Intervista a Landini (Fiom): «L’Ilva non deve chiudere»

Intervista a cura di Loris Campetti | da il Manifesto del 1 settembre 2012

landini-w300Nel conflitto, concreto ma anche alimentato da interessi di parte, tra chi difende il diritto alla salute e chi invece mette avanti il diritto al lavoro, il punto di vista di Maurizio Landini è netto: «Si può produrre senza inquinare e avvelenare dentro e fuori la fabbrica». Il segretario generale della Fiom annuncia un settembre di mobilitazione con assemblee operaie dentro lo stabilimento Ilva e l’apertura di un confronto pubblico con i cittadini di Taranto. «La Fiom rifiuta di schierarsi tra chi pretende la chiusura della fabbrica e chi sostiene che bisogna andare avanti come si è fatto finora. Il lavoro all’Ilva deve diventare compatibile con le esigenze e la salute degli operai e dei cittadini, per questo è inderogabile l’applicazione immediata delle decisioni della magistratura. Insomma, la famiglia Riva deve assumersi le sue responsabilità e mettere finalmente in campo gli investimenti necessari per il risanamento dell’ambiente e del ciclo produttivo. Anche il governo deve svolgere il suo ruolo investendo e agganciando i fondi europei finalizzati a una produzione siderurgica pulita». 

La Fiom ha fatto una scelta coraggiosa rifiutando l’adesione a uno sciopero che sembrava commissionato da padron Riva. Ma con la precipitazione dello scontro in città non rischiate di prendervele da tutte le parti, dagli operai che difendono il lavoro “a prescindere” e da chi vuole la chiusura dell’attività “a prescindere”?

Non lo credo. La Fiom non sciopera contro la magistratura ma si batte per salvare lavoro e ambiente. È possibile, se si tiene sempre presente che la responsabilità prima del conflitto odierno e della crisi ambientale è della proprietà, cioè della famiglia Riva. Molti lavoratori dell’Ilva hanno capito la nostra posizione e la condividono. Evidentemente per vincere questa battaglia è essenziale un’autonomia forte dei lavoratori e dei sindacati. 

Autonomia che non c’è sempre stata…

Indubbiamente, e in alcuni casi non c’è ancora, se c’è chi accetta di essere pagato dal padrone non per lavorare ma per andare a manifestare davanti alla procura contro la magistratura, viaggiando sui pullman messi a disposizione dal padrone. 

Perché chiedi che le intercettazioni della magistratura vengano rese pubbliche?

Perché la trasparenza è fondamentale, anche per ricostruire un rapporto positivo con la città. Sono trapelati da quelle intercettazioni tentativi di corruzione che fanno capire con maggior chiarezza che bisogna cambiar pagina. La Fiom non ha alcunché da temere, non abbiamo scheletri nell’armadio. Quando in passato abbiamo scoperto situazioni non chiare anche al nostro interno siamo intervenuti senza sconti per nessuno, neanche per il segretario. La città di Taranto e tutti devono sapere che non siamo tutti uguali. Noi siamo la Fiom e ci assumiamo le responsabilità che ci competono. 

Con il comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti avete avuto dei momenti difficili, in piazza con le contestazioni alla manifestazione sindacale e ancora due giorni fa durante la trasmissione Piazza pulita. Sono loro la controparte?

Per un sindacato come il nostro la controparte è sempre l’impresa. Il nostro obiettivo è l’attivazione di investimenti per rendere possibile e accettabile la continuazione della produzione all’Ilva. Con i cittadini vogliamo parlare, e non sono tutti rappresentati da quel comitato. Noi vogliamo parlare con tutti, avviando una pratica e un confronto democratici. Ma non ci si può venire a dire che comunque la fabbrica va chiusa, i lavoratori licenziati magari chiedendo un reddito sociale per un esercito di nuovi disoccupati. Così come contestiamo chi sostiene che bisogna continuare a lavorare così, inquinando dentro e fuori la fabbrica, considerando tutti gli altri nemici, a partire dalla magistratura. Dobbiamo essere responsabili, almeno noi, quando l’intero sistema industriale italiano rischia di saltare in aria: da Termini Imerese, dove alla chiusura Fiat non ha fatto seguito alcun impegno industriale, ai minatori sardi e agli operai dell’Alcoa, solo per citare le crisi più eclatanti. In un contesto in cui la disoccupazione sfiora l’11 per cento, non ci sono prospettive lavorative per i giovani e i precari sono oltre tre milioni. Salvare l’industria siderurgica di Taranto è essenziale e si può fare, lo ripeto, solo attivando gli investimenti necessari: dell’Ilva, del governo, dell’Europa attraverso i finanziamenti per una produzione siderurgica verde, che già si realizza in molti paesi dell’Ue. Solo così si può costruire concretamente e non a chiacchiere un nuovo modello di sviluppo, di lavoro e di vita. Come Fiom vogliamo costruire una piattaforma per avviare un confronto serio con la controparte e gli altri interlocutori. 

Landini, credi che il clima venutosi a creare a Taranto consenta davvero di salvare, pur nelle condizioni che hai precisato in questa intervista, le lavorazioni a caldo dell’Ilva? A Cornigliano, in seguito a un conflitto analogo, le cose sono andate diversamente.

Taranto è un caso diverso, è ancora possibile intervenire positivamente per salvare la produzione e il lavoro rendendoli compatibili, cioè senza continuare ad avvelenare operai e cittadini di Taranto. E questa è la battaglia della Fiom. 

Quali iniziative metterete in campo in questo settembre?

Assemblee in fabbrica, costruzione di una piattaforma e un’assemblea nazionale della siderurgia da tenersi a Taranto entro il mese, perché la partita che si gioca in questa città ha una valenza nazionale. Insieme alla mobilitazione dei lavoratori vogliamo ricostruire un rapporto attivo, positivo, democratico con la città di Taranto, ricucendo una frattura tanto pericolosa quanto evitabile.