Eurostat ci fanno sapere che in Italia c’è stata una “storica” riduzione del costo del lavoro pari allo 0,8%, mentre nel resto d’Europa il costo del lavoro è aumentato. E questo aumento non si registra solo nei paesi che avevano il costo del lavoro (e i salari) più bassi. Succede, per esempio, anche in Germania e in Francia. Ci dicono che è l’effetto del Jobs Act che si fa sentire. Ma, allora, perché in Italia la ripresa in pratica non esiste? Ma questo è un “dettaglio”. Come dettaglio è il calo dei salari (-0,2%) registrato in Italia mentre in paesi come Germania e Francia la parte salariale del costo del lavoro è cresciuta. Di fatto nel nostro paese, grazie al Jobs Act, le condizioni di lavoro e i salari sono peggiorati. Questa è la realtà aggravata anche da una “timidezza” sindacale e dall’assenza di un’opposizione parlamentare che affronti seriamente i gravi problemi di chi vive del proprio lavoro. Le informazioni parziali diffuse dal governo sono solo propaganda.