di Marco Perticaroli, Responsabile Ufficio INCA-CGIL Ancona
Il compito che ci si propone con questo intervento è quello di provare a spiegare, nel modo più semplice possibile, la complessa normativa pensionistica che, tra termini tecnici quali “finestre” o “scaloni”, è stata modificata in modo profondo.
I provvedimenti annunciati dal governo Monti e definiti “impressionanti” dalla Merkel nel recente vertice con Italia e Francia, sono stati finalmente presentati al Paese e, a meno di improbabili colpi di scena, verranno a breve approvati in Parlamento grazie al sostegno dei partiti che hanno dichiarato il loro appoggio al nuovo esecutivo, dal Pdl al Pd di Bersani.
L’impatto che ne deriva è devastante, soprattutto per le ricadute sulle classi sociali più deboli, che ancora una volta, alla luce di quanto annunciato, non possono non sentirsi prese in giro rispetto a tutti i bei discorsi fatti dal nuovo Presidente del consiglio, di equità’, giustizia e progressività.
Ancora una volta, come in un film già visto, non si parla di patrimoniale , di tassazione alle grandi rendite finanziarie, di lotta agli evasori, né di altri interventi sulle grandi ricchezze ed ingiustizie presenti nel nostro Paese, ma si interviene di nuovo, principalmente sulla previdenza, andando a fare cassa su chi in tutti questi anni ha già pagato pesantemente le crisi finanziarie.
In sintesi si chiama in causa chi pensionato lo è già con un blocco per il 2012 della perequazione automatica, che all’inizio di ogni anno dovrebbe recuperare parte dell’inflazione e difendere il potere d’acquisto delle pensioni e su chi in pensione dovrà andarci nei prossimi anni , presentando ulteriori inasprimenti dei requisiti necessari per maturare il diritto alla stessa ed intervenendo sul futuro calcolo delle rendite.
Per comprendere bene l’ingiustizia sociale che questa volta si presenta con la faccia pulita del “bocconiano” Mario Monti, è necessario conoscere la materia di cui stiamo parlando, entrando nei meccanismi e nelle regole della complessa normativa in essere, a partire dalle riforme previdenziali degli ultimi vent’anni, iniziate prima con Amato nel 1992, Dini nel 1995 e proseguite con Maroni e Prodi nel 2004 -2007 e le ultime malefatte di Berlusconi del 2010 e 2011.
Ora, evitando giudizi politici ( per chi scrive scontati) e che verranno da altri tavoli di discussione, il compito che ci si propone con questo intervento è solo quello di provare a spiegare, nel modo più semplice possibile, la complessa normativa pensionistica che nell’arco temporale sopra citato, tra termini tecnici quali “finestre” o “scaloni” ,è stata modificata in modo profondo.
Cosa significa ad esempio parlare di contributivo pro-quota ? Quali sono le differenze tra pensione di vecchiaia e di anzianità ? E ancora, quali sono le differenze tra pensione di anzianità con le quote o con i 40 anni?
Partiamo dal contributivo, ovvero dal sistema di calcolo delle pensioni che il governo vuole a tutti pro-quota a partire dal prossimo anno in sostituzione del retributivo.
Introdotto con la legge di riforma 335/95 del governo Dini, questo sistema prevede il calcolo della pensione tenendo conto di tutti i contributi versati nell’intera vita lavorativa, mentre il sistema precedente, il “retributivo” , teneva conto nel calcolo soltanto degli ultimi dieci anni lavorativi che si presupponevano essere quelli con retribuzione e contribuzione più alta.
Senza addentrarci oltre nelle specifiche tecniche, si può già intuire che diluire il calcolo della rendita pensionistica su tutta la carriera lavorativa è meno vantaggioso che farlo in un periodo più ristretto.
Ed infatti, a parità di anni lavorati e redditi percepiti, gli importi finali di una ipotetica pensione calcolata con i due metodi applicati in modo integrale, comporta riduzioni e tagli alla rendita stessa, che gli esperti dicono possono arrivare fino al 40-50% in meno con il contributivo rispetto al retributivo.
A chi viene applicato il nuovo sistema di calcolo?
La 335/95 prevede che il nuovo sistema di calcolo interamente contributivo và applicato a chi ha iniziato a lavorare e versare contributi successivamente al 01/01/1996, il vecchio sistema (retributivo)a chi aveva una anzianità di 18 anni o più di contribuzione da lavoro già versata al 31/12/1995, mentre per chi a tale data aveva una anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, si applicava un sistema di calcolo” misto” , con l’applicazione del retributivo per gli anni prima del ’95 e contributivo per gli anni dal ’96 in poi.
Ora, dicevamo, il governo Monti vuole applicare il contributivo pro-quota per tutti a partire dal 01/01/2012, il che significa colpire sostanzialmente i lavoratori “anziani”, ovvero tutti quelli nati negli anni ’50, che rientravano di diritto, per anzianità contributiva versata, nel vecchio sistema di calcolo. Questo significa che la perdita nelle future rendite sarà tanto maggiore quanti sono ancora gli anni da lavorare per raggiungere la pensione.
Facendo quattro conti si può simulare un calcolo basato sugli anni che ancora restano da lavorare ad un lavoratore che ha maturato 35 anni di contributi al 31/12/2011, in rapporto a diverse fasce di reddito come dallo schema che segue:
Oltre ai tagli sulle future rendite, si propone un intervento pesante sulle pensioni di anzianità (ciò che resta si chiamerà “anticipata”) sia quelle oggi liquidate con 40 anni di contributi, sia quelle liquidate con le cosiddette “quote” date dalla somma dell’ età e dei contributi. Per le prime non basteranno più 40 anni di contributi a prescindere dall’età. A partire dal 2012 per ottenere la pensione prima dell’età della vecchiaia occorrono agli uomini 42 anni e 1 mese e alle donne 41 e un mese .Nel 2013 il requisito sale a 42 e due mesi, per attestarsi nel 2014 a 42 e tre mesi (per le donne rispettivamente 41 e due mesi, 41 e tre mesi).
Visto che riassumere tali concetti rischia di farci girare la testa basta guardare lo schema sottostante per comprendere come le stesse agiranno nei prossimi anni
E sulle seconde, ovvero l’uscita con le vecchie “quote”, cancellazione immediata e totale delle stesse.
Dal 2012 non esisterà più la possibilità di andare in pensione con quota 96 (35 di contributi e 61 di età o in alternativa 36 di contributi e 60 di età) se si è lavoratori dipendenti, o quota 97 (35 di contributi e 62 anni di età o 36 di contributi e 61 di età) se si è lavoratori autonomi. D’impeto verrebbe da mandare a quel paese questi “ bravi riformisti” che ci vogliono spiegare che così si salva l’Italia: che provino loro a lavorare nella nostra industria manifatturiera o in qualsiasi altra attività, anche impiegatizia, per più 40 anni. Poi ne riparliamo!
Ma sicuri che a tale invito non aderiranno mai, dobbiamo ricordarci che su tale versante il terreno politico per la soluzione proposta da Monti lo aveva già preparato un anno fa il governo Berlusconi, con la Legge 122 del 2010, intervenendo nella normativa previdenziale con delle “finestre di attesa” di 1 anno e di 1 anno e mezzo (per gli autonomi) in aggiunta ai vecchi requisiti per uscire in pensione.
Alla fine, quindi,seppur con profondi cambiamenti, resterà solamente la pensione di vecchiaia, anche se dovremo dimenticarci in fretta i vecchi requisiti normativi dei 60 anni per le donne e dei 65 anni previsti per gli uomini. Il processo di equiparazione dell’età pensionabile delle donne con i 65 anni degli uomini, per poi arrivare tutti a 66, è stato bruscamente accelerata rispetto a quanto previsto dalle ultime modifiche apportate dal precedente Governo.
Dal 1 gennaio 2012 l’età sale per le donne a 62. Il limite sarà ulteriormente elevato a 64 nel 2014, per poi diventare 65 nel 2016 ed attestarsi a 66 nel 2018 (per le lavoratrici autonome quali commercianti,artigiane ecc. il salto è maggiore perché nel 2012 da 60 l’età passa direttamente a 63 anni e mezzo).
Parallelamente al percorso delle donne anche agli uomini occorrerà cambiare e passare nel 2012 da 65 a 66 anni. All’innalzamento dell’età viene affiancata una flessibilità nell’uscita dal lavoro simile al modello previdenziale tedesco, con disincentivi a chi anticipa il pensionamento.
Dall’età di 62 anni all’età di 70 entrerà in vigore la possibilità di uscire con un pensionamento flessibile che vedrà l’applicazione di un disincentivo relativo al calcolo, pari a -2% per ogni anno di uscita prima dei limiti anagrafici previsti per la vecchiaia. Per gli uomini (e per le dipendenti pubbliche che hanno già ricevuto da Berlusconi anticipatamente il regalo dell’innalzamento e la parificazione dell’età a 65 anni) la fascia di flessibilità è compresa tra 66 e 70.
Il requisito contributivo minimo per avere diritto alla pensione di vecchiaia sale a 20 anni di contributi e oltre ai nuovi tetti di età sopra richiamati, la rendita che né deriva dovrà essere pari a 1,5 volte l’importo dell’ assegno sociale, altrimenti per la liquidazione bisognerà attendere il compimento dei 70 anni.
Insomma davvero lacrime e sangue, ma stavolta ancora qualcosa di più, visto che tutto questo viene a calarsi in una situazione di recessione economica spaventosa, con milioni di persone che, tra cassa integrazione , licenziamenti ed impossibilità di ritrovare un lavoro, vedono svanire ogni possibilità di garantirsi un futuro dignitoso.
Con i tassi di disoccupazione in forte crescita in tutta Europa e con milioni di persone che fanno difficoltà a soddisfare ogni giorno le necessità primarie, diventa inaccettabile, sia dal punto di vista politico e morale , cancellare diritti e stato sociale a livello di massa a vantaggio degli interessi forti. Per molti lavoratori ,prossimi a maturare il diritto alla pensione con i vecchi requisiti, la nuova manovra allontana anche di alcuni anni l’uscita, gettando nella disperazione persone in età avanzata, che con la crisi rischiano di trovarsi senza pensione né un lavoro.
La realtà inoppugnabile è che siamo di fronte alla più grande crisi economica del sistema capitalistico internazionale dall’inizio del 900 ad oggi, un sistema che, complice anche di una forte crescente speculazione finanziaria, si dimostra sempre più incapace di rispondere ai bisogni reali delle società moderne .C’è un sistema ormai globalizzato che risponde solo al profitto di pochi e che sta portando all’impoverimento di masse popolari sempre più grandi, comprese anche quelle dei ricchi paesi occidentali, che vedono messo sempre più in discussione il loro modello di vita e di welfare. Andrebbe ripensato il modello di sviluppo basato non più sul consumismo e lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali ma sui bisogni dell’uomo e dell’ambiente, con una possibile redistribuzione della ricchezza attraverso il riaffermarsi dei valori universali del socialismo. Ma per imporre alla storia un così grande cambiamento epocale, deve esserci la crescita di grandi movimenti di lotta, che a partire dalle nuove generazioni, siano capaci di coinvolgere milioni di persone oggi disorientate e senza valori politici di riferimento.
Solo da questa capacità di opporsi e di lottare si può sperare di ricostruire una alternativa politica di sistema. E’ l’estrema lezione per tutti noi.