Conti astratti, senza l’oste

di Francesco Piccioni | da il Manifesto

debiti-2Economia pronta a sforbiciare sanità e stipendi pubblici. Il Pdl si accanisce con le pensioni di invalidità. E intanto crolla il mercato immobiliare: compravendite -20%

Il decreto legge sulla «spending review» approda nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera. E viene naturalmente coperto da una valanga di emendamenti, soprattutto del centrodestra, che fantastica di ulteriori riduzioni al sistema previdenziale, prendendo di petto ancora una volta le pensioni. Di invalidità, per ora. Ma sono solo petardi sul cammino del governo, per far capire che lo si sostiene, sì, ma senza voler pagare il conto elettorale delle sue scelte. Ma il merito del decreto deve affrontare contestazioni ben più radicali: quelle del mercato, dio e misura di tutte le cose. Le intenzioni sono, come sempre, presentate in forma accattivante («evitare inefficenze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinate a sviluppo e crescita»). La realtà è un bel po’ più prosaica, perché sulle grandi cifre – e l’amministrazione pubblica è fatta di grandi numeri, nel bene e nel male – la tentazione di procedere per «tagli lineari» è irresistibile.

Basti guardare l’idea di mandar via tutti gli ultra-60enni, senza sostituirli e senza nemmeno garantire un livello decente di reddito in attesa della pensione (solo due anni all’80% della paga-base). Un altro esercito di «esodandi» che varia – secondo le stime – da 230mila a oltre 300.000 dipendenti.

Ieri un passo avanti è stato fatto in direzione dello snellimento delle Province. Governo e Upi (l’unione delle province) si sono incontrati per concordare una modalità di realizzazione del «piano di risparmi»; che passa per l’accorpamento di enti troppo piccoli, la razionalizzazione degli uffici periferici e il taglio degli enti intermedi. Se non ci fossero – dentro queste «scatole» – anche decine di migliaia di persone potrebbe sembrare un processo indolore.

Ma ogni politica di tagli è immediatamente recessiva, dicono gli economisti. Vediamo un paio di esempi concreti, in modo da uscire dalle affermazioni generiche. Sotto tiro, come si sa, è la spesa sanitaria, che da sola rappresenta il 37% dell’intera spesa pubblica. Qui il bisturi è destinato ad affondare pesantemente, per l’ennesima volta. Ma non ci sono – giustamente – solo i sindacati a protestare. L’industria farmaceutica guarda con terrore all’ipotesi, facedo notare che nei primi 4 mesi dell’anno il fatturato è calato del 6,2% rispetto all’anno prima. Parliamo di un settore che conta 318 aziende produttrici sul territorio, fattura 25 miliardi e occupa 65.000 dipendenti, senza contare l’indotto.

Da 5 anni la sanità è oggetto privilegiato delle campagne di «moralizzazione» che lasciano sempre intatta la struttura amministrativo-clientelare e penalizzano soltanto dipendenti e servizi. Qui, dicono le imprese, sarebbe più efficace tagliare i tempi di approvazione dei nuovi farmaci (500 giorni, attualmente); oltre ad autorizzare gli enti pubblici ad accelerare i pagamenti arretrati (persino 740 giorni di ritardo, in Calabria). Il settore famaceutico rischia dunque una batosta pesante sia in termini di Pil che occupazionali.

L’altra realtà «refrattaria» a piegarsi alle formule dei professori di governo è l’immobiliare. Dal momento dell’insediamento di Monti, all’interno di tutti gli enti pubblici è partita un’analisi certosina sia delle «piante organiche» che degli spazi occupati. Per un verso si è deciso di ridurre il numero degli stabili in affitto (Tremonti aveva persino venduto degli immobili pubblici per poi affittarli e proseguire l’attività, producendo nuove perdite). Per l’altro si procede alla definizione di nuovi criteri spaziali (quanti metri quadri ci vogliono per ospitare un singolo lavoratore?), in modo da chiudere molte sedi e procedere alla vendita per abbattere così lo stock del debito pubblico.

Idea efficace, sul piano economico molto astratto. Nel concreto, invece, la bolla del mercato immobiliare ha preso a sgonfiarsi. I dati diffusi ieri dall’Agenzia del territorio sono impietosi: nei primi tre mesi dell’anno le compravendite di case sono diminuite di quasi il 20%, con inevitabili effetti depressivi sui prezzi. Buona notizia per chi ha i soldi per comprare, ma non per le banche, che dovranno prima o poi «svalutare le garanzie», ovvero modificare in peggio il valore degli immobili sotto ipoteca accantonati in patrimonio.

Un’altra valanga di immobili pubblici – quasi soltanto palazzi per uffici, a questo punto, visto che di residenziale è rimasto ben poco – messi sul mercato contemporaneamente, non potrà che deprimere ancora di più i prezzi. Una spirale deflazionistica ben nota negli Usa di questi anni, ma che stanno sperimentando anche i derelitti greci e i neo-tutelati spagnoli. Ciò nonostante, nelle menti dei nostri tecnici celesti, in genere provenienti dalla cattegra o dalle banche, non ha ancora fatto la sua comparsa il dubbio: che a forza di tagliare bilanci di carta si finisca per segare anche il ramo «molto reale» su cui si è temporaneamente seduti.