Altro che bonus, Def scontentatutti

di Antonio Sciotto | da il Manifesto

E’ tutto un taglio. Dopo l’accordo con i Comuni si apre il capitolo Regioni: il documento del governo preannuncia forti decurtazioni alla sanità. Il premier le chiama «razionalizzazioni», ma i governatori non si convincono. E intanto il Jobs Act scarica l’incentivo assunzioni su imprese e autonomi

Fino alla cam­pa­gna sul «teso­retto», il plu­rit­wit­tato #bonu­sdef, tutto sem­brava più o meno fun­zio­nare: 1,6 miliardi da devol­vere muni­fi­ca­mente (in vista delle pros­sime ele­zioni regio­nali), un ok di mas­sima incas­sato dai Comuni, i dati dell’economia che più o meno tor­nano, anche se l’occupazione ancora tra­balla. Ma ieri per il pre­mier Mat­teo Renzi e per il suo Def, varato venerdì sera, sono emersi i primi grat­ta­capi: in par­ti­co­lare dalle Regioni, che chie­dono un con­fronto al più pre­sto e temono per i pro­pri bilanci, soprat­tutto per­ché la gran parte della spen­ding review calerà come un’accetta sulla sanità. Senza con­tare le imprese, bef­fate da un codi­cillo del Jobs Act, sco­vato dal Sole 24 Ore, che ieri gli ha dedi­cato la prima pagina, con tanto di aci­dis­simo cor­sivo anti-governo.

L’incontro della Con­fe­renza Stato-Regioni è fis­sato per mer­co­ledì pros­simo, e non sarà per niente sem­plice per il governo: ese­cu­tivo e gover­na­tori dovranno infatti defi­nire dove e come tagliare i circa 2,3 miliardi che, alla voce sanità, con­tri­bui­ranno per oltre la metà al sacri­fi­cio da 4 miliardi impo­sto alle Regioni dalla legge di Sta­bi­lità 2015. Il grosso dei risparmi — circa 1,5 miliardi — arri­verà dai tagli sull’acquisto di beni e ser­vizi, anche attra­verso lo stru­mento della rine­go­zia­zione dei con­tratti. Altre risorse arri­ve­ranno invece dalla rior­ga­niz­za­zione della rete ospe­da­liera. Ma è pos­si­bile pure un inter­vento sulla spesa far­ma­ceu­tica. E si vagliano altre ipo­tesi, anche se Renzi, pre­sen­tando il Def, venerdì aveva escluso ancora una volta tagli alle regioni e ai comuni. «Sem­mai — aveva spie­gato — ci saranno delle razio­na­liz­za­zioni nella spesa sani­ta­ria. Vi pare pos­si­bile — aveva poi chie­sto — che ci siano regioni con 7 pro­vince e 22 Asl?».

Leg­gendo il Def, comun­que, si fa via via più chiaro il qua­dro dei tagli, anche se per il momento i det­ta­gli restano oscuri: ad esem­pio i tagli alla sanità, rien­tre­reb­bero tra i 7,2 miliardi di ridu­zione della spesa chie­sta più in gene­rale a tutto il sistema pub­blico, inclusi quindi i mini­steri. Altri 2,4 miliardi, invece, ver­ranno rica­vati da una revi­sione delle age­vo­la­zioni fiscali: ver­ranno col­pite anche alcune fasce di cit­ta­dini pri­vati, cioè le fami­glie, o si riu­scirà a recu­pe­rare tutto dal rior­dino del sistema che riguarda le imprese?

La pro­messa, comun­que, è che la pres­sione fiscale dovrebbe scen­dere sotto il 43% del Pil: al 42,9% nel 2015 e al 42,6% nel 2016. C’è da spe­ci­fi­care che il cal­colo è al netto degli 80 euro: «Nel trien­nio 2015–2017 -. recita la pre­messa al Def — si riduce la pres­sione fiscale, al netto della clas­si­fi­ca­zione con­ta­bile del bonus Irpef 80 euro». Inol­tre, «viene scon­giu­rata l’attivazione delle clau­sole di sal­va­guar­dia per il 2016, che avreb­bero pro­dotto aumenti del pre­lievo pari all’1% del Pil».

Ieri è con­ti­nuato comun­que il coro di sug­ge­ri­menti per l’utilizzo del bonus da 1,6 miliardi rica­vato dall’aggiustamento (in defi­cit) del rap­porto deficit/Pil (dal 2,5% al 2,6%): Renzi ha già spie­gato che la desti­na­zione verrà decisa «nelle pros­sime set­ti­mane», e si pro­fila sem­pre più la pos­si­bi­lità — gra­dita anche ai sin­da­cati — che la cifra possa essere spesa per allar­gare la pla­tea degli 80 euro. Ieri Anna­ma­ria Fur­lan, lea­der della Cisl, invi­tava a desti­nare il bonus a «inca­pienti, pen­sio­nati, ai gio­vani col­la­bo­ra­tori e agli autonomi».

Per Susanna Camusso, lea­der Cgil, il «teso­retto» deve andare «a inve­sti­menti e occu­pa­zione», come pure «è una nostra richie­sta l’allargamento degli 80 euro a inca­pienti e pen­sioni basse».

Infine, al governo è arri­vato l’attacco della Con­fin­du­stria: le imprese hanno sco­perto che nei decreti di attua­zione del Jobs Act è stata inse­rita una clau­sola di sal­va­guar­dia rispetto alla pos­si­bi­lità che venga esau­rito il pla­fond desti­nato agli incen­tivi alle assun­zioni. I 24 mila euro in tre anni fanno gola, ma il fondo cassa non è infi­nito: e quindi, se doves­sero fare richie­sta più impren­di­tori del pre­vi­sto, le risorse ver­reb­bero recu­pe­rate da uno spe­ciale “con­tri­buto di soli­da­rietà”, a carico delle imprese e dei lavo­ra­tori autonomi.

Una vera beffa, una “pugna­lata” che Con­fin­du­stria non si aspet­tava, dopo le ripe­tute lodi elar­gite ai prov­ve­di­menti del governo. Addi­rit­tura un cor­sivo in prima pagina del Sole 24 Ore ieri pre­ten­deva «il nome di cotanto genio» che ha ideato la clau­sola. E il mini­stro del Lavoro Giu­liano Poletti corre ai ripari: «La clau­sola verrà supe­rata prima dell’ok defi­ni­tivo al provvedimento».