da Rassegna.it
Tre docenti universitari, esperti di diritto del lavoro, mettono sotto esame la riforma del governo Renzi. Licenziamenti, demansionamento e controllo a distanza: quello che si sostanzia è un tentativo di modifica della Costituzione materiale del Paese
Con il Jobs Act cambiano i rapporti di forza all’interno del mercato del lavoro. Cambiano gli equilibri tra diritti fondamentali, quello del lavoro e quello della libertà di iniziativa economica. Cambia, insomma, seppure senza modifiche formali, la Costituzione materiale del paese, che non è più quella edificata sulle conquiste degli anni ‘70, ma sembra tornata molto più indietro.
È un’analisi molto severa, ma che assume particolare valore perché a svilupparla sono tre “addetti ai lavori”, tre professori di Diritto del Lavoro di atenei diversi, Perugia, Siena e Bologna, chiamati ad esaminare la nuova normativa introdotta dal governo Renzi all’interno di un seminario di formazione, promosso dalla Cgil dell’Umbria a Perugia (il secondo sul Jobs Act, questo era il primo). Seminario introdotto e coordinato da Giuliana Renelli, segretaria regionale Cgil, che ha esaminato nel dettaglio la riforma degli ammortizzatori sociali (“un mare magnum di incertezze”) e animato appunto dagli interventi dei tre “prof” – Stefano Giubboni (Università di Perugia), Giovanni Orlandini (Università di Siena) e Andrea Lassandari (Università di Bologna) – prima delle conclusioni di Corrado Barachetti, responsabile ‘Mercato del lavoro’ della Cgil nazionale.