CHE FINE HA FATTO IL 1° MAGGIO? Editoriale

di Piergiorgio Desantis, Rsu Filcams CGIL Firenze

Storie di lavoro nell’Italia del 2022

Il cammino è incominciato quando

una voce ha risposto a una voce

una mano ha stretto una mano

un passo ha seguito l’orma di un passo

e voce mano passo camminavano avanti.

Quando una voce ha gridato “fratello”

ed è arrivato un fratello

quando ha chiamato “compagno” “compagna”

e una piazza si è riempita di gente. (1)

Oltre 130 anni ci separano da quel 1° maggio del 1890, giornata di mobilitazione lanciata dalla Seconda Internazionale per chiedere la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore. È una data che si caratterizza per essere internazionalista fin da subito: tutti i lavoratori e lavoratrici del mondo uniti intorno a un obiettivo concreto di salute e salario contro il profitto. Semplice, immediato e efficace.

Sarebbe confortevole ricordare con retorica quegli accadimenti, i protagonisti e le loro parole, il coraggio delle scelte, le gesta e le grandi avanzate operaie che proprio nel 1° maggio trovano coronamento.

Invece, oltre a ripercorrere e rileggere con piacere i fatti di quel primo 1° maggio, il pensiero va alla data odierna e alle sue difficoltà. Chi lavora e, soprattutto, chi cerca un lavoro vive di assenze: privo di alcun tipo di rappresentanza parlamentare, spesso viene descritto come uno scansafatiche perennemente sul divano. Nell’Occidente ricco e benestante i lavoratori sono spesso chiamati in causa dal ricco imprenditore o dal noto chef stellato perché accusati di non aver voglia lavorare. “Manca la devozione dal lavoro”, dicono loro. Mancano camerieri, impiegati, tecnici e molte altre figure soprattutto nei lavori a basso valore aggiunto. In realtà, vorrebbero perpetrare un meccanismo continuo di sfruttamento dei lavoratori. È difficile resistere senza una reazione di rigetto e di schifo dinanzi a una propaganda così pervasiva e continua. Si utilizzano senso comune e personaggi più o meno noti per fare una costante lotta di classe al contrario.

Vorremmo far parlare i fatti che hanno la testa più dura della propaganda. L’Ocse, per esempio, ci dice che, in Italia, il salario (medio annuale) è diminuito del 3 percento in 30 anni. Germania e Francia, invece, hanno fatto +34% e +31%. Perfino Grecia e Spagna hanno fatto +30% e +6%. Dati che ci parlano quindi di una questione salariale, ormai ultratrentennale, di enormi dimensioni. La moderazione salariale continua a ridurre il peso delle buste paga, oltre all’inflazione che galoppa ormai tra il 6% e il 7%. Inflazione che esplode in maniera sempre più importante a causa di guerra e speculazione sulle materie prime. Ma i rincari non riguardano solamente i beni energetici dato che vanno ad aggredire anche i beni alimentari e di prima necessità. La difficoltà di rinnovare i contratti che probabilmente non recupereranno l’inflazione e, allo stesso tempo, la necessità e l’urgenza di una legge sul salario minimo.

Vorremmo parlare di una nuova emigrazione che ha colpito e colpisce svuotando e impoverendo l’Italia. Si parla di oltre 700.000 lavoratori che sono andati via per trovare lavoro tra il 2008 e il 2016 (2). Vorremmo parlare delle destinazioni di giovani lavoratori e lavoratrici (Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania ma anche Australia), della loro condizione strutturalmente precaria in tutti i paesi di arrivo e della componente giovanile che contraddistingue, forse da sempre, questa emigrazione. Stupisce inoltre che, oltre alla ben questione lavorativa meridionale, c’è anche una questione settentrionale: la maggior parte dell’emigrazione proviene proprio dalla Lombardia.

Vorremmo parlare dell’ennesimo incremento delle morti sul lavoro. Anche quest’anno, infatti, riscontriamo un aumento. Il giornaliero stillicidio, spesso relegato in un trafiletto di cronaca, racconta esattamente il lavoro in Italia. Di misure di sicurezza e di riposi, di disposizioni di prevenzione individuale e di turni di lavoro. Facendo parlare i dati INAIL e confrontando gennaio e febbraio del 2021 e del 2022, si evidenzia un aumento delle denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale, passate da 104 a 114. Praticamente c’è una vittima sul lavoro ogni otto ore.

Vorremmo parlare di lavori nei servizi, del commercio h24, dei turni domenicali e festivi, della liberalizzazione selvaggia, della deregolamentazione dei tempi di consumo, della flessibilità che divora i tempi di vita e di famiglia per milioni di lavoratrici e lavoratori (3) dove non esiste il 1° maggio per l’appunto.

Vorremmo parlare degli uomini, di donne impiegate come braccianti e dei loro caporali che hanno continuato a gestire ampi pezzi di agricoltura italiana. Ne sono un tratto caratterizzante, purtroppo. “[…] Un esercito silenzioso di uomini piegati nei campi a lavorare a volte tutti i giorni senza pause. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per dodici ore filate sotto il sole, che chiamano padrone il datore di lavoro, che subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. 4 euro l’ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e allontanamenti facili per chi tenta di reagire. Persone che per sopravvivere ai ritmi massacranti e intensificare la produzione dei padroni italiani sono letteralmente costrette a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici in grado di inibire la sensazione di fatica e stanchezza” (4).

È anche questo il lavoro in Italia che, purtroppo, difficilmente accede al dibattito pubblico. Rimane dietro le imposte di una realtà vissuta privatamente, oggetto e succube di una continua competizione.

Tuttavia, va vissuta. Il lavoro è una di quelle componenti della vita che, per la stragrande maggioranza delle persone, si affronta giorno dopo giorno sulla propria pelle, senza sconti. Ciò implica anche una scelta di campo importante, significante. Capitale/profitto versus lavoro/diritti è il conflitto che si continua a riproporre anche il 1° maggio del 2022. Non è cosa semplice saperlo oggi coniugare e vivificare anche perché “a una radicale divisione e parcellizzazione delle esperienze di lavoro fa seguito una radicale divisione e parcellizzazione delle esperienze di vita. E quindi quelle ambizioni, quei sogni, quei desideri, quelle frustrazioni non possono che essere (apparentemente) molto diversi. Siamo divisi, è difficile organizzarsi, ed è ancora più difficile raccontare con spirito unitario i mille rivoli del lavoro precario” (5). Effettivamente siamo divisi e parcellizzati, ma continua a essere urgente la necessità dell’unione e dell’organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Non sarà sufficiente ma il movimento sindacale continua a essere incubatore di democrazia e conflitto, consentendo dialettica e alleanze stabili tra lavoratori diversi. Così diversi ma che lavorano e lottano dalla stessa parte. Vivere ed essere partigiani dei diritti del lavoro è una scelta di vita.

Note:

(1) Roberto Roversi, Cento anni sono un giorno, in Giuseppe Sircana, La festa ribelle. Storia e storie del Primo maggio, Ediesse, 2019.

(2) Enrico Pugliese, Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana, Il Mulino, 2018.

(3) Annalisa Dardoni, Sempre aperto. Lavorare su turni nella società dei servizi 24/7, Mimesis, 2019.

(4) Marco Omizzolo, Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2019, pag.116.

(5) Alessandro Leogrande, Dalle macerie. Cronache sul fronte meridionale, Feltrinelli, 2018, pag. 194.