di Fosco Giannini, responsabile nazionale PdCI Lavoro di massa
Affinché la manifestazione della FIOM sia l’inizio di un lungo e necessario ciclo di lotte
L’intera area dell’Unione europea è, ormai da troppo tempo, sotto la sferza iperliberista. I popoli, i lavoratori, i giovani, le donne di questa vasta area sentono crollare attorno a sé, giorno dopo giorno, ogni garanzia sociale, ogni diritto. Le pensioni, i salari, gli stipendi, sono attaccati ed erosi dalle politiche antioperaie condotte dalla BCE e dalla nuova “monarchia” economica tedesca. Di fronte all’involuzione liberista di gran parte della socialdemocrazia europea crescono, dall’Inghilterra all’Italia, dal nord al sud d’Europa, esperienze politiche nuove, populiste, guidate da leader e gruppi dirigenti ambigui, conservatori e reazionari, tendenti ad organizzare attorno a sé il malessere diffuso, il dolore e la disperazione sociale. E’ il caso dell’United Kingdom Indipendence Party (Ukip) di Nikel Farage, che nelle recenti elezioni tenutesi nel Regno Unito ha raggiunto – su posizioni antieuropeiste di destra – il 23% dei voti. E ciò in un contesto europeo che vede già molte altre forze antidemocratiche e di destra, simili all’Ukip inglese, organizzare inquietanti consensi di massa: è il caso del Fronte Nazionale di Marine Le Pen in Francia, che oggi i sondaggi danno al 24%; è il caso del Vlaams Belang, vicino al 10% in Belgio; del Partito della Libertà in Olanda, di Geert Wilders, anch’esso al 10% dei voti; del Partito popolare danese di Pia Kjaersgaard, che i sondaggi danno al 16%; dei Veri Finlandesi di Timo Soini, che con circa il 20% dei voti è la terza forza politica del Paese; è il caso del nuovo movimento tedesco, Alternativa per la Germania, di Berd Lucke, che i sondaggi danno al 26%.
E ancora: è il caso del partito Team Stronach, guidato da Frank Stronach, che alle elezioni regionali del 2013 ha ottenuto il 9% dei voti; è il caso del movimento di estrema destra Jobbik, di Gabor Vona, che in Ungheria ha quasi il 17% dei consensi; ed è il caso, naturalmente, del Movimento 5Stelle in Italia, che porta via un 25% di consensi ad una sinistra non più in grado di interpretare i bisogni di massa e di lottare adeguatamente contro la valanga liberista e antidemocratica proveniente dai punti di comando dell’Ue.
Ciò che accade non è poi di così difficile interpretazione: il progetto di questa Unione europea, tendente ad unire il capitale transnazionale europeo per collocarlo come polo neoimperialista unico nella competizione economica mondiale; per dotarlo di una capacità di penetrazione nei mercati basata su di una produzione di merci a più basso costo in virtù di più bassi salari e meno spesa sociale e sempre meno welfare, è un progetto di lungo termine, che comporterà per un altrettanto lunga fase una sofferenza sociale vasta, strutturale, di massa. Un terremoto sociale, un attacco al movimento operaio complessivo su scala europea che chiede una sola risposta: la lotta, il conflitto, la risposta sociale del movimento operaio transnazionale europeo. Una lotta dell’intero mondo del lavoro dell’Ue che non può che nascere dalle lotte nazionali e poi estendersi ed intrecciarsi. Se le forze comuniste e di sinistra del vecchio continente vogliono tornare a svolgere il compito che a loro compete; se non vogliono che siano le forze populiste e di destra a raccogliere il malessere dei popoli, hanno una sola strada, una sola politica, una sola pratica, che viene ben prima di ogni politica delle alleanze: l’opposizione, il conflitto sociale, la lotta organizzata e di lungo periodo. Una lotta volta, nell’essenza, a cambiare i rapporti di forza tra capitale e lavoro in ogni paese dell’Ue, cambiando, dunque la natura di questa Ue. E’ il compito storico, di fase, delle forze comuniste, di sinistra e sindacali del nostro Paese, del continente.
L’Italia è, oggi più che mai, tutta dentro l’Ue, nel senso che la sua politica sociale è emanazione esatta della BCE e della “monarchia” tedesca. Sono ormai troppi anni che – di governo in governo, indipendentemente dal loro colore – la politica tout court, l’economia e le politiche sociali sono emanazioni dell’Ue e dei suoi Trattati, da Maastricht ad Amsterdam. I comunisti e la sinistra italiana sono di fronte ad un secco aut aut: o escono completamente dalle anguste compatibilità liberiste dettate da Berlino e Bruxelles, tornando a liberarsi nel volo della lotta, o affondano, mortalmente, nella palude.
In Italia, significativamente, si passa, senza vergogna alcuna, dal governo Monti, che per la prima volta, nel nostro Paese, evoca un ordine liberista strutturato, coerente ed organico, ad un governo monstre, la Grossa Coalizione tra un PD ormai alla deriva e il partito cannibale e degenerato dell’indagato e corrotto per eccellenza: Berlusconi.
Può darsi che la Grossa Coalizione possa essere molto di più, nell’area dell’Ue, di un “incidente di percorso”; può darsi che l’esperienza politica data dall’unità tra le forze subordinate alle politiche liberiste dettate dalla BCE e dal capitale tedesco, possa divenire lo stesso leit motiv della borghesia europea. Perché, ragioniamo: l’anno prossimo, 2014, vi saranno le elezioni per il Parlamento europeo. Se le forze populiste e di destra, sulla scorta di ciò che sta già avvenendo su scala continentale, porteranno in Parlamento un 25, un 30% di deputati (conservatori, reazionari, antieuropeisti), la pulsione ad unirsi, tra socialisti e popolari europei, potrebbe essere forte, prefigurando, con questo, una via, un’indicazione generale alla Grossa Coalizione su scala europea. E, ciò, di fronte alla crisi della sinistra europea, comunista e antiliberista.
Tutto questo non è ancora avvenuto e potrebbe essere ancora scongiurato. Ciò che, principalmente, occorre, per scongiurarlo, è il ritorno dell’intero fronte comunista e di sinistra alla lotta.
Nel nostro Paese ne abbiamo, persino più che altrove, bisogno. Il governo Letta non potrà, per la sua composizione politica, che seguire la strada dei sacrifici di massa, quella che vuole la Merkel, sorda, persino, a certi messaggi provenienti dal FMI e dalla Commissione europea, secondo i quali la reiterazione delle politiche restrittive e di tagli sociali è destinata a soffocare ogni ripresa economica. Letta non si scosterà, non potrà farlo, dalle politiche economiche, sociali ed istituzionali che vogliono la BCE, la Confindustria e la stessa, vasta, destra del PD.
Occorre come il pane, come estrema possibilità affinché la sinistra italiana non muoia definitivamente, tornare nelle piazze, accendere il lungo ciclo di lotte sociali necessario al cambiamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Occorre come il pane ridare alla “classe” un punto di riferimento, prima che un Grillo qualsiasi fagociti e organizzi la disperazione sociale; prima che si instauri un ordine liberista duro e solido, prima che degeneri la stessa democrazia, nel presidenzialismo e nell’autoritarismo di classe, quella del capitale.
Dobbiamo cominciare subito a riorganizzarci e lottare.
La prima occasione è la manifestazione nazionale che la Fiom lancia sabato 18 maggio a Roma. La Fiom invita a Roma tutte le forze, sociali, politiche e sindacali, che vogliono riprendere la lotta contro le politiche liberiste. La piattaforma della Fiom mette al centro le questioni più dimenticate, rimosse: il lavoro, il salario, i diritti, la precarietà, gli esodati.
Alla manifestazione della Fiom, non si può mancare; ogni altro impegno è secondario, poiché dal 18 maggio può rinascere la riscossa, può riarticolarsi una lotta di lungo respiro, quella necessaria.
Il PdCI ha lavorato affinché i compagni e le compagne siano tanti e tante, a Roma. Nessuno dovrà mancare. E’, questo, uno di quegli appuntamenti che possono riaprire una fase. La fase della lotta, dell’unità delle forze comuniste e di sinistra contro le Grosse Coalizioni e le politiche antioperaie e antidemocratiche imposte dall’Ue e fatte proprie, sempre più servilmente, anche dalle forze “democratiche” italiane.