di Luca Servodio, Direzione del PdCI
Dopo quattro mesi di lotta, davanti ai cancelli dell’Irisbus Iveco di Valle Ufita, non ci sono più gli operai a presidiare. La Fiat con l’avallo da parte del sindacato (Fiom, Fim Cisl, Uilm e Fismic i mercanti del tempio) ufficialmente hanno chiuso la produzione dei pullman per il trasporto pubblico in Italia. La politica della concertazione non sola, ha dimostrato che non è in grado di difendere i lavoratori, ha dimostrato un sindacato contro i lavoratori, è cioè un sindacato senza conflitto, subalterno ai poteri forti e soprattutto reazionario. Quest’accordo prevede miseria, per quegli uomini e donne, che in questi mesi hanno scritto un pezzo importante dell’Italia operaia. Istituisce la cassa integrazione straordinaria per 24 mesi ai 700 lavoratori dell’azienda Irpina, in cambio del ritiro da parte di Fiat, dei nove licenziamenti nei confronti degli operai che avevano impedito l’uscita dai cancelli degli ultimi bus in consegna.
In questa sconfitta, si aggiunge, la colpa di quella classe politica di destra e di sinistra, che osanna Marchionne, che ha sostenuto la tesi della fine del lavoro, distogliendo l’attenzione dal massacro sociale subito e continua a patire la classe lavoratrice. Il bilancio sociale, cioè la cassa integrazione, la chiusura dello stabilimento, deve diventare anche un bilancio politico, cioè una nuova linea che riapre la grande questione sindacale nell’Irpinia e non solo, partendo dalle questioni della democrazia sindacale, affrontando la questione del salario, respingendo il tema centrale, che oggi è al centro della politica bipartisan che tende a unificare destra e sinistra moderate e cioè la questione dello scambio salario-produttività. La crisi della capacità di rappresentanza e tutela da parte del sindacato ne è un pezzo essenziale. Occorre smascherare la retorica della concorrenza e del mercato che lungi dal significare smantellamento degli oligopoli, è servita solo a giustificare concentrazioni di capitale. Reagire contro il dogma della “centralità dell’impresa”, che in Italia non ha nemmeno significato investimenti produttivi e sviluppo industriale, ma privatizzazione di risorse pubbliche, regalie a una borghesia parassitaria e accumulazione di profitti e rafforzamento di posizioni.
Ai lavoratori e alle lavoratrici va riconosciuta un’indomita combattività e volontà di resistenza. La Fiom, che in questi anni si è contrapposta a Marchionne, in Irpinia ancora una volta, come in passato, ha commesso errori di valutazione, cedimenti, pratiche consociative con le direzioni aziendali. Dimenticando il contesto Irpino e del Mezzogiorno in cui la disoccupazione di massa è un fattore potente di corruzione e clientelismi.
È tempo di costruire una lotta sociale e di classe, per far prevedere forme di controllo sui piani d’imprese, sull’organizzazione del lavoro e sull’impiego dei finanziamenti pubblici ricevuti. La difesa del lavoro e dei suoi diritti è il fondamento reale di democrazia.